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Dove è diretta la politica provinciale? Due le ipotesi. Una, sulla via per le case chiuse, in deroga alla legge Merlin. L’altra, più inquietante e tragica, sulla strada per il baratro della vergogna e dell’impudenza. Della faccia come il fondoschiena. 

Tertium non datur, anche se la speranza di un’alternativa più razionale e vantaggiosa per il territorio non deve essere abbandonata.

L’assemblea straordinaria dei soci per la modifica dello statuto di Padania Acque di giovedì scorso ha confermato e rafforzato l’infimo livello della politica provinciale.  E sarebbe una buona notizia se si fosse toccato il fondo del barile, senza la possibilità di scendere oltre. Ma è più saggio non scommetterci. Al peggio non c’è limite. 

Si dice che il pesce puzzi dalla testa. Se questo è vero, i leader sono i primi imputati del disastro di giovedì e degli altri che in questi ultimi anni hanno caratterizzato il nostro territorio. Bravissimi a parole, in pratica mercanti in fiera. Imbonitori. Professionisti del «venghino, signori, venghino», ma poco empatici e privi del quid che secondo Silvio Berlusconi distingue i vincenti dai perdenti. 

Per esempio, in questa vicenda dove sta Michele Bellini, segretario provinciale Pd? Chi l’ha visto? Scomparso dai radar della politica, sorge il sospetto che abbia abbandonato la carica. Batta un colpo, dica qualcosa e poco importa se non di sinistra.

Gli attuali skipper al timone della politica locale non possiedono né carisma, né furbizia, doti indispensabili per vincere l’America’s Cup, o la meno famosa e più casalinga coppa del nonno, anch’essa assente nella bacheca dei loro trofei. 

Prima di giovedì, mai si era palesata tanta arroganza, strafottenza, spudoratezza nei confronti dei sindaci del territorio. Mai erano stati umiliati in modo così becero e sprezzante i Consigli comunali della provincia.  Mai si era assistito a una pantomima come quella di Simona Pasquali, assessora di Cremona.  Gentile, educata, quasi timorosa, fata Turchina con la bacchetta magica, ha preso la parola a inizio assemblea.  Con lo stile compunto delle gozzaniane amiche di nonna Speranza, famose per le buone cose di pessimo gusto, ha comunicato che poche ore prima il Consiglio comunale di Cremona era stato folgorato sulla via di Damasco. I consiglieri avevano scoperto che il nuovo statuto di Padania Acque non fissava il termine di mandato e s’imponeva la necessità di rimediare. 

Dopo sei mesi dall’invio del testo, sul filo di lana, Cremona si è accorta del presunto vulnus. Ma mi faccia il piacere direbbe Totò. Se così fosse, non si capisce perché il Consiglio comunale di Cremona abbia approvato il nuovo statuto.  Se  si riteneva la mancanza del termine di mandato  grave da morire, la logica avrebbe imposto  di bocciare il documento. 

Scaricare il compito di giustiziere sull’assemblea di Padania Acque e la tempistica inducono a pensare che la manfrina rientri in un’operazione pianificata per fare saltare il banco e non prendersi la responsabilità.

Il limite di mandato non è previsto dalla legge e nel caso specifico sarebbe ininfluente per lo scopo che il nuovo statuto vuole raggiungere: fornire maggiore stabilità alla governance della società. Qualora fosse introdotto, l’efficacia del limite di mandato dovrebbe rispettare il principio ex nunc e non ex tunc, come ha precisato nel suo intervento Filippo Bongiovanni, sindaco di Casalmaggiore. Tradotto: la norma, anche se presente nel nuovo statuto non sarebbe retroattiva.  Per esserlo   dovrebbe essere specificato nello statuto. Nel contempo, però, questa limitazione potrebbe essere oggetto di ricorsi. 

Quello che nessuno ha avuto il coraggio di dire pubblicamente, cioè il  motivo dell’ambaradan, è noto a tutti i politici: impedire a un membro dell’attuale collegio sindacale della società d’essere rieletto per l’ennesima volta. Per pudore hanno chiamato in causa e usato in modo strumentale il principio etico. Per il tizio nel mirino dei moralizzatori della domenica – chissenefrega degli altri sei giorni – è acqua fresca. Potrebbe essere rieletto per il numero dei mandati fissati dal futuro statuto.

Il mandato è di tre esercizi, se venisse fissato il limite di tre rinnovi e il recordman dei sedentari potrebbe in teoria restare  tranquillamente  sulla stessa poltrona per altri nove anni.

Se così stanno le cose, non è fuori luogo chiedersi quale sia il reale obiettivo di questo sconquasso offensivo nei confronti dei consiglieri comunali di oltre cento Comuni. Viene difficile credere che sia solo la necessità di normare l’occupazione di una sedia nel collegio sindacale. Pensare a manovre per favorire la partecipazione di una multiutility a Padania Acque potrebbe essere una supposizione non distante dalla realtà. Tuttalpiù si rischia l’accusa di dietrologia. Pazienza.  Se sono rose fioriranno, ma con molte spine. 

Mai, prima di giovedì, le delibere dei Consigli comunali erano state considerate carta straccia, fors’anche carta igienica.

Mai negli ultimi anni la divisione tra Cremona città, Cremonese e Cremasco è stata così netta. Stupisce che Fabio Bergamaschi, sindaco di Crema e Mauro Giroletti, di Sergnano, si siano astenuti e abbiano votato in modo difforme dal resto dei loro colleghi cremaschi.  Compatti, compresi i rappresentanti di Fratelli d’Italia e del Pd, i cremaschi hanno tenuto il punto e approvato il nuovo statuto. Maggioranza raggiunta ma insufficiente, inferiore ai due terzi necessari per l’approvazione del nuovo statuto. E allora si ricomincia da capo. Come nel gioco dell’oca si riparte dalla prima casella.  Si ritorna in Consiglio comunale. Da arrossire.

Mai la diversità tra Pd cremonese e cremasco è apparsa tanto evidente da instillare il dubbio che la divergenza sia strutturale e non accidentale.

Mai la politica locale era precipitata agli inferi e ancora più giù. 

Mai Pd e Fratelli d’Italia avevano stretto un’alleanza così stretta. Minestrone rossonero o laboratorio sperimentale, non importa cosa sia. Di sicuro, non molti anni fa l’intesa sarebbe stata giudicata contro natura. Oggi è il segno della liquidità politica e del pensionamento degli ideali. Paradossalmente anche dell’ognuno per sé e dio per tutti teorizzato dall’ex parlamentare Antonio Razzi con il celebre «Fatti li cazzi tuoi». 

Raramente un dirigente di partito staziona fuori dall’aula dell’assemblea di Padania Acque, manco fosse un commissario politico sovietico. Giovedì è successo. Il gendarme non era sovietico, ma di Fratelli d’Italia. La sostanza non cambia.

La politica da quattro soldi non manca di aspetti umoristici e del teatro dell’assurdo. Durante l’assemblea di giovedì un sindaco cremasco, con la delega di due colleghi, ha ricevuto messaggi via WhatsApp da un politico cremonese, pezzo da novanta di Fratelli d’Italia.  Il mittente sollecitava il destinatario ad astenersi. È la linea del partito, spiegava nella chat. Il sindaco, di un’altra parrocchia, ha risposto: sono allineato alla mia coscienza. 

Non serve commentare. Il politico è entrato con lode nella galleria di quelle figure speciali rese famose da Emilio Fede. Il sindaco, in quella dei sindaci da ricordare.  Ma è un fotogramma triste e deprimente.

Non è né semplice, né facile invertire la rotta e riportare la politica locale su una via meno pericolosa e più lineare. Ma è un imperativo categorico se si vuole evitare la deriva e la marginalità del territorio. 

Il mondo è cambiato. La fede nel partito non è più cieca. I militanti di oggi non sono i militonti del passato remoto. Inossidabili e inamovibili le vecchie cariatidi tirano ancora i fili dei burattini. I giovani virgulti restano eterne promesse. La politica provinciale è asfittica. Morto che cammina, è sull’orlo del precipizio.  Dopo l’assemblea di Padania Acque, nel solco di Franco Battiato, verrebbe da dire Povera provincia di Cremona.  Ma si può ancora salvare.

 

Antonio Grassi

 

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