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Mai adagiarsi sulle proprie convinzioni, ma mettile continuamente in discussione!”. La persona che mi trasmetteva questi concetti, non avendo figli, mi aveva in qualche modo adottato e, da buon “padre”, attendeva alla mia educazione. Io, giovanissimo, non ero sempre in grado di apprezzare i suoi insegnamenti, però li registravo nella mente quasi presagendo che in futuro sarebbero riaffiorati.

Accidenti a quella magnifica persona che ancora oggi,  a distanza di decenni dalla sua scomparsa, mi stimola a rivedere le mie opinioni!  L’avvento del neoliberismo ha rappresentato uno stimolo per affrontare questo compito per niente agevole.

I fatti storici che hanno portato all’imporsi della filosofia neoliberista li conosciamo bene: tutto è iniziato negli anni ’70 con la crisi petrolifera; in seguito, un decennio più tardi,  questa filosofia è andata consolidandosi  grazie a testimonials quali Pinochet, Thatcher e Reagan. Da allora è iniziato il cambiamento epocale, peraltro  salutato con favore da chi aveva perso ogni fiducia nel baraccone pubblico. Iniziava così un’epoca in cui si poteva finalmente credere nella sacrosanta efficienza di un mercato libero, si  poteva  sognare, pensare che c’era un futuro; l’ottimismo della volontà aveva finalmente preso il sopravvento. 

Non è andata proprio così, mi pare. Marco D’Eramo  in un rapido excursus sul passato, sostiene che le religioni promettevano l’aldilà, la borghesia prometteva avanzamenti economici, il colonialismo la civiltà e il socialismo il sol dell’avvenire. In breve,  ai propri seguaci veniva indicato un futuro. Non si può dire lo stesso del neoliberismo.

Non sono mai stato di sinistra, ma ho sempre creduto nella funzione dello Stato come dispensatore di regole e servizi; se non c’è lo Stato, non c’è convivenza e nemmeno mercato. Gli alfieri del neoliberismo  hanno capito benissimo che la Cosa Pubblica deve avere un ruolo, al punto che, non potendola eliminare, l’ hanno plasmata a misura delle proprie convenienze. Cioè la funzione dello Stato non è più quella di fornire servizi ai cittadini, ma di fornire servizi al mondo  imprenditoriale che, a sua volta, fornirà servizi (privati)  ai cittadini : esempi chiarificatori sono la Sanità, fra non molto la Previdenza, l’acqua e le forniture in genere… non vado oltre perché so di essere sufficientemente chiaro.

Cosa è accaduto dopo gli anni ’70? Salari sempre più poveri e lavori sempre più precari; la laurea, un tempo viatico verso una vita migliore,  è diventata il classico pezzo di carta che  non seduce più nessuno. Da allora il futuro viene negato  e la prospettiva di un salto di qualità dell’esistenza resta un’illusione come quella alimentata dalle lotterie: quanti fra i miliardi di persone possono concretamente ambire a diventare come Besos, Musk o Jobs?  Con queste premesse non è difficile immaginare che il  popolo diventa plebe; questa genera clientes, cioè gente prosternata davanti al potente di turno. 

Allora, se siamo immersi in un sistema aberrante  che  promette solo precarietà (una vera e propria involuzione sociale, per chi non l’avesse ancora capito!), dovrei ricusare la mia fede liberista? I vecchi comunisti, dopo il crollo dell’URSS, dicevano che la loro fede non era affatto mutata, continuavano a credere in un mondo governato dall’uguaglianza e dalla giustizia sociale. Ebbene, analogamente  a quanto asserivano questi personaggi dalla ingenua purezza (pur nella divergenza di opinioni, mi ritengo un loro simile a tutti gli effetti), non mi sento di smettere di credere nella libera economia, purché questa non sia in mano ai barbari del Trading e della Tecnologia, si capisce. 

Il cambiamento, prima o poi, ci sarà, come  avviene sempre negli inevitabili corsi e ricorsi storici: la prima ‘forza’ in grado di promettere un futuro spazzerà via la cultura vigente, anche se temo  che ciò non avverrà in modo graduale e tranquillo; va da sé che chi detiene il potere tende a tenerselo ben stretto.

Non sono in grado di definire la drammaticità della lotta di classe prossima ventura, ma ricordo le parole di Machiavelli: “Le buone leggi  vengono solo dai tumulti.”

 

Giuseppe Pigoli

L'Editoriale

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