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“Un nuovo modello di edilizia sanitaria dal quale emerge una visione olistica della salute e del benessere, un ospedale come spazio di interazione sociale, per lo svago, per accrescere il valore del benessere e della cura della persona. Insomma, l’ospedale come luogo attivo per l’incontro, l’interazione sociale e come punto di riferimento per la comunità, animato da spazi di socialità e luoghi introspettivi per la cura ed il benessere fisico e mentale. Nello stesso tempo l’ospedale come un ambito di naturalità e biodiversità urbana”.

Siamo a Cremona, Lombardia, ove l’attuale ospedale, vecchio di cinquant’anni, verrà demolito per far posto, a pochi metri di distanza, ad una nuova struttura, orgoglio architettonico e ben descritta nelle righe precedenti. A pochi metri di distanza significa che per almeno 8-10 anni (tempi previsti per la sua costruzione) i ricoverati potranno godere della vista di un immenso cantiere appena al di là del vetro della loro finestra, respirare polveri sottili, medie e gagliarde, non riuscire a riposare per il rumore, familiarizzare con le moderne tecniche costruttive e con la mano d’opera specializzata. Poi, una volta edificato il nuovo ospedale, sarà necessario demolire l’attuale che, detto fra noi, è perfettamente funzionante e svolge egregiamente la sua funzione.

A ben vedere la manutenzione lascia un po’ a desiderare ma, invece di individuare le responsabilità dei Direttori Generali che si sono succeduti negli ultimi vent’anni (alcuni finiti sotto processo, altri sospesi dall’Ordine dei Medici, altri ancora assai imbarazzanti…), la Regione Lombardia decide di impiegare duecentocinquanta milioni di euro per un nuovo edificio e trenta milioni per la demolizione dell’esistente. In realtà, facendo bene i conti, la spesa reale viene stimata in 512 milioni (più di mezzo miliardo), a fronte di 160 milioni per la ristrutturazione dell’attuale struttura (messa a norma compresa) e facilmente realizzabile, vista la possibilità di separazione a blocchi. Non c’è male, per una sanità pubblica che fatica a trovare nuove risorse per garantire un normale funzionamento della assistenza sanitaria e ospedaliera. Tra i sostenitori della necessità di abbattere l’attuale edificio e costruirne uno nuovo appena di fianco, giova sottolineare la compattezza della Politica regionale e dei potentati locali, del tutto indifferenti alle proteste di migliaia di cittadini e alla loro raccolta di firme contro la demolizione dell’ospedale attuale.

Interessante anche sottolineare le motivazioni a sostegno del progetto: si sostiene, ad esempio, che la bellezza è parte importante della cura e quindi un ospedale nuovo (e bello, ma qui si tratta di opinioni) costituisce un elemento fondamentale per migliorare l’assistenza sanitaria. Se quindi la bellezza è la cura, in caso di infarto è consigliabile farsi ricoverare in un posto bellissimo e, nel caso la struttura dell’ospedale verso il quale l’ambulanza si stia dirigendo non assecondi il senso estetico del paziente e dei suoi familiari, pare opportuno chiedere ai soccorritori e all’autista di fermarsi a bordo strada per consultare il catalogo degli ospedali più belli d’Italia. Se invece la diagnosi è quella di un tumore, allora siamo molto più fortunati: abbiamo po’ di tempo davanti e quindi, in attesa dei sei-otto mesi di attesa necessaria per ottenere una PET, ci si può guardare in giro alla ricerca dell’ospedale più bello che c’è e pazienza se quello che ti piace di più si trova in Arabia Saudita. Con quello che costa la sanità privata (oggi l’unico modo che garantisce la riduzione dei tempi di attesa) conviene prenotare un volo per Riyadh e farsi ricoverare al King Adbulaziz General Hospital. Bello è bello e quindi, se la bellezza è la cura, certamente le aspettative di guarigione saranno molto migliori che in un ospedale costruito cinquanta anni fa. E poi magari in Arabia Saudita si risparmia pure.

Insomma, da medico ospedaliero con lunga esperienza sia di sanità pubblica che di una sanità privata tra le migliori in Italia, pensavo che un buon ospedale dovesse disporre di personale preparato, motivato e coinvolto, strumentazione e tecnologia avanzate, buona organizzazione, adeguato supporto informatico, minore carico burocratico/amministrativo sugli operatori, ottima accoglienza per i pazienti e magari un investimento continuo sulla formazione del personale. Evidentemente sbagliavo. Almeno a Cremona è la bellezza (bellezza?) che fa la cura e l’ospedale diventa un ”luogo attivo per l’incontro, l’interazione sociale e punto di riferimento per la comunità, animato da spazi di socialità e luoghi introspettivi per la cura ed il benessere fisico e mentale”.

Non si finisce mai di imparare, soprattutto in Medicina.

 

Pietro Cavalli

quotidianosanita.it

 

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