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Nell’incalzare degli eventi luttuosi di Gaza, dell’Ucraina.., ho pensato di proporre questa storia  vera, che seguo da tempo. 

Sarà che ho il mare nel sangue, che amo profondamente la Sardegna, che il mistero delle persone  scomparse mi ha sempre molto affascinato per cui, quando mi arrivò la notizia dei due giovani  fratelli Giuseppe e Lorenzo Deiana, dispersi in mare dalla vigilia di Pasqua, il 19 aprile scorso, dopo che erano usciti a pesca con la loro piccola barca da Olbia in direzione Capo Figari, mi sono  attaccato a questa notizia e non l’ho più mollata. Nell’attesa vana che mi arrivasse prima o poi la soluzione  dell’arcano, nel bene o nel male,,perchè c’è qualcosa di peggiore di una brutta notizia,e cioè l’assenza di notizia, qualunque essa sia: il non sapere come è andata a finire, il non poter ricongiungersi coi  propri cari, sia come sia. 

A un mese dall’evento, il 19 maggio, la madre Simona sui social lanciò l’ennesimo messaggio ai  figli in cui diceva: “Ci sono madri che si svegliano la mattina col dolore per il proprio figlio che  sanno di non vedere più, ma sanno che possono andare a donare un fiore ogni qual volta ne sentono  il bisogno.  Ci sono madri come me invece che si svegliano con un dolore disarmante, che ti mangia l’anima,  perchè piangi due figli che non sai dove sono, che non sai cos’è successo, che non sai come stanno. Da un mese esatto non li vedo più, non li sento più, è un dolore che ti mangia, mi mancate figli  miei.” 

Quindi, il 25 maggio  scrisse: “Quanto dovrò ancora aspettare?”. 

Il dolore che ti divora dentro, che ti toglie le difese, la forza di combattere, di resistere e  l’impazienza dell’attesa perchè, altro dato, rispetto a un figlio non più tornato, è che si vive in una perenne, frustrante attesa. Un dolore pazzesco per una donna già rimasta vedova. 

“Amo ti prego non ce la faccio più, scrisse disperata Francesca, la compagna di Lorenzo. “E’  troppo brutta come cosa..basta che per favore lo tocco e sta qui e non lì”.  

Strane feste queste ultime di Pasqua, perchè due giorni dopo, il lunedì dell’Angelo, accadde un  evento luttuoso estremamente raro, ma che subito fece il giro del mondo, e cioè la morte di Papa  Francesco.   

Lo stesso giorno, tornando alle storie di mare, accadde un altro evento estremamente raro nel  Mediterraneo, per quel che è dato sapere, ma di una gravità incredibile e ciò nonostante noto a  pochi. A poche decine di metri dalla spiaggia di Hadera, in Israele, un bagnante venne divorato da tre squali, due grigi e uno nero. A dispetto di quegli “esperti” che dicono che gli squali grigi non  sono pericolosi, e di cui abbiamo una zona nursery  (di riproduzione) nell’Adriatico al largo tra  Cervia e Ravenna

I due fratelli uscivano spesso il sabato mattina a pescare, dunque non erano degli sprovveduti, ma  quel giorno avvertirono che sarebbero tornati presto, all’ora di pranzo, massimo primo pomeriggio, perchè sapevano che le condizioni meteo sarebbero peggiorate.  E invece non tornarono. L’ultima cella li collocava in mare aperto, in direzione nord est. Dalle  16.30 i loro cellulari smisero di funzionare. Alle 19.50 Francesca allarmata avvertì la  Capitaneria di Porto che non se ne stette con le mani in mano e avviò subito le ricerche, anche se ormai era tardi perchè il buio incombeva, rendendole problematiche, finchè infatti furono sospese e riprese prontamente alle prime luci del giorno successivo, la domenica di Pasqua. Che bella Pasqua  per loro! 

Non si stette neppure a badare al dispendio di forze. Le ricerche furono attivate per cielo terra e  mare, tra Guardia costiera con le motovedette, quindi sommozzatori, vigili del fuoco, droni  (nucleo Sapr). Fu persino attivato un elicottero dalla base militare di Decimomannu, quindi un altro da Alghero, e poi mezzi navali della polizia di Stato, moto d’acqua,sonar, quindi un Rov  messo a disposizione da un privato per scandagliare i fondali, e infine tanti volontari in azione. 

La domenica di Pasqua 20 aprile furono ritrovati in mare degli effetti personali attribuibili a loro:  uno zaino, due stivali, una canna da pesca, una tanica per benzina e una cassa per i pesci, ma di  loro due, e della barca, nessuna traccia. 

Nei giorni successivi ,presso l’isola di Soffi che è ben oltre il Golfo di Olbia e cioè in Costa  Smeralda, fu ritrovato un parabordo, una sorta di protezione esterna della loro barca. E poi più nulla, salvo un paio di scarpe da ginnastica. 

Ma com’era possibile che con tutto questo dispiegamento di forze, i ragazzi e la barca non si trovassero? Telefonicamente la Capitaneria di porto di Olbia mi spiegò che quelle acque sono molto  insidiose, hanno delle correnti imprevedibili e potenti che potevano aver spinto i corpi dei  ragazzi chissà dove, se annegati, oltre a presentare secche e fondali che superano i 100 metri di  profondità come alla Tavolara. E in effetti il parabordo trovato all’isola di Soffi ci poteva stare con la potenza delle correnti. Già, ma almeno qualche rottame della barca si sarebbe potuto trovare e se  annegati, i corpi dei ragazzi, non sarebbero dovuti riemergere?  Non necessariamente. E questo porta a un seconda ipotesi presa in considerazione, quella della  collisione con un grossa barca.  

C’era stato un precedente, il 10 agosto 2023, quando il traghetto Moby Sharden mandò a picco una  barca di due pescatori, uno dei quali, il capitano, si salvò mentre l’altro, il senegalese Diome Mandè di 41 anni, morì annegato e fu ritrovato a 89 metri di profondità il 27 novembre, quindi dopo quasi  3 mesi e mezzo. In che condizioni fu trovato il suo corpo, però, non si sa. 

Ci siamo quasi come tempi nel nostro caso, ma viene anche un altro dubbio. Non può sembrare  strano che nonostante un così ampio dispiegamento di forze nell’immediato, non si sia trovato nulla  di loro e della barca? E quand’è che una cosa appare strana? Quando, ad esempio, sembra inverosimile.  Allora sarà vero che non hanno ritrovato i ragazzi e neppure la barca? E in caso contrario, perché non dovrebbe dircelo? Forse perché non conviene dirlo? 

Nel frattempo qualche giornale online scrisse che in paese si erano diffuse strane voci che però non trovavano conferma. Ma quali voci? Perchè non ce lo dicono? Quella che vorrebbe  essere una smentita, rischia perciò di essere un autogol ed alimentare quelle voci. Già, ma quali? 

Nel frattempo sul caso cala il silenzio online, non so sui social perchè non vi sono iscritto, finchè  si arriva al 12 luglio, quando sulla spiaggia di Bados, nello stesso golfo di Olbia da cui tutto è  iniziato, una bagnante vide, portati dal mare sulla spiaggia, dei resti organici di dubbia origine.  Animale? Parve di no, piuttosto umana: dei brandelli di carne. L’area fu transennata, i  resti numerati e portati via per l’accertamento autoptico. Di chi erano quei resti? Perchè quei  resti ridotti così? Ci poteva essere un collegamento col caso dei due pescatori? A mistero si  aggiungeva mistero.  

Sono passate ormai tre settimane dal fatto e nulla più si è saputo. Non solo, quel tratto di spiaggia è stato presto liberato dai nastri bianco rossi così che tutto tornasse rapidamente come prima, che  nessuno si facesse delle domande in merito. La vita di mare doveva riprendere nella sua  “normalità” e i giornali online presto smisero di scrivere. Dal 15 luglio non ho trovato più alcuna  notizia. 

E insieme con la Procura, tace anche il mare: un silenzio diventato un macigno intollerabile per  mamma Simona e per Francesca. Un mare stupendo ma che sa essere tremendo quando volge a  tempesta come ben sanno i pescatori locali, e che serba nei suo profondo chissà quanti tremendi  segreti. 

Le foto dei due ragazzi erano ancora rintracciabili sulle vetrine di alcuni negozi a fine maggio. Quei visi  sorridenti, aperti alla vita e scomparsi in un mare di misteri che sembra poco probabile possa  svelarsi, grazie forse anche alla “complicità” dell’uomo, che sa ma non può dire o forse, chissà, che sia tutta opera di un destino beffardo, incomprensibile, e che schiaccia noi umani sotto un pesante  fardello di interrogativi senza risposta. 

 

Stefano Araldi

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