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La mostra che il Museo Civico Ala Ponzone, col patrocinio del Comune e la curatela di Anna Maccabelli, propone per l’estate 2025 (dal 5 giugno al 24 agosto) è indubbiamente inusuale essendo dedicata ad un pittore contemporaneo, Giordano Garuti. Il privilegio che gli viene così accordato discende dall’essere, essendo egli nato nel 1930, il decano degli artisti cremonesi ancora in attività. Non si deve però pensare ad un’esposizione squisitamente locale: anche se è vero che la sua pittura discende dall’insegnamento di maestri come Ernesto Piroli e Sereno Cordani, avendo fatto tesoro dell’arte di tutti i pittori del Novecento cremonese, il suo è un profilo artistico che si proietta su un panorama nazionale e internazionale, in sintonia con un’esistenza globale e avventurosa, che ha avuto come campo di proiezione quattro dei cinque continenti. Garuti, però, non si è mosso solo nello spazio, con l’infinità di esperienze che questo comporta, ma anche nel tempo, dall’antico al moderno, cioè dalla pittura antica approfondita nella sua attività di restauratore – anche per questo è giusto che il Museo civico lo accolga –, a quella del Novecento assimilata nella sua veste di copista dei grandi maestri dell’arte contemporanea. L’eccezionalità della sua esperienza di vita e di lavoro giustifica la presenza in mostra di tabelle con i momenti salienti della sua esistenza e, nel catalogo, di un’intervista utile a metterne in luce la personalità.

Si comprenderà meglio, allora, perché la curatrice ha intitolato la mostra GIORDANO GARUTI el Salvaje: ribelle e indomito fin dall’infanzia, formato sui romanzi d’avventura di Salgari, egli ha poi plasmato su di essi la propria esistenza arrivando a condividere la vita di una tribù india dell’Amazzonia, guadagnandosi al rientro nella civiltà l’appellativo, appunto, di el Salvaje. Sbaglierebbe, però, chi si aspettasse di trovare nella sua pittura, che costituisce il suo linguaggio elettivo, una sorta di diario esistenziale rispecchiante la realtà: l’intensità delle emozioni vissute è infatti metabolizzata dalla mente, dalla memoria e soprattutto dall’inconscio. Così filtrata, essa viene riformulata prevalentemente nella forma del sogno e spesso dell’incubo, ma raggiunge anche la quintessenza dell’astrazione pura: “punto, linea, superficie”, per dirla con Kandinskij, senza per questo diventare mai cerebrale.  

La mostra espone una quarantina di sue opere, anche di grande formato, scalate nell’ultimo trentennio, a parte un paio di tele emblematiche che risalgono al 1971. Uniche nel panorama artistico cremonese, le tele mostrano l’assimilazione del linguaggio delle avanguardie storiche e possono spaziare dalla schematizzazione astratta, cui si è fatto cenno, al gioco di incastri del cubismo come al dinamismo futurista; su tutto prevale però la spinta dell’immaginazione che apre all’approccio surrealista ed è comunque preponderante poiché si appoggia, nell’esecuzione, a quell’automatismo psichico che è proprio del Surrealismo: il lapis o il pennello di Garuti, infatti, conducono da sé il gioco, magicamente. Non si pensi ad una passività esecutiva perché è lo sciamano che ha “caricato” gli strumenti – che sia l’esito di un rituale appreso in Africa? L’artista, del resto, lavora circondato da totem africani – né si pensi ad un’intrinseca assenza di coerenza stilistica: da minimo comune denominatore, infatti, agisce sempre un’energia vitale prorompente e inesauribile che guida e raccorda ogni linguaggio, figurativo o astratto che sia ed ogni tema, storico, etico, letterario, intimistico come le sue Maternità, o di altro genere.

Oltre alla ricchezza tematica e all’articolazione stilistica, quella di Garuti si segnala come “pittura raffinata, tanto nella tecnica, fatta di delicate velature, quanto nella capacità di richiamare una tradizione pittorica che attraversa i secoli e arriva fino a noi” (R. Bona, Giordano Garuti al Museo Ala Ponzone, Catalogo della mostra); il che giustifica, ulteriormente, la presenza dell’artista nelle sale del Museo Civico. “Nell’attuale panorama artistico – continua Bona – nel quale l’espressione del concetto ha spesso il primato sull’esperienza tecnica, le sue creazioni rivendicano così il primato della pittura e di una dimensione creativa nella quale è la sapienza della mano a condurre il pensiero alla sua più compiuta manifestazione…. Come in un sogno, le sue immagini prendono moto e respiro sulle tele grazie a una stesura fluida, talvolta impalpabile, che dà vita a forme sinuose, oppure si affida alla geometria, al kosmos di una grammatica espressiva fatta di gesti vigorosi, che tracciano segni carichi di energia e stendono colori gravidi di tensione emotiva. Nella produzione più recente, il suo stile si fa essenziale e raffinato come la trama di un merletto ricamato o di un tatuaggio tribale. Su sfondi neri, punzonature e accurate tessiture bianche o colorate registrano meticolosamente i gesti condensandoli nei segni. Renzo Margonari ha correttamente indicato le radici del suo linguaggio, che si relazionano sulle lunghe distanze nella geografia artistica, da quella occidentale a quella aborigena o africana, dalla modernità surrealista, astratta o informale, al primitivismo di una ritualità medianica e tribale, con modalità che spaziano dagli sbruffi dell’arte rituale sciamanica al dripping dell’action painting.

La sua scrittura si condensa nella calligrafia dei tratti, nelle trine o nei coaguli materici, nelle gocciolature oppure in una pittura pulviscolare o sovrapposta a velature lievissime, che slittano una sull’altra, in trasparenza o con effetto rocciosi-cartacei, avvolgimenti nastriformi o, ancora, in prospettiche intersezioni cubo-futuriste. Garuti si muove con agilità su diversi piani figurativi creando immagini metamorfiche, organismi biomorfi o vagamente antropomorfi che sembrano prendere magicamente vita grazie al gesto dell’artista.

I suoi automatismi espressivi sono il frutto di una sapienza tecnica che si è depositata nel tempo attraverso una lunga consuetudine manuale, grazie a una profonda conoscenza dei materiali e delle pratiche pittoriche. In tal modo, il flusso del suo pensiero può prender forma in virtù di una poetica libera da ogni intellettualismo, ma densa di memoria, su registri spesso drammatici, talvolta violenti e laceranti. La sua capacità creativa, quasi barbarica e mai accondiscendente anche quando si rasserena, è frutto di una sensibilità e di una ricerca che punta alla sintesi tecnica e formale mediante soluzioni espressive anche divergenti, tra astratto e surreale, tra rappresentazione figurale e suo superamento nel segno, nel gesto e nella traccia lasciata lungo il cammino” (Bona, cit.).

“L’accumulo di tale esperienza creativa… impone ormai da tempo un bilancio e una riflessione sul Novecento cremonese, a cominciare dall’individuazione di un luogo fisico che possa essere la casa e il repositorio di questa memoria tanto cara alla città.” (M. Marubbi, “Recuperi onirici di forme abbandonate nei ripostigli della memoria”, dal Catalogo)

GIORDANO GARUTI el Salvaje

Cremona – Museo Civico Ala Ponzone 

via Ugolani Dati, 4

5 giugno – 24 agosto 2025 

mostra a cura di Anna Maccabelli

con il patrocino e la collaborazione del Comune di Cremona

ORARI APERTURA MOSTRA

Per il mese di giugno: da martedì a domenica, 10:00-17:00

Per i mesi di luglio e agosto: da martedì a domenica, 9:00-14:00

CATALOGO

Prezzo di copertina: 29,00 €

Prezzo di vendita in mostra: 20,00 €

INFO

museoalaponzone.biglietteria@comune.cremona.it. – tel. 0372 407770

GIORDANO GARUTI – LA VITA COME AVVENTURA

1930 – NASCE A MODENA IL 30 GENNAIO
1942 – SI TRASFERISCE A CREMONA CON LA FAMIGLIA
1943 – PRIMO LAVORO COME APPRENDISTA MECCANICO. ENTRA A FAR PARTE DI NUCLEI ANTIFASCISTI
1944 – VIENE ASSUNTO ALL’”ARMAGUERRA”, DOVE SI COSTRUIVANO ARMI
1945 – PRENDE PARTE ALLA LIBERAZIONE DALL’OCCUPAZIONE TEDESCA.
PROVA A ESPATRIARE CLANDESTINAMENTE IN FRANCIA IN CERCA DI LAVORO
1947 – VA IN BELGIO A LAVORARE IN MINIERA. VI IMPARA IL FRANCESE E UN PO’ IL TEDESCO
1948 – LE SUE CAPACITA’ LAVORATIVE LO SEGNALANO ALLA DIREZIONE DELLA MINIERA. E’ SPINTO A
FREQUENTARE CORSI SERALI DI INGEGNERIA
1949 – VA IN FRANCIA, A NANCY E POI A PARIGI
1950 – RIENTRA A CREMONA DOVE TROVA LAVORO IN UNO STABILIMENTO DI CARPENTERIA METALLICA DI
PRECISIONE. SI SPOSA.
1953/1957 – VA A LAVORARE IN BRASILE COME TORNITORE. CROLLA LA MONETA LOCALE E CON DUE
AMICI COMINCIA LA PARTE PIU’ AVVENTUROSA DELLA SUA PERMANENZA IN SUD AMERICA: RAGGIUNGE
LA BOLIVIA ATTRAVERSANDO IL MATO GROSSO. A LA PAZ INCONTRA CHE ERNESTO GUEVARA. LAVORANDO
IN UNA FALEGNAMERIA HA LE SUE PRIME INTUIZIONI ARTISTICHE SCOLPENDO CARIATIDI IN FORMA DI
FIGURE IMMAGINARIE. SI UNISCE AGLI INDIOS CIAMA E VIVE CON LORO PER QUASI UN ANNO. SCOPRE LE
ROVINE DI UN INSEDIAMENTO INCAS.
“EL SALVAJE” TORNA ALLA CIVILTA’. DA LA PAZ SI SPOSTA IN PERU’ DOVE, A LIMA, LAVORA COME
TORNITORE IN UN’OFFICINA MECCANICA. I COMPAGNI DISOCCUPATI LO CONVINCONO A TORNARE A LA
PAZ, DOVE CONOSCE IL PITTORE JORGE CALASSO. RAGGIUNGE BUENOS AIRES, IN ARGENTINA, MA,
RIMASTO SENZA SOLDI, SI FA ASSUMERE COME ESPERTO IN MINERALOGIA IN UN LAVORO STATALE NELLA
TERRA DEL FUOCO DOVE LAVORA ALCUNI MESI.

 

INTERVISTA ALL’ARTISTA

A cura di Anna Maccabelli

A.M. – Tu, Giordano, hai vissuto un’esistenza straordinaria, avventurosa, ma anche rischiosa che ti ha portato, più di una volta a mettere in gioco la tua vita: guardandoti indietro, col senno di poi, c’è qualcosa che non ripeteresti?

G.G. – No, non rinnego niente, rifarei esattamente tutto ciò che ho fatto. Sono uno spirito libero per indole ed ho avuto da ragazzo “robuste lezioni di anarchia” dal mio primo datore di lavoro, in pieno periodo fascista. Potrà sembrare incoscienza, ma in realtà è sempre stata accompagnata da una notevole dose di sangue freddo.

A.M. – Non hai, dunque, rimpianti o c’è qualcosa che non sei riuscito a realizzare?

G.G. – Un rimpianto ce l’ho ed è di non aver potuto adottare una bambina, povera figlia della giungla laotiana, selvatica come me quand’ero piccolo. Il pensiero di lei, alla quale non potei che lasciare un po’ di denaro, è nel mio dipinto Il seme del ricordo

A.M. – Ti sei invece pentito di qualcosa che hai fatto?

G.G. – Sì, di aver ucciso con una fucilata il mio cane – Gerabù, si chiamava – per cui non mi avevano dato speranza. L’ho fatto per evitargli ulteriori sofferenze, ma è stato qualcosa che mi è rimasto dentro. Amo gli animali e, se mi è capitato di cacciare nella jungla, è per sopravvivenza. E in un caso nemmeno per quella, come quando ho risparmiato la vita ad una gazzella che, in una zona non ancora raggiunta dall’uomo dove mi trovavo con un gruppo di cercatori d’oro, non fuggiva alla mia vista. Sparai un colpo in aria proprio per insegnarle a temere l’uomo. 

A.M. – Delle terre che hai conosciuto nei vari continenti – non ti è nota solo l’Australia – quale ti ha emozionato di più?

G.G. – Il Tibet, la magnificenza delle sue vette, ma anche l’intrico delle foreste del sud-est asiatico, del Laos non solcate da sentiero alcuno e penetrabili solo via acqua.

A.M. – Questo conferma la tua sensibilità che propende verso il sublime che domina nella tua pittura. Ma io so che tu hai avuto un’esperienza ben più immersiva nella foresta amazzonica…

G.G. – Sì, ho vissuto con gli Indios Ciama, condividendone usi e costumi, per circa nove mesi, realizzando il mio sogno di una vita selvaggia: in preda ad una vera e propria crisi depressiva, me ne ritornai alla base, irriconoscibile, barba e capelli lunghi, meritandomi l’appellativo di el Salvaje, Purtroppo non ho una sola foto che mi immortali in quelle condizioni.

A.M. – Se dovessimo parlare invece della gente con cui sei venuto in contatto, quale popolazione ti ha colpito, con quale sei entrato più in sintonia?

G.G. – La gente dell’America Latina, con qualche distinguo per l’Argentina, forse. Il loro carattere latino mi ha conquistato e il mio estremamente socievole li ha, a loro volta, conquistati. Lì ero riuscito ad inserirmi nell’alta società – in Bolivia frequentavo la casa del vicepresidente – e avrei potuto dare una svolta alla mia vita se non fosse che in Italia avevo legami – mia madre, mia moglie – su cui non potevo passare sopra.

A.M. – E l’Africa, dove hai lavorato a lungo per attivare pozzi d’acqua per la popolazione, non ti ha dato nulla?

G.G. – Vivendo ed operando là, mi sono accorto di quanto abbiano pesato, nei rapporti tra bianchi e neri, gli anni della dominazione coloniale da un lato e la loro mentalità tribale dall’altro. Un episodio su tutti: avendo attivato un pozzo d’acqua ai margini di un villaggio, mi accorsi che il capotribù ne impediva il consumo alla gente degli altri villaggi, come se fosse di sua esclusiva proprietà, suscitando le mie ire.

A.M. – L’ Africa, però ti ha dato anche emozioni intense, nel passato come recentemente, o sbaglio?

G.G. – Sì, posso ricordare la festa della Course Sale che si teneva nella zona pre-sahariana dove ero ospite della tribù nomade dei Peul Bororo, di cui ricordo la grande bellezza. In realtà la festa, che durava giorni richiamando varie tribù sparse sul territorio, non si teneva da anni a causa della siccità. Ebbi io l’idea di promuovere l’evento che poi venne registrato da un operatore della televisione francese, mio amico.

Recentemente, poi, in occasione del compimento del mio novantacinquesimo compleanno, nel gennaio scorso, fui io oggetto di una straordinaria festa, con tanto di danze tribali tradizionali in onore degli Antenati ripresa e mandata in onda dalla televisione del Benin. Io avevo portato in dono una serie di statue africane, che facevano ritorno nella loro terra d’origine e che vennero esposte nello splendido museo de La Termitière. A me fu donato uno splendido, prezioso drappo intessuto espressamente  col mio nome e la raffigurazione di leoni.

A.M. – Il sentimento dell’amicizia, per te sacro, ha dominato la tua vita e ti ha indotto a scelte talvolta autolesionistiche, ma nella tua pittura non è il sentimento dell’amicizia ad essere rappresentato; lo è invece il tema, universale ma anche privatissimo, della Maternità…

G.G. – E’ con mia madre, in effetti, il legame più forte che abbia mai contratto. So di averle dato tante preoccupazioni – non sono certamente stato un figlio docile – ma so anche che nel momento fatale il mio ultimo pensiero sarà rivolto a lei, come scrivo nel verso di una mia poesia (“Da sempre fui ribelle”).

A.M. – Venendo al mondo dell’arte, tu hai avuto a che fare sia con la pittura antica, come restauratore, sia con quella contemporanea. Degli artisti del passato, quale ti ha affascinato di più?

G.G. – Tiepolo! Se lo si guarda da vicino sui ponteggi è evidente che la sua pennellata sciolta, le sue sventagliate di colore anticipano l’arte moderna. Al solo pensarci, mi danno i brividi.

A.M. – Degli artisti moderni, a chi vanno, invece, le tue preferenze?

G.G. – A Boccioni, senz’altro, ma al Boccioni degli albori del Futurismo, dotato di una energia e di una carica potente da brividi anch’essa. Detto questo, nella mia attività artistica, che ho vissuto come un’avventura, ho avuto modo di conoscere e di frequentare molti dei protagonisti dell’arte italiana del Novecento, come De Chirico, Guttuso, Migneco… e altri ancora. Certo, il mio risiedere in una città di provincia come Cremona non ha facilitato la mia affermazione, che pure non è mancata a livello nazionale ed anche internazionale.

 A questo link è possibile scaricare il video dell’intervista a Giordano Garuti: https://www.dropbox.com/t/bB4LpBZVI50fQ9mu

MOSTRA GARUTI – opere in mostra

  1. DIALOGO, 1994, olio su tavola, 97×126
  2. SENZA TITOLO, 2000, olio su tela, 123×133
  3. SENZA TITOLO, 1994, olio su tela, 123×133
  4. AMMONIMENTO, 2003, olio su tela, 176×135
  5. UKRAINA, 2022, olio su tela, 75×72
  6. IL SEME DEL RICORDO, 2000, olio su tela, 138×124
  7. MATERNITA’ CAMBOGIANA, 2000, olio su tela, 147X147
  8. L’ARGONAUTA, 2019, olio su tela, 130×93
  9. RELIQUIARIO KOTA I, 2018, olio su tela, 143×95
  10. RELIQUIARIO KOTA II, 2018, olio su tela, 143×95
  11. RELIQUIARIO KOTA III, 2018, olio su tela, 143×95
  12. COMPOSIZIONE SPAZIALE, 2018, olio su tela, 130×93
  13. COME GUERRIERI MEDIEVALI, 1996, olio su tela, 126×97
  14. IL VITTORIOSO, 1996, olio su tela, 126×97
  15. L’AVVERTIMENTO, 1995, olio su tela, 120×100
  16. IL VERBO, 1995, olio su tela, 120×100
  17. L’OCCUPANTE, 2002, olio su tela, 100×86
  18. L’UOMO E IL SUO DOPPIO, 1993, olio su tela,97×75 
  19. PRESENZE, 2009, olio su tela, 70×100 
  20. DOPO LA CATASTROFE, 1971, olio su tela, 200×140
  21. FONDO MARINO, 1971, olio su tela, 200×140
  22. VISITORS I, 2024, olio su tela, 100×80
  23. VISITORS II, 2024, olio su tela, 80×100
  24. VISITORS III, 2024, olio su tela, 80×100
  25. IL SIGNORE DEL TEMPO I, 2014, olio su tela, 100×130
  26. IL SIGNORE DEL TEMPO II, 2014, olio su tela, 100×130
  27. LE LACRIME DEI VINTI, 2022, olio su tela, 75×75
  28. INFERNO CANTO XXV, 1982, olio su tela
  29. METAMORFOSI DEL CENTAURO (CACO), 1998, olio su tela, 100×70
  30. MATERNITA’, 1993, olio su tavola, 110×80
  31. TUPAKAMARO. LA FINE, 2023, olio su tela, 100×117
  32. GUERRIERI DEL TEMPO PERDUTO, 2007, olio su tela, 133×133
  33. SMARRIRSI, 2015, olio su tela, 140×150
  34. CAVALCANDO LE STELLE, 2005, olio su tela, 100×120 
  35. LAUSANNE, GALERIE DE L’UNIVERS, 2023, olio su carta stampata, 50×60
  36. LA CASA DEI COSTRUTTORI, 2023, olio su carta stampata, 50×60 
  37. ESOTIKA, 2023, olio su carta stampata, 60×50
  38. RP, 2023, olio su carta stampata, 50×60
  39. INCASTRI, 2023, olio su carta stampata, 50×60
  40. YOUNG AT ART, 2023, olio su carta stampata, 60×50
  41. CATALOGO SARTORI, 2023, olio su carta stampata, 50×60
  42. ARCHIVIO ARCHIVIO, 2023, olio su carta stampata, 50×60  
  43. GIBILI, 2023, olio su carta stampata, 50×60 

Le foto delle opere pubblicate in questo articolo

1 – DIALOGO, 1994, olio su tavola, 97×126
13 – COME GUERRIERI MEDIEVALI, 1996, olio su tela, 126×97
15 – L’AVVERTIMENTO, 1995, olio su tela, 120×100 
21 – FONDO MARINO, 1971, olio su tela, 200×140
28 – INFERNO CANTO XXV, 1982, olio su tela
31 – TUPAKAMARO. LA FINE, 2023, olio su tela, 100×117

     

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