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GLI EDITORIALI  DI ADA FERRARI

Accade spesso che mi chiedano, scherzando ma non troppo, se ho per caso subito una paralisi della penna, malanno fortunatamente non mortale. A domanda rispondo. Il pessimismo della ragione ha, almeno per il momento, avuto la meglio  sull’ottimismo della volontà. Poco incline a sterili esercizi letterari, mi sono andata convincendo che ricalcare il già detto sia noioso per chi legge non meno che per chi scrive e, soprattutto, non possieda la minima possibilità d’incidere sull’inesorabile declino di Cremona. Declino che è, a sua volta, capitolo locale di un più generale processo di disfacimento di antiche e fiorenti civiltà municipali. Fenomeno a lento decorso che nessuna classe dirigente, specie se di non eccelsa attrezzatura, è in grado di arrestare. Non un centro destra spaccato in miopi feudi personali più interessati alle individuali ambizioni che alla complessiva sorte politica e ideale dello schieramento. Non un centro sinistra dallo smisurato e inossidabile ego purtroppo coniugato a scarsa volontà di ascolto di quel che fermenta nella comunità locale ed esige legittime risposte. Ricordo in proposito agli zelanti custodi dell’antifascismo locale, tanto solerti nel denunciare disegni autoritari in casa  altrui, che non solo la pratica di piegare la realtà alle esigenze della propaganda non è certo morta con la fine del fascismo e del suo leggendario Minculpop, ma anche che, guardando per una volta in casa propria, potrebbero fare imbarazzanti scoperte.

C’è da chiedersi se, in virtù di qualche fantascientifico fenomeno, Cremona non si sia sdoppiata in due città parallele alle quali, in quanto parallele, non è dato incontrarsi.  L’una, incredibilmente raccontata dai governanti come città “fra le più verdi d’Italia”, felicemente prospera fra accordi di violini e trionfi di torroni, mostarde, insaccati e ogni ben di Dio agognato  dalle moltitudini che a ogni sagra accorrono nei numeri che l’Amministrazione poi sventola come trionfanti bollettini di vittoria. L’altra è la città che da anni occupa il podio, e forse il gradino più alto, di città più inquinata d’Europa.

E’ la città ferita da un’impennata di criminalità e violenza a lungo minimizzate come percezione soggettiva. E’ la città in cui s’è pietrificato uno sconcertante abisso fra comunità locale e sordità istituzionale. Severità di giudizio, la mia, a maggior ragione spiacevole nei giorni in cui parte del centro cittadino, grazie a luci particolarmente azzeccate,  brilla e seduce come un prezioso cioccolatino avvolto in carta d’oro.  In effetti hanno parecchio di che godere e lustrarsi i due occhi fissati a forza alla facciata della Loggia dei Militi. Ma mentre il messaggio dei due sguardi diretti alla magnificenza di piazza Duomo resta oscuro, risulta al contrario evidentissima  l’insensata violenza estetica e culturale a spese di una delle strutture più antiche e iconiche del nostro patrimonio.  Ma appena oltre il ristrettissimo perimetro della ‘città da operetta’ lustrata e agghindata, si apre il grigiore di una periferia che, a dispetto di evidenti omogeneità architettoniche e storiche, si sta via via inglobando anche cospicue parti dello stesso centro storico. Emblematico che per la prima volta le luminarie natalizie, spezzando la naturale unità di corso Garibaldi, si arrestino alle colonne d’Ercole di palazzo Cittanova. Più che mai immedesimato con la civiltà dell’immagine e le sue logiche, il governo cittadino punta sulla sensazione visiva e snocciola ormai raffiche di eventi con lo zelo di un mecenate generoso di svaghi a beneficio degli amati sudditi.

Così va il mondo, non solo a Cremona. Il che non ci esime da qualche domanda su qualità e direzione della strada intrapresa. Più che di prova di saper fare e interpretazione alta del ruolo amministrativo, parlerei di ‘fuga’ nel tempo breve e straordinario dell’evento per incapacità o impossibilità di affrontare il tempo ordinario della prosa amministrativa con le sue concrete e ingrate voci in agenda e le sue disattese urgenze. Dalle più ovvie, come manutenzione di strade e di residue aree verdi, alle più complesse sfide  destinate a tracciare le grandi coordinate attuali e future del destino locale. Fra la vetrina in cui apparire e ottenere consensi  e il retrobottega in cui sudare con poco plauso e insufficiente visibilità, quale sia la scelta è fin troppo evidente. Spennata e spolpata della sua articolazione originaria per la difficoltà di integrarne e mantenerne vive le diverse componenti sociali ed economiche, l’idea stessa di città si sta riducendo alle poche centinaia di metri quadri in cui si consumano riti e liturgie di una strategia di sopravvivenza  affidata a cibo e musica. Chiavi d’innegabile valore e rispettabilissimo indotto economico, se non fosse che nel mezzo cresce una terra di nessuno di informe profilo e incerto futuro.

Gli spazi di manovra e inversione di rotta sono peraltro ridotti, né risulta di aiuto un tessuto sociale di inveterata litigiosità. E’ clamoroso che le categorie commerciali paralizzate da storiche rivalità siano incapaci di convergere su un condiviso  progetto di riscatto e rilancio. A  fronte di una debolezza che viene da lontano, dai troppi treni persi e dalla sistematica resistenza dei cremonesi a fare squadra, non è inspiegabile che le Amministrazioni che si succedono ragionino sui tempi brevi della sopravvivenza politica di Tizio o Caio e che la liturgia degli eventi diventi ‘comfort zone’ di una classe dirigente a corto di strategia nonché strumento di distrazione di massa.

E dunque? E dunque,  buon Natale a tutti. E che lo Spettacolo continui.

 

Ada Ferrari

L'Editoriale

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