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Alcuni mesi fa ho proposto una lettura parziale del tema sicurezza, partendo dall’idea che l’aumento dei reati tipici della microcriminalità — quelli più “visibili” — contribuisca in modo significativo al senso di insicurezza percepito nelle nostre città. Secondo i dati del ministero dell’Interno, in Lombardia, tra il 2019 e il 2023, a fronte di un incremento complessivo dei reati del 4%, quelli legati alla microcriminalità hanno registrato aumenti ben superiori: le percosse sono cresciute del 15,2%, le violenze sessuali del 40,7% e le rapine del 33%. Al contrario, i furti — che rappresentano quasi la metà dei reati denunciati — sono lievemente diminuiti (-1,7%), così come gli omicidi volontari (-2,3%), che oggi si attestano intorno ai 300 casi l’anno in tutta Italia: un dato che colloca il nostro Paese tra i più “sicuri” d’Europa per questo tipo di reati.

Perché citare questi dati? Per mostrare, innanzitutto, che anche la criminalità, come ogni fenomeno sociale, evolve con i cambiamenti della società. Ma anche per collocarli in un contesto più ampio: oggi siamo nel pieno di un processo di sfilacciamento sociale, in cui vengono meno i tradizionali punti di riferimento collettivi. Essere genitori è sempre più difficile; la fiducia nelle istituzioni è in crisi, coinvolgendo anche la scuola e il ruolo degli insegnanti, una professione sempre più complessa, non solo per le retribuzioni insufficienti, ma anche per il crescente numero di episodi di aggressione. A ciò si intrecciano nuove solitudini, nuovi bisogni, la questione della salute mentale e molte fragilità che la pandemia ha contribuito a far emergere, e che ancora oggi persistono.

Parallelamente, l’invecchiamento della popolazione comporta un aumento delle condizioni di non autosufficienza e un crescente carico sulle famiglie. Un tema centrale anche per la nostra provincia, che presenta un indice di vecchiaia — rapporto tra popolazione over 65 e under 15 — pari a 210,7, uno dei più alti della Lombardia, superato solo da Pavia: in altre parole, a ogni 100 bambini corrispondono 210 anziani. Al tempo stesso, anche le esigenze delle nuove generazioni, in particolare della Gen Z (nati dal 1996 in poi), si distinguono nettamente da quelle del passato. Diversi studi parlano di una vera cesura generazionale: il disagio giovanile va interpretato alla luce dei profondi cambiamenti culturali e sociali degli ultimi 10-15 anni.

Tutto questo ci porta a una prima considerazione: ridurre la questione al solo “senso di insicurezza” sarebbe una semplificazione. Questa percezione, sebbene esista, va letta all’interno di un quadro più ampio, segnato da un diffuso pessimismo alimentato dal declino demografico, economico e politico. Lo confermano anche i sondaggi: l’ultimo rapporto FragilItalia, pubblicato a fine 2024 da Area Studi Legacoop e Ipsos, rileva che il 61% degli italiani — l’80% tra i ceti popolari — non prevede un miglioramento della situazione generale del Paese. Il 42% (59% nei ceti popolari) si aspetta una recessione, il 34% una stagnazione, mentre il 63% (70% tra i ceti popolari) teme un ulteriore aumento del costo della vita. A questo clima si aggiunge l’instabilità dello scenario internazionale, che aggrava ulteriormente il senso di incertezza e disagio diffuso. Ormai ogni settimana siamo scossi da notizie terribili: l’ultima con i bombardamenti USA sui siti nucleari iraniani. E pensare che in Italia c’è stato chi proponeva di assegnare a Trump il Nobel per la Pace.

Tutti questi elementi ci possono aiutare a comprendere meglio anche ciò che accade a Cremona. La nostra città non vive in uno “splendido isolamento”, ma è attraversata dai medesimi mutamenti globali che stanno cambiando il volto delle relazioni, delle aspettative e delle fragilità. In tempi come questi, è umano guardare al passato con nostalgia, spesso però in modo selettivo: si ricordano i lati positivi e si rimuovono i problemi, trasformandolo in un mito rassicurante. È un meccanismo ben documentato dalla psicologia e dalla sociologia. Ma per capire davvero il presente — e provare a cambiarlo — serve anzitutto accettarlo e osservarlo per ciò che è.

È in questo quadro che dovremmo inserire la discussione sulla sicurezza, superando le solite contrapposizioni che troppo spesso semplificano il dibattito: anziché contrapporre misure diverse — il controllo dell’ordine pubblico da un lato e la promozione della coesione sociale dall’altro — dobbiamo riconoscerne la complementarietà. Forse è proprio questa la sfida più difficile: riuscire a vedere la complessità in un tempo che ci spinge verso visioni polarizzate. Quante volte assistiamo a dibattiti in cui chi chiede più presenza delle forze dell’ordine viene etichettato come “sceriffo”, e chi propone interventi sociali come “buonista”? Ma la realtà è più articolata e chiede letture meno pigre, più responsabili.

È il momento di sedersi a un tavolo con chi ha voglia di ragionare davvero, partendo dalla realtà e non dalle nostre idee. Rafforzare la legalità è una necessità, non una concessione: tutelarla non significa negare l’importanza di altri aspetti, ma rinunciarvi equivarrebbe ad abdicare a una delle responsabilità fondamentali di chi governa. Allo stesso tempo, non possiamo ridurre tutto a un generico disagio giovanile: occorre interrogarsi con serietà sui nuovi bisogni delle generazioni più giovani. E questo richiede ascolto, volontà di mettersi in discussione — una disponibilità che non costa nulla, se non tempo e umiltà.

Serve anche riconoscere che il fenomeno migratorio, reale e strutturale, deve essere affrontato tenendo conto delle effettive possibilità di accoglienza, che non sono illimitate. E che l’integrazione è un processo concreto, che coinvolge sia chi arriva sia i territori che accolgono.

Infine, ogni scelta deve confrontarsi con le risorse disponibili. Non possiamo fare tutto. I Comuni, in particolare, devono gestire crescenti necessità con risorse sempre più scarse, anche a causa dei continui tagli da parte del governo. Il risultato è che la spesa sociale, pur essendo una delle principali voci di bilancio, spesso fatica a tenere il passo con il crescente numero di bisogni, alimentando nei cittadini la percezione che non si faccia abbastanza.

La sicurezza, nel quadro più ampio che abbiamo provato ad abbozzare, è un tema reale, concreto, sentito. Affrontarlo con serietà, senza scorciatoie o ideologizzazioni, è una responsabilità che la politica non può eludere. Ma è anche un’opportunità: quella di dimostrare che la politica può ancora incidere sulla vita quotidiana. In un’epoca segnata da disincanto e astensionismo, offrire risposte credibili su ciò che davvero conta è forse il primo passo per ricostruire fiducia, partecipazione e senso di comunità.

Nessuno, tantomeno noi, ha formule magiche o ricette perfette. Ma offriamo una disponibilità autentica a confrontarci: con gli esperti, con le altre forze politiche, con le associazioni e con tutti coloro che vivono la città. Per costruire insieme un percorso condiviso, che non divida ma ci aiuti a trovare risposte adeguate.

 

 

Michela Bellini

segretario provinciale del Partito Democratico di Cremona

 

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