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GLI  EDITORIALI  DI  ADA  FERRARI

‘Errare è umano. Perseverare è diabolico’. Ecco una massima comunemente accolta che tuttavia, in quel di Cremona, proprio non ce la fa a varcare la soglia del Palazzo. Sta di fatto che da troppo tempo scelte di significativo impatto sul presente e il futuro della città vengono assunte in quasi sistematica collisione con larga o larghissima parte della comunità locale. Ancor più singolare è che il diffuso scontento anziché indurre i decisori a qualche dubbio circa la bontà della strada intrapresa, ne susciti l’indispettita reazione. Quasi che la cittadinanza fosse una riottosa scolaresca incapace della dovuta gratitudine verso la sua illuminata guida. Brilla in effetti per la sua assenza quell’empatia che, indice di autentica sensibilità democratica, dovrebbe orientare chi governa a esplorare il punto di vista dei governati, riconoscendo il peso di fondate obiezioni e legittime esigenze.

Situazione che sta plasticamente emergendo in relazione al progetto del nuovo ospedale: seimila firme contrarie e un Movimento che non si è limitato al ‘no’ secco ma ha messo capo a un’articolata ‘sfiducia costruttiva’. Si è prodotta un’alternativa per la riqualificazione del nosocomio cittadino corredata di calcoli di fattibilità e cifre riguardo a costi, posti letto, possibilità di evitare ai cremonesi anni di incognite, disagi e forzato ricorso alla sanità privata. Di fronte all’evidente sensatezza della controproposta, già sconfitta peraltro all’atto della nascita, c’è da chiedersi quale sia ormai il residuo peso dei reali interessi della comunità locale nei processi decisionali e nelle relative priorità.  Marmorea appare l’intransigenza di un asse politicamente trasversale che saldando sotto traccia  centro sinistra e centro destra ha di fatto blindato il progetto, limitandosi a concedere un “parliamone pure”  che, a cose fatte, è benzina sul fuoco.

I contorni della dialettica amministrativa governo-opposizione risultano sempre più labili, mentre sempre più riconoscibili si fanno quelli di una specie di comitato d’affari pronto a innervosirsi a ogni obiezione o semplice richiesta di trasparenza. Quel che ne risulta è una situazione complessiva, se non anomala, di certo degna di qualche riflessione. Metà della popolazione, rassegnata all’impotenza, sceglie l’Aventino e non vota più, rinunciando ad esprimersi. L’opposizione alle scelte comunali si fa a sua volta ‘extraparlamentare’: esce cioè dal fisiologico alveo istituzionale per trasferirsi nei comitati che via, via sorgono e insorgono su  programmi di natura generale o specifica. come nel caso del ventilato abbattimento di mura cittadine e stravolgimento funzionale dei relativi parchi.  Cremona sta insomma sperimentando un singolare.stile di governo, ovviamente imputabile anche al progressivo sfarinamento delle precedenti culture politiche, al vuoto di idee e all’esaurirsi di ogni residuo debito di coerenza verso i relativi capisaldi programmatici e ideali. A cominciare dal  più classico punto fermo della sinistra: il ruolo centrale del sistema pubblico nella sanità.  Può dunque accadere che un partito che pur discende dai Gramsci e dai Berlinguer  e  che tuttora si fregia di ‘democratico’ perda la capacità di mantenersi innervato sulle reali esigenze popolari, non esattamente coincidenti con le  passerelle propagandistiche dei Gay Pride o dei concerti di piazza.

Piccola realtà,  afflitta in senso reale e metaforico da insufficiente circolazione d’aria e ricambio di classi dirigenti, Cremona è di fatto da decenni monopolizzata da un notabilato inamovibile ma tutt’altro che infallibile che, a cominciare dalla potente confraternita delle cooperative di servizi, ha ormai sviluppato robustissime radici clientelari. Né va sottovalutato l’ambiguo percorso di porte girevoli e ballerine appartenenze di schieramento che ha preceduto le ultime amministrative. In politica come in natura, il travaglio del parto può condizionare fibra e caratteristiche del nascituro. E il nostro caso non manca di problematici postumi che rendono particolarmente  incerta la rotta del dopo voto e comprensibile il costante ricorso a dispendiosi ‘effetti speciali’. Ai quali tuttavia la maggioranza dei cremonesi non abbocca continuando a reclamare un’ordinaria e ordinata amministrazione che tuteli i beni a disposizione e ne valorizzi le potenzialità.

Pietro Cavalli, battendosi da ospedaliero di vasta esperienza per la riqualificazione dell’attuale ospedale, ha ripetutamente esortato a occuparsi del contenuto, cioè di roba seria e concreta, invece che del ‘contenitore’ cioè dell’involucro estetico formale. Credo che l’invito vada ben oltre il caso specifico e offra una più generale chiave di lettura circa il criterio che da decenni affligge Cremona . Il criterio è ‘l’usa e getta’.  L’esatto contrario della logica conservativa ragionevolmente suggerita sia dalle attuali criticità ambientali che dalle limitate risorse disponibili. Anzichè mantenere in efficienza l’esistente con accorte pratiche di manutenzione si sceglie di abbandonarlo al degrado. Dopo di che si distrugge e si  rifà.

L’usa e getta ha molteplici varianti. Se all’ospedale maggiore  tocca la morte per ‘sbriciolamento’, altre strutture come l’ex sede Aem si abbandonano al degrado per poi svenderle a cifre di inspiegabile modestia. Pessimo affare per i cremonesi, ottimo affare per qualcun altro. E intanto l’asse patrimoniale del Comune si assotiglia e Cremona è più povera. Noi siamo più poveri.  Se è sensato recidere rami secchi e inutilmente costosi è irresponsabile potare là dove risiedono comparti strategici da cui dipendono autonomia e forza contrattuale del territorio.  E’ come se la Chiesa per far cassa invece di alienare qualche remota e infruttuosa colonia alpina, svendesse  il colonnato del Bernini. Emblematica nei suoi passaggi e nel suo fallimentare esito finale è al riguardo la vicenda relativa ad A2A, cordata che, in assenza di convincenti contropartite a vantaggio dei cremonesi e del territorio, dispone ormai della città come di esclusivo terreno di caccia. La deludente realtà è che Cremona è oggi una città sporca, buia, insicura, degradata, impoverita, afflitta da un inquinamento su cui chi dovrebbe non spende più una parola. C’è quanto basta e avanza per indurre una classe dirigente che realmente la ami a  rimboccarsi le maniche sull’agenda dei problemi reali finalmente rinunciando alla pericolosa scorciatoia delle originali trovate e degli effetti speciali.

 

Ada Ferrari

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