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Nel tentativo di portare acqua al mulino del nucleare in maniera dissimulata, un sito famoso  pubblicò un video che tradì facilmente il suo doppio gioco. Il relatore volle presentarsi equidistante, neutrale, per apparire più credibile e quindi persuadere  meglio il pubblico; e infatti la maggioranza dei commenti si rivelò poi a favore del nucleare. 

In pratica cosa fece? Rimarcò un dato, e cioè che l’incidente di Fukushima del 2011 (foto centrale), benché al massimo grado degli  incidenti nucleari e causato da uno tsunami, provocò un solo morto ufficialmente riconosciuto, il  direttore della centrale. 

Conclusione indotta che però il relatore si guardò bene dal proferire: “Se uno tsunami, su un  impianto nucleare non più giovane e il più grande al mondo, aveva cagionato così pochi danni  all’uomo, allora si può correre veloci verso impianti più piccoli e di ultima generazione, e magari in  un’area, come la Pianura Padana, ove il rischio tsunami appare insignificante. Saranno senz’altro  sicuri!”.

Ed è questo un leit motiv che serpeggia oggi tra i fautori di un ritorno al nucleare. 

Il relatore opportunamente non citò altre vittime correlate all’incidente, e cioè gli operai Kokobo Terashima, che si trovavano nel locale turbine alla ricerca di eventuali danni dopo la prima onda,  che se l’impianto non fosse stato nucleare, si sarebbero allontanati al più presto da lì, anziché  rimanervi finché la seconda onda li travolse. 

Perché questo è il punto: tanto più un impianto è potenzialmente pericoloso, tanto più richiede una  manutenzione straordinaria e immediata in caso di guasto, prima ancora che l’evento sia passato, e  continuativa fino a sua risoluzione. (Quello che si sta cercando di fare ancora adesso, senza esserci  riusciti, dopo quasi 14 anni!). 

Ecco perché la morte di quegli operai non poteva essere attribuita solo allo tsunami. E d’altra parte  come non riconoscerli morti sul lavoro, da indennizzare? Analogamente anche i numerosi feriti  successivi che anziché essere evacuati, come oltre 100mila residenti della zona (un danno non da  poco), furono fatti arrivare per minimizzare i danni alla centrale e da centrale, tra cui due vigili del  fuoco che riportarono ustioni alle gambe da radiazioni, per essere entrati in un’area contaminata e  allagata, indossando gambali non schermati. 

Il relatore poi non accennò minimamente ai danni a distanza che, si sa, possono manifestarsi anche dopo anni; tuttavia venne a dire che il 7 marzo 2022 la Corte Suprema giapponese aveva deciso che l’azienda Tepco, che gestiva l’impianto, doveva risarcire altre 3700 persone, oltre le 321 già risarcite, per un totale di 12 milioni di dollari. 

Ma come, se c’era stato un solo morto correlato, e altri danni umani riconosciuti non venne a  segnalarli!? Riconobbe tuttavia che nel tempo ci furono molti altri morti, anche se non ufficiali. 

La condanna allora a suo dire era motivata dalla forte pressione internazionale. Bisognava trovare  un capro espiatorio, la Tepco appunto. Ma quando mai un’azienda viene condannata solo per il  clamore dell’evento che l’ha colpita? 

In realtà furono riscontrati diversi difetti di progettazione, di manutenzione, di organizzazione per cui il tribunale concluse che quell’incidente, nonostante lo tsunami, non doveva verificarsi. Difetti a partire dall’altezza delle barriere di cemento a protezione dalla furia dell’oceano. 

In merito, qualcuno ha obiettato che se quella centrale non fosse stata costruita sulla costa, nulla  sarebbe accaduto. Peccato non dica che tutte le centrali nucleari giapponesi sono costruite sulla  costa, anche perché, avendo il Giappone un territorio molto montuoso, accidentato e densamente  popolato, non c’era altra scelta. 

E tuttavia anche riguardo all’altezza del muro, il relatore si confuse non poco. Venne a dire infatti  che le barriere erano alte 5 metri. In realtà quasi 6 ma soprattutto non colse che la centrale si trova a  10 metri sul livello del mare, il che vuol dire che l’onda per entrarvi doveva essere alta almeno 16 metri. 

Si stupì invece del fatto che si potesse pensare ad onde superiori ai 5 metri. Eppure basti ricordare,  stando in Giappone, i due terremoti di Sanriku del 1896 e del 1933 con onde superiori ai 25 metri.  E ancora lo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano, con onde superiori ai 30 metri. Quello del Cile a Valdivia del 1960 e di Lisbona del 1755 con onde superiori a 20 metri e quello di Messina, con onde superiori ai 13 metri, senza dover scomodare il megatsunami della Baia di Lituja in Alaska, del 1958, che provocò un’onda di 524 metri. 

Non solo, gli parve un’impresa costruire barriere alte più di 5 metri (!?). Veramente l’uomo è riuscito  a costruire persino una torre di 829 metri, la Burj Khalifa a Dubai. A caro prezzo certo, ma da lì a  pensare che non si potessero costruire barriere alte più di 5 metri in un Paese tecnologicamente molto avanzato e ad alto rischio di tsunami, ce ne passa. Peggio ancora, come disse, che non ne fosse prevedibile la necessità! 

Volendo quindi tranquillizzare rispetto al danno nucleare di Fukushima, lo confrontò con quello di Chernobyl, venendo a dire che erano molto diversi tra loro perché il primo fu causato da uno  tsunami, il secondo invece da “un errore umano punto!”. 

Oh bella! Se voleva rasserenarci con quest’affermazione, ha ottenuto l’effetto esattamente opposto,  salvo che nei suoi fedelissimi discepoli, perché se il rischio tsunami è molto basso in pianura, sull’errore umano chi può garantire? Nessuno, in ogni tempo e luogo. Visto che il disastro di Chernobyl causò molte più vittime ufficiali di quello di Fukushima, possiamo dire che l’errore  umano ha fatto più danni dello tsunami, in relazione al nucleare. 

E comunque diversi errori furono riscontrati anche a Fukushima tant’è, come già detto, che la ditta fu condannata a cospicui risarcimenti. 

La considerazione più grottesca della sua relazione, tuttavia, l’ho lasciata per ultima. 

A Fukushima ci si trovò ad un certo punto costretti a sversare l’acqua radioattiva nell’oceano,  suscitando proteste non solo da parte dei pescatori e degli ambientalisti, ma anche dai Paesi vicini,  tra cui la Cina e la Russia, emblematici in quanto non sono certo mirabile espressione di libertà di  pensiero. Ma di fronte al temuto disastro, il pensiero volò libero anche lì, altroché!!

Nessun problema per il relatore. Leggete bene ora cosa venne a dire! 

La famosa acqua marina di Fukushima, usata per raffreddare i noccioli fusi, “fu trattata per ripulirla dai radionuclidi e quindi diluita per raggiungere dei livelli considerati sicuri per l’acqua potabile. Anzi diluita a tal punto da avere una radioattività inferiore rispetto a quella oceanica naturalmente  presente in cui veniva sversata, e perciò più sicura di quella”. 

Fantastico! 

Altro che farle funzionare le centrali nucleari! Meglio distruggerle allora, con o senza tsunami, così avremo acque non solo sane come non mai, ma anche da bere!  

Adesso abbiamo capito cosa s’intende per nucleare pulito! 

Se tanto mi dà tanto…

 

Stefano Araldi

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