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Il principio di sussidiarietà verticale, previsto dalla legislazione vigente, assegna ai Comuni funzioni di carattere sociale. Un campo assai vasto. Comprende interventi per infanzia, tutela dei minori, asili nido; disabilità anche in ambito scolastico.  Poi anziani, soggetti a rischio di esclusione sociale, famiglie, diritto alla casa. Ancora cooperazione e associazionismo.  E non solo. 

In questi anni la crescita della precarietà, l’aumento di adulti vulnerabili, l’incremento delle difficoltà scolastiche hanno generato richieste di aiuto sempre più numerose e pressanti. Ma anche più differenziate e specialistiche.

Per fornire una doverosa, efficiente ed efficace risposta a queste istanze dei cittadini, i Comuni hanno impegnato e impegnano significative risorse. Uno sforzo che ha inciso e incide in maniera significativa sui loro bilanci. 

Se il trend di crescita per la spesa sociale, che rientra tra quelle correnti, prosegue con il ritmo attuale, per i Comuni la situazione potrebbe diventare preoccupante. Anche tragica per i più piccoli.

Cinzia Fontana, fino a pochi mesi fa assessora al bilancio del Comune di Crema, spiega quanto è successo, succede e potrebbe succedere. Una disamina precisa, magistrale, su un aspetto preciso del problema: i minori: «Un tema complesso, delicato, quello della spesa sociale dei Comuni, che ha a che fare con la tenuta sociale delle nostre comunità in questa fase difficile e, dentro questa, il tema centrale della tutela dei diritti dei minori. Tutto in capo ai bilanci dei Comuni, tutto scaricato sui bilanci dei Comuni: c’è il tema relativo all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (numero esploso nel 2023), c’è la crescita degli affidi giudiziari (segno anche della difficoltà e della fragilità di molte situazioni famigliari), c’è l’aumento vertiginoso delle richieste di assistenza educativa e scolastica speciale (SAAP), c’è il tema degli sfratti (in particolare delle famiglie con minori a carico). Una serie di costi difficilmente programmabili per i Comuni data l’imprevedibilità della spesa. Costi, comunque, tutti a carico degli enti locali, per alcuni dei quali la spesa è ormai divenuta insostenibile».

Ma non è tutto. Per un quadro esaustivo del problema è necessario contemplare la possibilità, per niente peregrina, di un ampliamento della platea delle fragilità.  Delle marginalità sociali.  Degli ulteriori interventi sollecitati ai Comuni. Delle conseguenze sui bilanci.

Dal 2019 al 2023, per la sola assistenza ai minori il Comune di Crema ha subito un incremento del 132 per cento. Il Servizio di Assistenza per l’Autonomia Personale (SAAP), finalizzato a favorire l’inclusione scolastica e sociale degli alunni con disabilità, è  passato da una spesa di 813.991 a 1.911.830 euro. È cresciuto del 133,9 per cento. 

I Lep (Livelli essenziali di prestazione) rappresentano la soglia minima – uguale per l’intero territorio nazionale – da garantire a tutti i cittadini in merito ad assistenza sanitaria e sociale, istruzione, alle prestazioni previdenziali per i lavoratori e altro ancora. Dunque, il minimo sindacale. Ecco il punto.  I Lep non rappresentano l’azione ottimale. In termini provocatori i Lep sono il piuttosto di niente, piuttosto.  Un piuttosto che non può essere standardizzato. Un Comune di 6 mila abitanti dell’hinterland milanese ha esigenze sociali diverse da una comunità di mille abitanti della campagna cremonese. Un dato di fatto che non ha nulla da condividere con l’autonomia differenziata, precisazione doverosa per evitare interpretazioni fuorvianti.

Il numero delle assistenti sociali previsto dai Lep è pari a una ogni 5 mila abitanti.  Il Cremasco ne conta una ogni 3 mila. Questa situazione collocherebbe la Repubblica del Tortello tra i territori privilegiati.  Giudizio superficiale e opinabile. 

Il numero delle assistenti sociali superiore alle indicazioni dei Lep rappresenta il fabbisogno reale dello specifico territorio cremasco. Fabbisogno della realtà sociale locale. Fabbisogno emerso dall’esperienza maturata in anni di lavoro della Comunità Sociale Cremasca e dagli assessorati dei singoli Comuni. Elemento di realtà, non sminuisce il valore dei Lep i quali, con i limiti evidenziati, segnano un confine oltre il quale c’è il precipizio. Il baratro. La disperazione. 

Se così stanno le cose, oggi i Comuni cremaschi devono decidere se proseguire con un servizio ottimale, oppure adeguarsi alle indicazioni dei Lep.

Accettare la diminuzione in atto del numero delle assistenti sociali certificherebbe il fallimento di un modello.  Una regressione.  Una sconfitta.  La fine della speranza. L’impossibilità di uscire dal tunnel. L’inizio di una notte senza fine.

Al contrario, decidere di mantenere l’attuale livello di servizio attesterebbe una vitalità rassicurante per i cittadini. Sarebbe un segnale d’impegno. Di determinazione. Sarebbe Patti Smith: «Io credo che tutto quello che sogniamo può arrivare».

Lottare – l’uso di questo verbo non è casuale – per continuare sulla via tracciata è una scelta politica.  Dirimente. Nulla di più. Pleonastico aggiungere altro.

«Ecco perché i Comuni – precisa la già citata Nilde Jotti del Comune di Crema – non possono essere lasciati soli a gestire questi fenomeni, fenomeni sociali che tanto si intrecciano anche con il socio-sanitario e con il campo dell’istruzione. Soprattutto se crediamo che un investimento sulle persone e sulle famiglie più fragili è un investimento sul territorio perché è investimento sulla coesione, sulla tenuta democratica e sulla crescita del territorio stesso».

Che fare per tenere il punto?  Tre le alternative.

La prima. I Comuni si mobilitano per chiedere a Regione e Stato di trasferire agli enti locali più fondi finalizzati alla spesa sociale. Richiesta motivata dall’incremento delle domande di interventi e dall’impossibilità di sostenerli. Opzione, per un numero infinito di motivi, difficilmente percorribile. 

La seconda. I Comuni intervengono con la razionalizzazione dei servizi sociali erogati attraverso un’attenta analisi dei costi e un maggior controllo degli stessi.  Con una valutazione puntuale dei bandi ai quali partecipare.  Non sono la corsa all’oro. Al contrario, sono una cambiale da onorare.  La partecipazione ad essi è giustificata se favoriscono un intervento indispensabile o già in atto. Meno condivisibile in assenza di queste due condizioni. Se il contenuto del bando rischia di essere un fiore all’occhiello. È il momento del massimo pragmatismo.  Non dei complementi, i quali ancorché utili non sono necessari. Lavoro ingrato quello dell’assessore ai Servizi Sociali.  In prima linea, opera scelte difficili, spesso dolorose.  Meriterebbe il paradiso.  Ma non è così. 

«Tu sei buono e ti tirano le pietre. Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai». 

La terza. I Comuni iniziano un percorso per la revisione dell’organizzazione della Comunità sociale cremascaNessuno la mette in discussione. Interpreta e rappresenta in modo esemplare i concetti di Area omogenea. È, come Consorzio.it, un braccio operativo dei Comuni. Per lei lunga vita e tanto di cappello anche agli operatori per l’impegno profuso nel rispondere alle richieste dei Comuni.  Questo non impedisce che alcuni meccanismi di gestione e di controllo necessitino di un restyling. Di un adeguamento alle nuove esigenze sociali ed economiche imposte dell’evolversi della società.

La decisione, impegnativa, spetta ai sindaci. E non è più procrastinabile.  

«Fare o non fare. Non c’è provare», suggerisce Yoda, gran maestro Jedi.  Chiaro?

I Servizi Sociali non sono un problema. Nemmeno un lamento. Sono sussidiarietà e solidarietà. Civiltà. Orgoglio di una comunità. È  San Martino che dona il mantello e scoppia l’estate.

 

Antonio Grassi

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