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Se salvare la sanità pubblica e salvare il Servizio Sanitaria Nazionale non rappresenta davvero un problema per la attuale maggioranza di governo, per la quale la soluzione di tutti i problemi è l’“integrazione pubblico-privato” e quindi il sostegno alla sanità integrativa (leggi privata) (vedi articolo QS di Lucio Mango del 3 ottobre 2025), ci si dovrebbe comunque chiedere anche il perché della attuale situazione. Magari affrontando una riflessione un po’ più seria di chi immagina di risolvere i problemi sanitari del nostro Paese mediante la tutela del “benessere psicologico” dei suoi abitanti (Saverio Proia, QS 3 ottobre 2025).

Se da più parti viene segnalato che il finanziamento del SSN è assai inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei, pochi osservano che da noi le tasse le pagano in pochi e, dal momento che sono proprio le tasse a finanziare la Sanità pubblica (e non solo), se non si interviene a quel livello è difficile che i soldi necessari spuntino dal nulla. Sarebbe allora necessario, in attesa del miracolo, andare a vedere come questi soldi vengono effettivamente spesi, tutta roba semplice, che qualunque massaia di una volta sarebbe in grado di fare.

I non addetti ai lavori immaginano che tutti i quattrini impegnati nella Sanità pubblica riguardino l’assistenza sanitaria ospedaliera/territoriale e che le attuali criticità assistenziali (vedi liste d’attesa) siano facilmente risolvibili con un maggior finanziamento del SSN. Sono in pochi però a rendersi conto di come vengono davvero spesi i soldi della Sanità pubblica. C’è qualcuno che abbia mai consultato un bilancio delle organizzazioni territoriali di sanità? In Lombardia tali strutture si definiscono ATS (ex ASL), cioè Agenzie di Tutela della Salute e, ma è solo un esempio, nel bilancio attuale di una di queste ATS figurano finanziamenti importanti da utilizzare per contrastare il GAP (gioco d’azzardo patologico). Certamente un impegno rilevante, peccato che per tale obiettivo manchino non solo qualsiasi riscontro di risultato ma persino le modalità operative di intervento. In compenso molti di quei fondi paiono servire a gonfiare il numero dei dipendenti, dal laureato in Scienze motorie all’esperto in comunicazione al personale amministrativo. Senza contare i variegati e ammirevoli programmi di intervento territoriale, che ricevono fondi per la lotta al bullismo e al cyberbullismo, per la disabilità sensoriale e premialità, per il recupero degli uomini violenti, per la leva civica volontaria, per HOCARE2.0, per la attività fisica adattata e molte altre interessanti iniziative (le cui valutazioni di efficacia non sembrano disponibili). Di sicuro tutta questa attività difficilmente può venire effettuata senza l’impiego di personale dedicato e soprattutto di strutture adeguate, per un bilancio, sempre relativo alla ATS di cui sopra, che prevede la spesa di qualche milione di euro per ristrutturazioni edilizie e materiali edili.

Forse allora i soldi per l’assistenza sanitaria ci sarebbero anche, forse basterebbe andare a vedere come vengono spesi. Se poi questo capita in una realtà territorialmente modesta e senza particolare attenzione da parte della magistratura, magari sarebbe anche il caso di valutare questo contesto su di una prospettiva molto più ampia, valutando anche altre realtà regionali.

Personalmente posso riferire una discreta esperienza personale non solo nella Sanità pubblica ospedaliera, ma anche in quella privata e onestamente qualche differenza nell’impiego dei fondi a disposizione la posso testimoniare. La realtà è forse più facile da interpretare di quanto possa sembrare ed è basata su di un assioma molto semplice: quando utilizzi i tuoi denari stai attento a come li spendi. Quando invece i denari sono quelli degli altri (quelli che le tasse le pagano davvero), allora ti preoccupi solamente di spenderli. Non sarà anche per tali motivi che siamo arrivati a questo punto?

Forse allora non è solamente la mancanza di fondi a limitare l’attività assistenziale del SSN, forse sarebbe importante andare a vedere come questi soldi vengono spesi e con quali priorità. D’altro canto (e solo per fare un esempio in una Regione la cui sanità pubblica non è poi messa tanto male) dalle mie parti la politica ha deciso di demolire un ospedale vecchio di sessant’anni perfettamente funzionale e funzionante per costruirne uno nuovo a pochi metri di distanza per un costo (previsto) di mezzo miliardo di euro con la ovvia benedizione ed entusiasmo non tanto dei cittadini quanto dei potentati locali. Vale anche la pena di segnalare che lo stesso ospedale di una piccola provincia è dotato di ben due primariati di Oncologia con relativi organici, laddove molti pazienti oncologici fanno riferimento ad altre strutture e, udite udite, si stanno investendo milioni di euro per la messa a norma di una struttura che verrà presto demolita. Non sarebbe il caso di iniziare a porci qualche domanda non tanto e non solo sui finanziamenti, quanto sulla loro gestione nell’ambito del SSN?

 

Pietro Cavalli
quotidianosanità.it

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