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GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Davvero non si può dire che il locale centro sinistra, edera  tuttora vigorosamente avvinta al potere grazie anche al novello innesto botanico di Fratelli d’Italia, manchi di ferree logiche di continuità. Il commercio del centro storico langue e protesta? Bene, ecco l’assessore Zanacchi annunciare che nuove panchine e nuove fioriere rilanceranno il primo tratto di corso Garibaldi. Si cominciò a confidare nelle capacità taumaturgiche del sedicente restyling all’incirca una ventina d’anni fa con la leggenda metropolitana delle famose onde blu. Di fatto, banali strisce di pittura blu che, confidando in una duratura siccità, dovevano conferire a un tratto di selciato del centro avvenenza esotica e irresistibile capacità attrattiva. Risultato? La crisi del commercio continuò e non smise di aggravarsi.  Sensibile come chiunque alle cose belle, non ho ovviamente obiezioni di principio a che qualche pianta e qualche panca abbelliscano gli spazi cittadini. Quel che inacidisce la penna di chi scrive, e quel che è peggio l’umore  di tanti cremonesi, è ben altro. E’ la sensazione che i decisori di Palazzo seguano ripetitivi e inefficaci moduli di risposta alle criticità locali affidandosi a un’appiattita visione che non sa, o non vuole, distinguere il serio dal futile, il secondario dal prioritario, la magagna innocua da quel che realmente può compromettere la vivibilità presente e futura del territorio. Ed è ormai indubbio che sia questo il caso dell’allarmante situazione relativa alla sicurezza.

Non passa giorno senza un accoltellamento, una rapina, una rissa. Troppo comodo illudersi  che la faccenda sia di pertinenza esclusiva di Prefetture e comandi di Polizia, insomma pura questione di ordine pubblico da ristabilire. E’ ovviamente anche questo. Ma non solo questo.  Ben più sensato è ammettere che la violenza giovanile che si manifesta in forme clamorose e penalmente rilevanti è solo la punta di un iceberg la cui parte sommersa, un insieme di pulsioni negative e distruttive di varia origine e causa, ci resta sostanzialmente sconosciuta e ha potuto arrivare fin qui potendo contare su una diffusa e prolungata indifferenza sociale e istituzionale. Tanti i fattori in gioco.  A cominciare da un’immigrazione incontrollata e non gestita che ha scaricato sul nostro tessuto uomini, donne, minorenni provenienti da realtà sociali, istituzionali e relative esperienze di vita completamente diverse dalle nostre, spesso estranee a quel che in una normale democrazia occidentale s’intende per legalità o convivenza civile fondata su sistemi di regole e di rispetto reciproco.

Non si tratta di demonizzare la diversità ma di guardare ai fatti in termini di onesto realismo. Su  quel che avviene per esempio in certi ambiti scolastici andrebbe fatta adeguata luce. E’ il caso dei molti adolescenti, magari minorenni non accompagnati, che al momento dell’immissione nel nostro sistema scolastico non possono essere inseriti in classi corrispondenti alla loro età a causa dell’insufficiente o nulla preparazione di base. E dunque può capitare che un sedicenne venga piazzato fra bambinetti di dieci o undici anni che, per un meccanismo tipico dell’età, non tardano a riconoscere  in lui, tanto più grande e magari spavaldamente ‘macho’, un capo da ammirare e seguire. E così, nell’inconsapevole leggerezza ludica dell’infanzia, il seme della prepotenza come normale postura per stare nel mondo e farsi valere è gettato e messo in condizione di germogliare. Tant’è che dagli zaini scolastici spuntano sempre più spesso tirapugni e coltelli. Vogliamo parlarne? Oppure è normale che proprio la scuola, luogo formativo per eccellenza,  già indebolita dalla rottura del precedente patto educativo fra insegnanti e famiglie,  rischi di diventare in certe condizioni campo di addestramento di future baby gang?  Fenomeno in parte estendibile ad alcuni oratori cittadini e causa non ultima di quella più generale smobilitazione delle strutture parrocchiali per gli adolescenti che sottrae un ulteriore tassello ai precedenti e non inutili percorsi formativi.

Nessuna intenzione, peraltro, di identificare in un certo tipo di immigrazione l’unica causa  dei nostri guai. Guai che sono anzitutto la risultante del nostro gigantesco fallimento educativo.  Una pretestuosa assimilazione del concetto di autorità a quello di autoritarismo ha indotto tanti ad alzare bandiera bianca e defilarsi da quel cruciale impegno educativo che non può che investire, in prima e principale battuta, padri, madri e famiglie. Dov’eravamo mentre cresceva, blindata nei suoi Social, questa generazione di apparenti alieni che oggi ci sorprende e spaventa? ‘Tenere fuori dalla portata dei bambini’: un’avvertenza in cui tutti ci siamo imbattuti. Forse siamo riusciti a tenerli lontani dai più ovvi pericoli domestici ma non abbiamo saputo con pari cautela ripararli da ben  altre e più distruttive tossicità che  li hanno raggiunti in quella delicata fase della vita in cui  si assorbono codici di comportamento e sistemi di valore. Quanta spazzatura è stata rovesciata sulla loro infanzia da un bombardamento mediatico che da decenni ha nelle dinamiche dell’omicidio, della perversione e della violenza il principale se non unico ingrediente narrativo?  Per anni liberamente circolarono videogiochi asiatici, di gran successo fra i più piccoli,  che istruivano su come uccidere la nonna o piombare coll’auto in corsa sulle strisce pedonali ottimizzando il numero delle vittime. Giochi? Sì, solo giochi. Ma nell’età in cui il  confine fra realtà e finzione è ancora labile, la violenza, di fatto assimilata al gioco, è stata sdoganata come normale pratica di vita. 

Esploso anche a Cremona il problema delle baby gang, da un’inchiesta è risultato che l’80% dei ragazzi ritiene che l’uso della forza sia un normale codice di comportamento sociale. Vero o falso che sia, resta il fatto che le devianze  si collocano su uno sfondo di crescente ignoranza, infallibile concime di ogni miseria civile.  Se il Novecento ci ha alfabetizzati, il Duemila ci riconsegna all’analfabetismo: adolescenti non più in grado di capire il significato di un testo scritto o tanto assuefatti al digitale da non saper più leggere le lancette di un orologio analogico e così via. A cominciare dalla piaga dell’alcolismo precoce, come leggere queste diffuse pratiche di vita e nuove povertà mentali se non come il chiamarsi fuori di troppi giovanissimi dalla vicenda civile del proprio tempo?

Avremmo bisogno dell’eroica forza comunicativa, coinvolgente e redimente di un nuovo don Bosco. Ma uno così non c’è. Più banalmente, ci siamo noi. E ci sono le istituzioni.  La cui risposta  al problema giovani ricalca i soliti binari quand’anche non conducano ad alcuna convincente meta: mandarli a giocare e a fare musica concedendogli qualche nuovo spazio. Perché invece non fare qualcosa di completamente diverso e autenticamente spiazzante? Per esempio dedicare il prossimo anno scolastico al tema della legalità mettendoci faccia, soldi, risorse umane e istituzionali, comprese figure gradite alla platea adolescente in grado di trasferirne l’attenzione su modelli positivi e forme di socialità costruttiva?

Urge rimettere una ferma linea divisoria, temibile quanto occorre, fra lecito e illecito. Cari amministratori, smettete almeno per un po’ di ronzare come operose  api sul miele dei vostri affari e provate a cimentarvi colla più difficile e più nobile delle scommesse politiche: investire su un materiale umano a rischio e provare a salvarlo da se stesso.

 

 

Ada Ferrari

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