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Per la Confraternita della poltrona, la discesa all’inferno inizia nel tardo pomeriggio di giovedì scorso. Sono le 18,15 circa.

A Roma, una fumata bianca annuncia l’elezione del Papa. A Cremona, i soci di Padania Acque si apprestano a discutere il punto 4 dell’ordine del giorno, che recita – in un impeccabile burocratese – la «nomina del collegio sindacale per il triennio d’esercizio 2025-2026-2027 e la determinazione dei compensi».

Si tratta dell’elezione di tre componenti effettivi – uno dei quali presidente – e due supplenti di un organismo esclusivamente tecnico. Un organismo terzo, di garanzia, privo di funzioni decisionali su scelte e interventi della società, con il compito di controllo dell’attività degli amministratori, troppo poco per uno scontro in assemblea al calor bianco. Ma il lupo perde il pelo, non il vizio.  Scoppia la bagarre, ma non finisce come la Confraternita aveva previsto.  Viene fottuta da supponenza e presunzione. Obnubilata dalla certezza di essere la più forte, la più coesa, la più furba, dimentica che – ammoniva Craxi – le volpi prima o poi finiscono tutte in pellicceria.  Perde la partita e la faccia.

Pd, Fratelli d’Italia – in città fusi nella neoformazione PF – e bertusiani erano certi di un cappotto. Di un cinque a zero.  Del banco che vince e prende tutto, senza lasciare neppure le briciole alla minoranza.  Convinti di avere la facoltà per imporre il candidato dell’opposizione, ius primae noctis trasferito alla politica, si comportano da tracotanti.

Qualcosa il banco prende, ma non le poltrone del collegio sindacale, bensì un siluro che torna indietro e centra  il fondoschiena di chi lo tira.

Una situazione già sperimentata nel maggio dello scorso anno, durante l’insediamento dell’attuale consiglio di amministrazione di Padania Acque.  L’elezione fu contrastata da una parte del PF e dai bertusiani, ma senza successo.  Finirono asfaltati. Con un travaso di bile e retorica da quattro soldi, giurarono vendetta politica.

Errare è umano, perseverare diabolico e il modo con il quale i perdenti hanno condotto l’operazione non brilla per acume diabolico. E tra costoro non s’intravede nessun iconico colonnello  Nathan Jessep di Codice d’onore, reso indimenticabile da uno strepitoso Jack Nicholson.  E se manca un capo sono guai.

Una tesi supportata da un assioma di Napoleone: non ci sono cattivi reggimenti, ma solo colonnelli incapaci. E se lo ha detto lui, che in materia si fregia di un dottorato e di un master, così è. 

La responsabilità dei leader inadeguati è un tema ricorrente per il nostro territorio, guidato da generali da operetta, egotici e privi di bussola. Comandanti con poche idee, scarsa inventiva e smodata supponenza.

La batosta subita giovedì scorso a CremonaFiere da PF e bertusiani è sintesi, concentrato e conferma di tutto questo. È la narrazione di un suicidio annunciato. Di una sconfitta di chi troppo vuole e nulla stringe. Della convalida di un altro detto popolare: andarono per suonare e furono suonati.  È il fallimento di quelli che sono entrati in assemblea papi e sono usciti cardinali, ma senza pacche sulle spalle di consolazione. Roberto Mariani, centrosinistra, presidente della Provincia, azionista di maggioranza di Padania Acque e sindaco di Stagno Lombardo, indica per il collegio sindacale una cinquina di nomi. 

Filippo Bongiovanni, Lega, sindaco di Casalmaggiore, presenta una lista alternativa con un solo candidato cambiato rispetto a quella di Mariani. Toglie un papabile di centrosinistra cremonese e lo sostituisce con un leghista.

Simona Pasquali, assessore al Comune di Cremona, chiede una sospensione. Viene accontentata. La mezz’ora di time out non sortisce la quadra auspicata. In contemporanea da Roma giunge l’annuncio che nuovo papa è il cardinale americano Robert Francis Prevost

Mariani riprende la parola.  Comunica che due candidati – un maschio e una femmina –   della sua cinquina rifiutano di condividere l’incarico con una squadra diversa da quella iniziale. Un niet che accomuna un meloniano cremonese, aspirante alla presidenza del collegio sindacale e una piddina cremasca.  Entrambi, riferisce il presidente della Provincia, non accettano la variazione, anche di un solo soggetto. O la cinquina di partenza, o niente.  Coerenti e fedeli alla linea dei rispettivi partiti sono irremovibili. Ammirevoli, ma con le idee confuse. 

Il collegio sindacale non è un organismo politico, ma tecnico. Giudica la regolarità delle procedure e dell’attività svolta dal consiglio di amministrazione. Ora o le procedure sono corrette oppure no. Non esiste una terza via. Le valutazioni del collegio sindacale non dovrebbero variare in relazione al partito di appartenenza di chi le pronuncia. In caso contrario sarebbe inquietante. 

Nella discussione interviene Gabriele Gallina, sindaco di Soncino e segretario provinciale di Forza Italia. Non capisce il motivo per cambiare in blocco un collegio sindacale che aveva appena ricevuto attestati di stima dai presenti. La situazione sembra incartata, ma ci pensa lo Spirito Santo a sbloccarla. Invia a Cremona Fiere  un Imprevost.  

Gianni Rossoni, presidente dell’Area Omogenea cremasca e sindaco di Offanengo, suggerisce di congelare il collegio sindacale in carica.  Chiede che la possibilità di proroga sia messa in votazione.

Prende la parola Celestina Villa, assessore al bilancio del Comune di Casale Cremasco Vidolasco. Si dice allibita dalla posizione dei due candidati al collegio sindacale. Sottolinea che per un organismo di controllo il metro di giudizio è la competenza. Non la tessera di partito. Definisce il comportamento inaccettabile.

Il presidente Cristian Chizzoli, saggio e salomonico, mette in votazione la proposta di Rossoni. Se passa, sono fuorigioco le cinquine di Mariani e Bongiovanni.  E così succede. L’ Imprevost viene promosso con oltre il 51 per cento delle quote.

Rossoni, il silver fox cremasco, vince.  Il saggio evergreen, dal quale molti arroganti e rampati pischelli di partito dovrebbero prendere lezioni.  Il camerlengo della politica locale che sa sempre dove trovare una pezza, anche quando la nave rischia di affondare.

Giovedì a CremonaFiere si è celebrata la messa funebre di una politica infarcita di lupi, volpi, furbetti da luna park. Di mercanti in fiera.  È stato recitato il De profundis di un accordo siglato dalla Confraternita delle poltrone, dalla distonica e innaturale unione PF -Bertusiani che, in questa occasione, si è dimostrata sgangherata corte dei miracoli. 

Giovedì a CremonaFiere sono stati gettati nella spazzatura il minestrone, il pot-pourri, l’asado, piatti di una politica indigesta. È stato uno schiaffo al florilegio di interessi contrastanti, di fatture politiche in sospeso e da saldare. Ma anche di sassi tolti dalle scarpe, di ripicche infantili e autolesioniste. Senza la spezia più importante: il bene comune.

Giovedì a CremonaFiere è stato respinta una resa dei conti, un revenge porn politico che di pornografico e osceno conteneva solo l’umiliazione della politica stessa.  È stata ridicolizzata un’esibizione di muscoli e di prepotenza di suonatori con il petto gonfio e la voce stonata. È stata la Waterloo, la Stalingrado di quelli  solo chiacchiere e distintivo.

Giovedì a Cremona Fiere è stata la rivincita dei piccoli Comuni, delle riserve indiane di periferia.  Di quei sindaci che non si sono fatti né intimorire dai capibastone, né incantare dal flauto dei politicanti, né dagli imbonitori da strapazzo.  E ancora meno si sono spaventati dagli ultimatum del ‘o così o pomìì. Sticazzi. È stato il capolavoro dei sindaci non allineati. Sono andati a vedere le carte e hanno smascherato il bluff di chi all’inizio dell’assemblea millantava di contare sul 57 per cento di consensi.  È stata la vittoria di  quei soci che hanno continuato a giocare anche quando i due candidati al collegio sindacale hanno portato via la palla.

Giovedì a CremonaFiere c’è stata un’iniezione di speranza. Qualcosa si è mosso. Il primo miracolo di Leone XIV? Non è importante saperlo. Avanti così.

 

Antonio Grassi

Nella foto centrale Chizzoli e Lanfranchi

 

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