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A complete unknown, è un film recente.  Racconta, bene, un pezzo della vita di Bob Dylan.  Rinverdisce il mito del bardo del rock. Stimola al riascolto di cd dimenticati.  Induce a riflettere sui tempi cambiati. In peggio. Il film ricorda che in Blowin’ in the Wind la risposta stava nel vento, ma pochi l’hanno colta, compresa e seguita.  A Cremona, forse, ancora di meno l’hanno ascoltata. 

E il mondo migliore auspicato da quella generazione di utopisti è rimasto nelle pie intenzioni, sostituito da una quotidianità spesso alienante e priva di prospettive. Una realtà distopica, preconizzata da John Carpenter in Fuga da New York che, abbandonato lo schermo, è scesa nelle strade e ha occupato le piazze. Il mondo migliore si è ritrovato più violento e insicuro. Più aggressivo, più rissoso, più vandalico. Più controllato. Con più telecamere e meno libertà e privacy, anche se lo si nega e si giura che sia il contrario.     

Il mondo migliore è oggi fantasia. Quello di Cremona è una città ingessata. Un mondo ripiegato su se stesso, che rimira il proprio ombelico o l’ammennicolo  più in basso di una spanna. Che si autocompiace delle proprie doti. Ma chi si loda s’imbroda. 

Il mondo migliore è una città miope, che mentre traccheggia non vede gli avversari correre. Che è convinta di viaggiare in Ferrari, quando è alla guida di una Cinquecento.  

Convinta d’essere Luigi XIV,  ha trasformato «L’état c’est moi» del Re Sole in «La provincia c’èst moi», ma Cremona non è neppure la luna.

Il mondo migliore è l’aria impregnata di polveri sottili. 

È il riconoscimento di «terzo capoluogo in Lombardia per suolo consumato, dopo Milano e Brescia» (Cremonaoggi, 25 ottobre 2023).

È un’area di 90mila metri quadri di superficie coperta per l’assemblaggio e lo smistamento merci. Operazione con il via libera del Comune e in attesa dell’imprimatur regionale. Nulla osta  in calendario il mese scorso, ma rinviato (Martina Colucci, Telecolor 3 marzo).  

È l’attestato di seconda città in Lombardia e ventesima in Italia con la maggiore perdita di attività commerciali (Cremonasera, 21 marzo).

Il mondo migliore è la mancanza di dialogo tra Amministrazione comunale e cittadini dissidenti, spinti-costretti a raccogliere firme per farsi ascoltare, ultima spiaggia della democrazia partecipata. Ultima arma degli esclusi per essere inclusi. Ultima sfida dei pochi mohicani rimasti, che ancora credono nell’irrinunciabile diritto di lottare per i propri ideali. In un contesto dove il disinteresse e il disimpegno sono il mainstream, il fiorire delle petizioni, se da un lato conferma l’incomunicabilità dell’Amministrazione comunale, dall’altro segnala un barlume precario di coscienza civica. 

Sono state raccolte firme per contrastare il biometano a San Rocco, per opporsi alla costruzione del nuovo ospedale e per impedire l’abbattimento delle mura nell’area Frazzi.

In questi giorni è partita la campagna sulla destinazione dei fondi per il risarcimento dell’inquinamento Tamoil (Vittorianozanolli.it, 22 marzo). Diatriba assurda e kafkiana, vede il Comune impegnato a testa bassa per dimostrare di possedere attributi virili d’acciaio e inossidabili. Per affermare il principio del qui comando io, in rotta di collisione con i cittadini.  Atteggiamento inconciliabile con lo sbandierato concetto di partecipazione, mantra di tutti i pubblici amministratori. 

A complete unknown è un pezzo di storia di un popolo di illusi, alimentato da un pacchetto di straordinari sogni e da una coppa di bollicine di speranza. 

Con tempismo da manuale e opportunismo degno di migliore causa, la carovana con i protagonisti di quella stagione ha pensionato Like a Rolling Stone e si è accodata al carro della comfort zone. E chissenefrega se le pietre che rotolano finiscono nel precipizio. Problemi loro e chi s’è visto s’è visto.  E così oggi il mondo migliore pullula di giovani senza bussola, privi di prospettive, confusi. Precari o carrieristi spietati.    

La politica cittadina è infarcita di golden boys che promuovono e blaterano  di cultura del cambiamento, intesa come sostituzione dei titolari delle sedie, senza scalfirne il potere. Figurine sbiadite, i giovani virgulti replicano riti di vecchie glorie stantie, ma poco intenzionate a mollare lo scettro. Fotocopie venute male, gli ambiziosi boccioli, privi di qualità, risultano dei surrogati dei loro sponsor politici, pigmalioni molto interessati al successo dei propri figliocci per garantirsi  il proprio potere. Contoterzisti, megafoni e ventriloqui del loro angelo custode, i germogli non germogliano. Restano delle scartine, con la prospettiva di diventare dei fanti.  La Nutella è la Nutella.  Il Real Madrid è il Real Madrid.  Luciano Maverick Pizzetti è Luciano Maverick Pizzetti. Chiuso. Non ci sono storie. Non c’è trippa per i gatti. Non ci sono sostituti.  

Il nuovo che avanza è già arrugginito.  Revamping del dejà vu, è make up venduto bene. Continuità coperta dal belletto trova nel  documento congressuale del neosegretario provinciale PD, Michele Bellini la conferma di questa affermazione. Il titolo suggestivo e intrigante della relazione (Oltre il presente. Radici per crescere. Visione per cambiare) invita alla lettura, ma al termine delle trentasette pagine ci si accorge che si tratta di un buon prodotto di marketing. E poco altro. 

Immaginare Cremona in Desolation Row, non sarebbe una bestemmia. Non una macchia di inchiostro su una tovaglia immacolata. Canzone tra le più lunghe del menestrello di Duluth è complessa e densa di simboli. Poetica e surreale.  Felliniana per i cinefili, racconta di circhi in città e di commissari ciechi.  Di Cenerentola e del Gobbo di Notre Dame. Di Caino e Abele. Di Einstein travestito da Robin Hood. Di molto altro.

Se così è, perché nella Desolation Row cittadina non inserire Pizzetti, plenipotenziario del Pd e Marcello Ventura, generalissimo di Fratelli d’Italia, il cui feeling è fulgido esempio di politica machiavellica?  Perché non metterci Andrea Virgilio, paradigmatico esempio di sindaco oscurato dal presidente del  Consiglio comunale? Perché tralasciare Ezio Belleri, direttore generale dell’Asst di Cremona, nonché Goffredo di Buglione alla guida della crociata per la costruzione del nuovo ospedale? 

Perché dimenticare Maria Vittoria Ceraso, che non è Giovanna d’Arco e non finirà al rogo, ma è brava a criticare a tempo debito e nella forma giusta? Perché non citare la pentastellata  Paola Tacchini, che non è Anna Kuliscioff, ma prova ad esserlo? 

 E perché non considerare i due Clint Eastwood Michel Marchi e Luigi Lipara, infallibili cecchini della raccolta firme? 

Perché non menzionare Enrico Gnocchi, tritasassi della contestazione al nuovo ospedale, foruncolo sul culo di Goffredo di Buglione?  Perché omettere Rosella Vacchelli, zanzara fastidiosa, implacabile a pungere con precisione svizzera l’esercito dei crociati-muratori. 

Perché sorvolare su Chiara Capelletti, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, un po’ trascurata dal partito, ma conscia del suo  ruolo di minoranza?  Perché dimenticare Jane Alquati, leghista,  pronta a sfoderare la spada di Alberto da Giussano, e a incrociare il ferro, esercizio raro in riva al Po?  E poi perché non sottolineare il coraggio del forzista Andrea Carassai che, senza timore, ha criticato il top gun Pizzetti?  

Perché non metterci Alessandro Portesani, candidato sindaco civico. Perché non dedicargli qualcosa di più di una citazione nella Desolation Row cremonese? Sconfitto da Virgilio, non si è abbattuto. Ha fatto la cosa giusta.  Si è rimboccato le maniche. Ha scelto il passo del montanaro e, senza fretta, ha iniziato a scalare la montagna. Ha intuito che probabilmente anche per Cremona i tempi sono maturi per doppiare Capo Horn. 

Già,  The Times They Are a-Changin’, canta Bob Dylan che precisa:«L’ordine sta rapidamente scomparendo ed il primo oggi sarà l’ultimo domani perché i tempi stanno cambiando». 

 A Cremona i tempi  non saranno così rapidi. Ma non lontanissimi se Portesani proseguirà il cammino intrapreso. 

A complete unknown, funziona per chi ha creduto nella rivoluzione ed è stato deluso, ma nutre ancora una speranza. Per quella Cremona sconosciuta che arde sotto le ceneri. E attende di poter brillare.

 

Antonio Grassi

 

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