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Caro Direttore,

abito al Battaglione, via di mezzo fra città e campagna, e strada intensamente frequentata da cani e dai loro padroni. Non soltanto da loro: ci sono jogger, ciclisti, camminatori, e ci sono anch’io col mio passeggino e il nipotino dentro. Ogni volta che la percorro, nel tratto fra il distributore e il primo abitato, mi si stringe il cuore davanti allo scenario che mi si para davanti: immondizie sciolte, immondizie confezionate e abbandonate sull’erba, o gettate in angoli scomodi e irraggiungibili, ad esempio sotto gli arbusti spinosi; e finanche immondizie lanciate per aria e rimaste impigliate tra i rami. Fra queste, lo sterco di cane, stretto in sacchetti (di plastica, pura follia!) e aggrovigliato in punti difficilmente raggiungibili da chi, come me, fatica a rimanere indifferente davanti a questo indecente spettacolo, distopico come un quadro di Beksinski. Immaginate sorta di alberi di Natale decorati con sacchetti colorati penduli che trattengono fecalomi di cane: questa la scena che si presenta a chi percorre la via.

Vado personalmente, con l’aiuto di una gentile signora, a rimuovere periodicamente questo luridume perché non sopporto che il mio bambino vi possa transitare accanto e magari vi si abitui incamerandolo nelle sue rappresentazioni della città natale come ‘normale’. Nello stesso tempo mi domando come si possa fare per indurre l’autore di questi ignobili comportamenti a utilizzare i cestini (scarsi, ma presenti) per gettarvi i rifiuti accettando di trattenerli in mano per qualche centinaio di metri, o più saggiamente lasciando che l’animale abbandoni nell’erba i suoi residui digestivi: mi fa ammattire l’idea che un resto organico debba prima essere confezionato nella plastica per poi venire abbandonato nella natura, fuori del marciapiede, ma il più lontano possibile dalla portata del suo recupero fra la vegetazione… se avessi il tempo e la pazienza pedinerei questo signore e certamente gli proporrei uno scambio di decorazioni per ornare nello stesso modo il quartiere dove lui abita. E non è detto che non lo faccia, prima o poi.

 

Diletta Rapalli

L'Editoriale

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