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Era il gennaio del 2019 quando ci lasciava Lidia Azzolini, storica dell’arte, studiosa e grande benefattrice della nostra città. Tra le sue ultime volontà piace sottolineare la seguente disposizione testamentaria: “Lego all’Ospedale di Cremona tutte le unità abitative con cantine pertinenziali site a Cremona, piazza Roma 32, con tutto quanto in esse contenuto, affinchè il ricavato venga destinato alla ricerca sulla prevenzione delle malformazioni congenite (Reparto di Genetica)”.

Erano tempi in cui il reparto di Genetica dell’ospedale di Cremona collaborava con Istituti internazionali quali lo University College di Londra riuscendo a proporre, primo al mondo, una terapia specifica per la prevenzione di alcune gravi malformazioni congenite quali i difetti di chiusura del tubo neurale (ad esempio spina bifida e anencefalia). Tempi ormai remoti, visto che negli ultimi anni le scelte dei responsabili della sanità ospedaliera cremonese hanno determinato un livellamento verso il basso e la conseguente scomparsa di quell’attività. Una condizione che supporta l’ipotesi che certa  sanità pubblica funzioni più per raccomandazione che per competenza.

Ma tornando al testamento di Lidia Azzolini, potrebbe essere interessante sapere come è andata a finire la donazione, visto che, a precisa domanda, un precedente direttore amministrativo dell’ospedale di Cremona cadeva dalle nuvole, mentre il personale da lui dipendente pareva addirittura seccato di dover affrontare una ulteriore pratica amministrativa.

Già, come è andata a finire? Siamo curiosi di conoscere l’esito delle buone intenzioni di una cittadina illustre nei confronti di una importante attività ospedaliera, oggi del tutto dismessa (come altre importanti attività specialistiche).

Già, come è andata a finire? Sarebbe bello sapere se vale ancora la pena di contribuire individualmente alla sanità pubblica oppure se ci toccherà assistere rassegnati al suo declino.

Certamente l’eredità di Lidia Azzolini rappresenta un valore economico, per quanto consistente, del tutto marginale rispetto al finanziamento per la costruzione del nuovo ospedale di Cremona, importante non tanto per i pazienti quanto per tutti quelli che dalla sua costruzione possono guadagnare un sacco di soldi. Stakeholder, mi pare si chiamino oggi.

E’ stata comunque una bella storia, quella di Lidia. Lei, che per i pazienti riteneva importante l’attività medica, non quella di capomastro:  lei, che voleva aiutare chi soffriva, senza accorgersi che i tempi erano ormai cambiati e che la sanità cremonese si stava trasformando in una iniziativa edilizia.  Anche per questo ci permettiamo, nel suo ricordo e senza alcun interesse personale, di chiedere se e come  (dove?) si siano concretizzate le sue ultime volontà.

 

Pietro Cavalli 

L'Editoriale

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