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“He’s a great gentleman and a great king”, è un grande gentiluomo e un grande re. Così il Presidente degli Stati Uniti ha elogiato il  Re d’Inghilterra sull’uscio del Castello di Windsor davanti a decine di fotografi e giornalisti.

Grandi elogi e complimenti verrebbe da pensare, ma l’espressione sul viso di Carlo III è la stessa di chi riceve un calcetto negli stinchi e non riesce, malgrado tutta la sua regale grazia, a non digrignare i denti un po’ stizzito. Il perché è presto detto: rivolgersi a un aristocratico inglese chiamandolo gentleman é come rivolgersi a un industriale italiano chiamandolo operaio. Eh si, perché nella rigidissima e classista società britannica i gentiluomini sono il meglio della borghesia ma non hanno assolutamente accesso all’Olimpo della nobiltà, ai quali membri ci si rivolgere con il rigorosissimo “My Lord’ o al massimo col più sbrigativo “Sir”. Ma guai, guai a degradare un lord al rango di semplice gentiluomo.

Nel côté delle regole rigorosissime della imperturbable aristocrazia inglese é piu grave persino che farsi versare lo sherry da un cameriere davanti agli altri commensali al tavolo rotondo del dopo  cena, quando le mogli passano alla sala della musica e i lords indossano le loro  vellutate giacche da fumo nelle ovattate smoking rooms, ricoperte dalle severe boiserie di scura quercia inglese. Lo sherry si versa da sé, ognuno per sé e rigorosamente passandosi la bottiglia da destra a sinistra in senso orario.

Gaffe del solito elefantiaco Donald e reazione snob del viziato monarca? Forse.

O forse Carlo III reagisce non stizzito ma preoccupato per la prevedibile reazione stizzita degli inglesi davanti alla gaffe del Presidente. 

Ma forse Donald Trump lo ha fatto proprio apposta, perché tra inglesi e americani, e soprattuto tra i loro Capi nelle visite di Stato, i piccoli dispetti voluti non sono mai mancati, fin da quel fatidico 1776 in cui le amate colonie d’America divennero la prima e più grande democrazia del mondo, non senza aver umiliato le invincibile giubbe rosse del generale Cornwallis grazie alla mitologica traversata del Potomac da parte di George Washington.

Da allora in poi se gli inglesi non hanno più smesso di succhiare il latte dalla mammella americana pur mantenendo un atteggiamento di manifesta superiorità, come dice Le Carré, gli americani hanno sempre subito l’irresistibile fascino dei loro antichi progenitori, non senza fargli un po’ pesare il loro sostentamento economico.

Quando il padre di Elisabetta II, Giorgio VI, andò da Roosevelt a mendicare l’intervento americano contro i nazisti, fu costretto a mangiarsi un imbarazzante hot dog davanti ai fotografi americani durante un tipico yankee barbecue, per ingraziarsi il pubblico americano.

Da parte loro gli inglesi non furono da meno: quando l’inviato del neonato Stato Americano, Ethan Allen, andò in visita a Londra, gli fu fatto trovare un ritratto di George Washington nel bel mezzo del cesso a una cena di gala. Serafico, Allen tornò a tavola levando ai provocatori lords inglesi il divertimento di una sceneggiata furiosa. Incalzato da un incredulo padrone di casa, Ehtan Allen rispondeva che la collocazione del ritratto al cesso era assolutamente consona, perché nessuna vista fa cagare sotto un inglese come quella di George Washington…

Altra piccola notazione assai significativa: nessun presidente americano ha mai indossato alcuna decorazione cavalleresca sul frack di ordinanza richiesto dal cerimoniale britannico, mentre i sovrani inglesi grondano regolarmente medaglie e pendenti in ogni dove. Ebbene, i presidenti americani riaffermano così ogni volta la loro matrice liberale democratica e anti aristocratica davanti ai loro ex governanti. Un po’ come facevano i leaders sovietici che mai e poi mai hanno indossato il borghesissimo smoking davanti ai presidenti USA.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di Archivistica all’Università degli studi di Milano

 

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