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Sileno, chi era costui? Era una figura mitologica “minore” che  può tuttavia  far risuonare  echi di vissuto in molti di noi.  Viene descritto come un vecchio calvo, panciuto e alticcio, che si muove a cavallo di un asino. 

Nella narrazione classica il vecchio satiro mostra due aspetti contrastanti della propria personalità:: il primo è quello di un individuo  dissoluto, ubriacone  e molestatore di ninfe, il secondo di un sapiente dispensatore di saggezza . 

In virtù di queste caratteristiche estreme, il personaggio può risultare affascinante e rivoltante al contempo; Dioniso, suo allievo prediletto, mostra per il mentore una autentica devozione, mentre le ninfe e le baccanti lo detestano perché non perde occasione di importunarle.

Tutto sommato Sileno mi è simpatico perché mi ricorda una persona  che ho conosciuto da ragazzo: era un personaggio definito “strano”  che, come il vecchio satiro, amava il vino e le donne, queste ultime, però,  erano da lui adorate e non insidiate. Noi liceali lo andavamo a trovare in una nota osteria del centro dove era seduto sempre allo stesso posto, sul tavolo un tovagliolo candido, una bottiglia mezza vuota, un bicchiere sempre  pieno e, se non ricordo male, un libro di Tacito: Germania

Ci accoglieva con un sorriso e, indicando il libro, diceva:  Tacito  era un gran sparaballe, sembra che abbia copiato  da Plinio, Cesare e Strabone. Però ci fa riflettere: i tedeschi di oggi sono come i Cimbri e i Teutoni di ieri: vogliono depredare e se non lo fanno con le armi, lo fanno con l’economia.”

Vedeva in noi i figli che non aveva avuto, per questo dispensava  anche consigli di vita, ma senza mai cedere a toni retorici o apodittici.  Parlava di Storia e di Filosofia in modo molto diverso dalle solite lezioni scolastiche; raccontava aneddoti curiosi  e, talora,  dissacranti. Fra quelli  che ricordo posso citare la folla milanese che corre festante incontro a Radetzky dopo le Cinque Giornate, “ Il popolo stava bene con gli austriaci, il Risorgimento l’hanno voluto i ricchi” commentava.

Oppure:  ”La crisi della Repubblica romana è nata dopo che il suo territorio si era raddoppiato con la conquista delle Gallie, il senato non bastava più. Cesare l’aveva capito, il senato no.”  

Risultava simpatico anche quando affermava che solo un perditempo come Zenone poteva inventarsi la storia della freccia che, una volta scagliata, non si muove. 

Seneca era banale, diceva. Inoltre  detestava i viaggi : “nusquam est qui ubique est, per forza, stava troppo comodo fra le mollezze della Roma imperiale”.  

Era nemico delle grandi ricchezze :”Sarebbe giusto abolire l’eredità, si eviterebbe l’accumulo di grandi capitali che arricchiscono i pochi e impoveriscono i molti”.

“L’ombra di Achille dice parole inaspettate a Odisseo:…anche la condizione più umile è preferibile a quella di un morto illustre…cioè rimpiangeva la vita, altro che desiderare una  morte da eroe!”

 Idee  sconvolgenti per noi ragazzi, plasmati dalla narrazione storica tradizionale.

In seguito  ho capito che questi concetti  irriverenti avevano lo scopo di stimolare in noi l’indipendenza di giudizio. 

Questo Sileno nostrano meritava una considerazione diversa da quella che gli veniva generalmente riservata; il professore mezzo litro lo chiamavano quando si alzava dal tavolo un po’ malfermo sulle gambe. E in effetti, sotto questo aspetto non si può dire che fosse di buon esempio, ma nella sua ironia dissacratoria c’erano  benevolenza e levità che solo le persone di cultura possiedono.

La vita ci ha portato lontani l’uno dall’altro.  Ho saputo che, prima di morire,  farneticava frasi in latino suscitando l’ilarità di medici e infermieri, fatto che mi ha ulteriormente rattristato. Avrei voluto essere al suo capezzale per dirgli che aveva lasciato una traccia importante nella  mente di quei ragazzi che non vedevano l’ora di sentirlo parlare . Peccato,  non mi è stato possibile.

Anni dopo ho portato un garofano rosso sulla sua lapide.

 

Giuseppe Pigoli

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