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Centro Padane Engineering Srl, società partecipata dalle Province di Cremona e Brescia e da alcuni  Comuni, ha bruciato più di un milione di euro di soldi pubblici. Negli ultimi mesi ha licenziato quattro persone e cinque se ne sono andate volontariamente. Il Consiglio di amministrazione si è dimesso e anche il direttore generale ha tolto le tende (Vittorianozanolli.it, 10 agosto).

L’attuale Amministrazione provinciale, che ha ereditato la rogna dalla precedente, è in mezzo al guado.  Ha il cerino in mano. Deve decidere il futuro della società.

Martedì prossimo la questione verrà discussa in consiglio provinciale con la presentazione di un nuovo Piano di risanamento, dopo lo stop del primo.  La proposta è l’ultima spiaggia per salvare il soldato Ryan. È accanimento terapeutico per tenere in vita, almeno per un anno, un paziente agonizzante pronto per l’estrema unzione. Prassi consolidata in politica, non contempla l’eutanasia per le partecipate giunte al capolinea dopo avere svolto la loro missione. Oppure dopo averla toppata.   Accantonati i sogni di grandezza, la sede di Cremona sarà chiusa. Resterà aperta quella di Brescia. Sparirà il consiglio di amministrazione. Verrà nominato un amministratore unico. Per il direttore generale i rumors ipotizzano un part time, preso in prestito da un’altra partecipata.

Il problema era stato sollevato alcuni mesi fa dai consiglieri provinciali di Forza Italia (Valeria Patelli e Gianni Rossoni) e della Lega (Filippo Raglio).

La segreteria provinciale del Pd, in versione nostalgica di Pci trinariciuto, aveva replicato con un comunicato (Cremonaoggi, 5 agosto) politicamente becero.  Accusava i Saint Just del centrodestra di strumentalizzazione.  I fatti avevano smentito i primi della classe e i moralisti d’accatto.  Nei mesi successivi sulla vicenda il Pd spariva dai radar. Infierire su di lui sarebbe troppo facile.  Stendere un velo pietoso è un atto di clemenza e così sia.

Stesso discorso per Fratelli d’Italia. I tre consiglieri provinciali (Attilio Zabert, Roberto Rava, Federico Oneta) scrivevano: «La vicenda Centro Padane Engineering srl richiede più serietà e meno sterile polemica politica. Il senso di responsabilità dovrebbe prevalere per lasciare spazio a un’analisi razionale della situazione» (Vittorianozanolli.it, 8 agosto). Considerazione geniale. Innovativa. Degna dei migliori politologi di Harvard.  Vanno nelle terga di Forza Italia e Lega, dimenticano che sull’elezione del consiglio di amministrazione della società hanno messo molto del loro, confermano che il Pd li affascina. Un tempo si diceva: «Bravi, sette più». 

Non pervenuti Rifondazione comunista, Cinque stelle e il resto della galassia dei partiti e dei movimenti più sensibili ai diritti dei lavoratori, agli sprechi delle risorse pubbliche.      

Muti anche i sindacati. Unica eccezione la Uil, con Marco Tencati. Va controcorrente e ancora lotta, nonostante questa parola e relativa pratica siano desuete e rottamate.

Tutto questo dopo un duello rusticano tra partiti per eleggere il consiglio di amministrazione. Dopo che da mesi era nota la precarietà dei conti.  Dopo che l’attuale presidente della provincia, Roberto Mariani, aveva onestamente e coraggiosamente affermato che la società era in bolletta (Vittorianozanolli.it, 13 agosto). Dopo che al consiglio di amministrazione venivano riconosciuti compensi fuori mercato rispetto alle altre partecipate locali.  Dopo il disastro, prima annunciato e poi arrivato, la politica provinciale ne ha preso atto. Manco fosse un incidente di percorso. 

L’argomento non è popolare. Non è lo sversamento di sostanze proibite nelle acque di una roggia. Non è una rissa in piazza Duomo. Non è un argomento che fa schizzare le visualizzazioni sui social, ma neppure una questione secondaria.  Nulla di nuovo sotto il sole.

È lo stile, la cifra – non solo politica – della nostra provincia. Un territorio che preferisce i toni pastello a quelli forti. I sussurri alle grida, con la concertazione oro olimpico. Una provincia più in sintonia con Oblomov che al Conte di Montecristo.

L’approvazione unanime del consiglio comunale del Manifesto della comunicazione non ostile in politica (Vittorianozanolli.it, 1 giugno) rafforza questa sensazione. Un ossimoro. La politica senza pepe è una minestra insipida. Ma non è una sorpresa. Per le elezioni provinciali dello scorso anno era uscita la proposta di presentare una lista unica: oves et boves et universa pecora. Il prossimo passo sarà un regolamento per il tè con frollini ai consiglieri e un intervallo per una partita di bridge o burraco.  E perché no? un corso di origami.

Pigrizia e negligenza. Poca sensibilità. Lungimiranza ferma al proprio ombelico. Tsunami di parole, scarsa progettualità. Giustificazioni e alibi.

Autoreferenziale e autoassolutoria, la politica di casa nostra è un limbo, che è peggio di inferno e paradiso. Non tutta, ma parecchia. E, per parafrasare Enzo Iannacci, noi come pirla qui a criticare, ma l’orchestra non si può fermare.

Le osservazioni, i giudizi negativi non la scalfiscono. Forse le fanno solletico.  Pioggia sul marmo. Irritanti per lesa maestà. 

Interessata ai fatti propri e poco a quelli dei cittadini, pettegola e petulante, la politica locale assomiglia a un’assemblea condominiale.  Poco rigorosa e cerchiobottista, smussa anche quando sarebbe necessario affilare. In determinate circostanze voltagabbana, finge di applicare la regola evangelica: la mano sinistra non sappia quello che fa la destra. Ma sottobanco le due mani si accordano.

Soffre di amnesia retrograda: a giugno promette un intervento, a dicembre lo rinnega. 

Tranquilli: non è il «Pilu per tutti» di Cetto La Qualunque. Neppure il «Vota Antonio! Vota Antonio!» di Antonio La Trippa. Anche se dalle nostre parti non mancano emuli dei due mitici politici cinematografici.

La politica locale è elegante. Sempre vestita della festa, ma con abiti usati e consunti. Ripete azioni lise dall’uso e allora può succedere che in alcune occasioni abbia le pezze sul culo. 

Usa termini inglesi nella scia di tecnocrati, direttori di marketing e venditori di fumo. I suoi interventi sono zeppi di inclusione, integrazione, fragilità, sostenibilità, squadra, sinergia. Ma poi finisce lì o pochi metri dopo. È il vorrei e basta. Il condizionale non si traduce nell’indicativo.   

La politica del territorio è il parente povero della Regione. Il misero al desco del ricco, felice di raccogliere le briciole. Ogni tanto gli arriva una pagnotta intera, allora gonfia il petto, ma resta sempre fanalino di coda.

C’è poco di subliminale nel suo agire. Gli obiettivi a cui mira, anche se non esplicitati, sono sempre intelligibili. Chiari. Lampanti. 

È una politica priva di classe e leadership, ma non sgangherata. È un po’ rozza. È un trompe-l’oeil. Un’illusione prospettica. E di contenuto.

La verità raramente è tutta da una parte. I buoni e i cattivi non si dividono con l’accetta.  Il bianco e il nero non sono mai netti. In mezzo c’è il grigio nelle sue gradazioni, che nella nostra provincia sono infinite, più che in altri territori. E se questo è vero, allora una parte anche minima di responsabilità della stagnazione, della palude autoctona è dei cittadini. 

Eccessivamente inclini all’arrabbiatura immediata, scarseggiano di costanza. Non tengono il punto.  Tendono a lasciare perdere. I politici lo sanno. Aspettano che l’incazzatura rientri e poi proseguono per la loro strada. Guardano e passano e non si curano di loro, e non è indispensabile che abbiano studiato Dante. 

Se i cittadini invece perseverano, ottengono risultati straordinari. Il comitato contro il biometano a San Rocco ha bloccato l’impianto e – mai la politica lo ammetterà – ha costretto A2A a cambiare i propri progetti e il Comune a cestinare il memorandum Cremona20-30. Stesso discorso per la levata di scudi contro l’abbattimento del muretto di cinta dell’ex area Frazzi, con la marcia indietro dell’assessore Paolo Carletti sostenitore della demolizione.

Ammirevole l’impegno del comitato contro la costruzione dell’ospedale nuovo.  Per gli aderenti, due oscar. Uno per la tenacia a non mollare e un altro per l’audacia di contrastare Gulliver, loro lillipuziani.  Nani contro Schwarzenegger.

La vicenda di Centro Padane Engineering Srl è una delle tante che scandiscono la storia della politica provinciale. Come le acque del Mar Rosso, che si sono chiuse dopo il passaggio degli ebrei, così il disastro della partecipata sarà archiviato con una soluzione che accontenterà tutti. Non la migliore. Un comunicato celebrerà il grande lavoro svolto per trovare la quadra, termine assai utilizzato dai politici locali.  Si spenderanno parole d’elogio alla politica per avere salvato la società. E avanti tutta, come se nulla fosse successo. Non finirà in questo modo?   Felicissimo per avere sbagliato previsione.

Resta però valida la riflessione di una delle interpreti de Le idi di marzo. «Il mondo cade a pezzi? Niente si muove, niente cambia nella vita quotidiana del coglione medio che si alza, va al lavoro, mangia, dorme e va di nuovo al lavoro».  Questo è. Piaccia o meno. Anche in riva al Po e in riva al Serio.

 

Antonio Grassi

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