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Dreamers. La generazione che ha cambiato l’America di Fernanda Pivano e Cesare Fiumi è stato pubblicato nel 1998 da Marlboro Country Book.  Allegato un CD con brani di Bob Dylan, Joan Baez, Van Morrison, The Byrds, Creedence, Scott McKenzie, Velvet Underground e altri miti e icone per i diversamente giovani di oggi. 

Poco testo e tante fotografie, è la Lonely Planet per un viaggio nell’America degli anni Sessanta. Immersione senza eccessivi ghirigori intellettuali nella cultura che, piaccia o no, ha influenzato il pensiero di una parte dell’Occidente per almeno un decennio, e forse oltre.

Visita discreta nel passato, al momento della sua uscita, il volume era nostalgia e omaggio a un sogno durato quanto basta per passare alla storia.

Dreamers è Sulla strada di Jack Kerouac. È l’Urlo di Allen Ginsberg. È Easy Rider di Dennis Hopper. È Monterey International Pop festival. È libertà, anticonformismo, provocazione.  

Nel mondo, gli anni Sessanta sono Tommie Smith e John Carlos sul podio olimpico con il pugno chiuso. 

In Italia sono il boom economico e la Fiat Seicento. Sono Siddhartha di Hermann Hesse e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.  Sono La dolce vita di Federico Fellini, La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, I pugni in tasca di Marco Bellocchio. Sono Michelangelo Antonioni e l’incomunicabilità.  I Quaderni Piacentini e Ombre rosse di Goffredo Fofi, morto alcuni giorni fa. Sono Patty Pravo e l’Equipe 84. 

Sono il dibattito sul divorzio, diventato legge nel 1970. Sono la classe operaia che tenta la scalata al Paradiso.  Fallisce. Resta all’Inferno.  Sono le donne che smettono di essere gli angeli del focolare e del ciclostile. 

È un distillato, senza un criterio preciso e non esaustivo, dei fermenti sociali, culturali e politici che hanno caratterizzato un periodo cruciale della nostra società.

Formidabili quegli anni, come ha scritto Mario Capanna? Probabilmente sì per molti di coloro che li hanno vissuti. Che hanno fatto carriera e scordato gli slogan che gridavano durante i cortei per le strade e i sit-in nelle piazze.  Ma non per tutti.  Non per coloro che il sogno li ha fottuti.

Il marcusiano uomo a una dimensione, tanto inviso e vituperato, è rimasto tale. Anzi, è evoluto in un burattino eterodiretto a nessuna dimensione. E tra coloro che allora contestavano l’unidimensionalità, troppi oggi l’hanno promossa a loro modello.  

Gli anni Sessanta e quelli immediatamente successivi sono stati un bel sogno. Sono, trent’anni dopo, Nice Dream dei Radiohead. Poi l’illusione si è dissolta. È degenerata. Sono arrivati il terrorismo e gli anni di piombo. Ma questa è un’altra storia.  

Anche a Cremona e provincia si inseguivano chimere e alcuni semi gettati, caduti su terreno fertile, germogliarono. Negli anni Settanta si raccolsero i frutti.  L’esempio più immediato da citare si trova nella cultura. Nel 1975 nasce Si va per incominciare.  Progetto innovativo, mira a portare spettacoli, contaminazione di musica, teatro e balletto nelle piazze e a coinvolgere i cittadini. Funziona.

L’anno successivo, a questa start-up ante litteram, subentra RecitarCantando, rassegna che inonda di manifestazioni il territorio, da Casalmaggiore a Crema. È un successo. 

RecitarCantando prosegue fino al 1986, anno in cui il teatro Ponchielli passa dalla proprietà privata dei condomini a quella del Comune. La scommessa vide tra i protagonisti Angelo Dossena che arrivò ai piani alti della Scala di Milano e Angela Cauzzi che divenne sovrintendente dello stesso Ponchielli

Oggi, a 27 anni dalla pubblicazione, Dreamers è un elettroshock che risveglia emozioni sopite.  Il rimpianto per il treno perso. Il necrologio di un’utopia. L’opportunità per risalire il fiume della memoria. 

Dreamers è ciò che avremmo voluto essere e non siamo stati.  Riflessione sul presente che ha rimosso il passato e teme il futuro. È la nostra rivolta parlata e non agita. Tempo buttato. È l’amara constatazione di una società che si crede liberata dalle ideologie, in realtà svuotata degli ideali. Schiava dell’immagine e del marketing. Ora dell’hype, droga pubblicitaria per creare aspettative, desiderio. Successo. Per lanciarti tra le stelle e, subito dopo, scaraventarti nella stalla. Il sic transit gloria mundi a velocità supersonica.      

Dreamers è il confronto con una rivoluzione mancata e quella riuscita dei cellulari e dei computer. Dei gruppi social.  Degli influencer, imbonitori da fiera in formato digitale. 

È l’analisi sul passaggio dal sogno collettivo alla distopia algoritmica.  Dalla creatività alla dittatura della tecnologia e la sconfitta della politica.

Dreamers è l’album Panini delle speranze infrante. È un’ora al Luna park. Si può scegliere un giro sulla giostra e crogiolarsi nei ricordi. Oppure salire sull’autoscontro e affrontare le contraddizioni di una società che aspira a colonizzare Marte e reclamizza i prodotti per idratare il gatto, mentre circa il 3,75% della popolazione mondiale soffre di carestia e l’1% detiene il 45-50% della ricchezza globale. Che predica la pace e permette l’orrore di Gaza. Che costruisce un ospedale nuovo e ne abbatte uno vecchio.  Dimentica l’articolo 32 della costituzione sul diritto alla salute, riduce la medicina di prossimità a poca cosa e la conduce sull’orlo del baratro. 

Dreamers è la beat generation.  È fuori dal coro. È fantasia. È controcorrente.  Per il nostro territorio è corpo estraneo, alieno. Fa paura.  

La provincia non è rock, ma slow da far venire il latte alle ginocchia. Intruppata nella folla, è amorfa e omologata, che gli omogeneizzati Plasmon al confronto sono un caleidoscopio di originalità. Non è una falange macedone, ma un esercito di soldatini di piombo. Tutti uguali, anonimi, indefiniti e intercambiabili. Senza un guizzo, un sussulto, uno scatto d’orgoglio.

Satura di integrati, relega i pochi apocalittici in circolazione in una riserva per le specie protette e in via di estinzione. Brave e stimate persone, per sopravvivere si arrabattano per una consulenza in Comune o in altri enti o società pubbliche. Barattano pane e companatico con il silenzio. Non disturbano il manovratore. Non rompono le palle. 

Gli intellettuali hanno la mordacchia.  L’immaginazione è ibernata o messa in quarantena.  L’avanguardia è retroguardia.  Tutto va bene, madama la marchesa. Fin che la barca va lasciala andare, tu non remare, intanto ci pensa il Mecenate locale ad aiutarti. 

I politici si preoccupano del consenso e si genuflettono davanti agli stakeholder e ai tifosi.  Il ricambio generazionale è apparente. I giovani sono il make-up per non apparire conservatori, ma lungimiranti. I pupari rimangono gli stessi. I sogni svaniscono e la speranza evapora. Le crisalidi non diventano farfalle.

La polarizzazione, cartina di tornasole della democrazia, è la favola di Pinocchio, con il Gatto e la Volpe che impongono il bello e il cattivo tempo.

I consigli di amministrazione delle partecipate e degli altri soggetti pubblici che li prevedono sono decisi dagli strateghi dei partiti locali. Gente che si è autoiscritta all’esclusivo Gruppo Bilderberg di casa nostra, ma più adeguati per il Circolo Pickwick del Torrazzo. Azzeccagarbugli incapaci di trovare accordi senza polemiche e strascichi procedurali, rientrano a pieno titolo tra i Dreamers della supponenza e presunzione. Quelli sbagliati, ammesso che questa categoria esista.

Ma non ci sono sogni sbagliati. Neppure sogni buoni o cattivi. Ci sono sogni interrotti. Quelli nel cassetto e mai tolti, i rimpianti.  Ci sono i killer dei sogni che sparano a  Peter Fonda, il motociclista di Easy Rider. Ci sono i venditori di sogni taroccati e i migliori e più numerosi fornitori appartengono alla politica. 

Poi ci sono Cremona e la sua provincia che non sanno più sognare. È tempo di ricominciare. Comunque di provarci. E chissà, un domani qualcuno scriverà dei nuovi sognatori del Po, la generazione che ha cambiato Cremona. 

Dreamers con il violino, bel titolo per un libro. Perché no? Sognare non costa nulla.  Fa bene alla salute. E a Cremona.

Antonio Grassi

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