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Elezioni provinciali, ancora loro.  Ancora loro per ribadire la superficialità dei partiti. Ancora loro per sottolineare l’inettitudine dei politici locali. Ancora loro per stigmatizzare la sfacciata indifferenza dei capataz di casa nostra verso i 1315 sindaci e consiglieri comunali della nostra provincia che hanno la facoltà-diritto di voto.

La scansione temporale degli eventi conferma il ritardo e il pressapochismo nella gestione del problema.  Evidenzia l’inaffidabilità della politica. Non concede spazio ad alibi. Inchioda alle proprie responsabilità gli autoctoni Kissinger e Gromyko da operetta. Frena la speranza per il futuro.

La scansione temporale degli eventi trafigge.

Con ordine.

Il decreto legge 7/24 del 29 gennaio 2024 fissa nel 29 settembre la data per lo svolgimento delle elezioni del presidente in 7 province. Nel contempo stabilisce che in 41 province sarà eletto il consiglio provinciale. Cremona è inserita in entrambi gli elenchi. Per la nostra provincia il 29 settembre sarà election day. 

Due votazioni. Due schede.  Nove mesi per preparare la consultazione. Chiaro?

In questo lasso di tempo è ragionevole non conteggiare i mesi impiegati in campagna elettorale per le elezioni comunali. Elezioni chiuse il 24 giugno a Cremona e quindici giorni prima nel resto del territorio.

Dalla conclusione delle elezioni comunali ad oggi sono trascorsi circa due mesi e mezzo, tempo più che sufficiente per scegliere il candidato presidente provinciale e formare le liste dei candidati consiglieri. Chiaro?

La delibera numero 83 del 7 giugno 2024 del presidente della provincia in carica, Mirko Signoroni, impone che i nominativi dei candidati presidente e le liste dei candidati consiglieri debbano essere depositate o domenica 8 settembre dalle ore 8 alle ore 20, oppure lunedì 9 settembre 2024 dalle ore 8 alle ore 12. O oggi o domani.  Chiaro?

Per presentare un candidato presidente servono 197 firme di sindaci e consiglieri comunali con relativa autentica. Per una lista di canditati consiglieri provinciali ne bastano 66.

Va da sé che se si invita un sindaco o un consigliere comunale a sottoscrivere una singola candidatura o un elenco di candidati, è necessario prima sottoporgli questi nomi. Chiaro?

Il centrodestra ha ufficializzato il proprio candidato presidente il 5 settembre. È Alberto Sisti, sindaco di Castelvisconti, scelto dopo la rinuncia di Gianni Rossoni, sindaco di Offanengo. avvenuta 24 ore prima.

Il candidato presidente del centrosinistra è stato rivelato il 6 settembre: sarà Roberto Mariani, sindaco di Stagno Lombardo.

Candidati non decisi da tempo, ma poche ore prima della investitura burocratica che avverrà con la presentazione delle firme raccolte.  Chiaro?

Situazione ancora più complessa per i 12 navy seals – è un’aperura di credito –  da spedire in provincia.

All’alba di ieri né centrodestra, né centrosinistra avevano completato l’elenco, quindi anche la raccolta firme, in teoria, non era ancora iniziata. 

Un pensiero maligno suggerisce che i moduli per i candidati presidenti e consiglieri potrebbero essere stati autografati in bianco, in attesa di aggiungere i nominativi. Un atto di fede.  Ma anche di carità, per evitare una figuraccia ai partiti.  

D’accordo l’ipotesi è remotissima, ma giustificata da un colloquio riservato con una fonte dentro alle segrete stanze della politica del Paese dei campanelli. Fonte più che affidabile.  Chiaro?

Le liste dei candidati consiglieri di entrambi gli schieramenti fino a ieri (sabato) erano ancora in via di definizione. Inutile maramaldeggiare sui motivi di tanta lentezza. Non sta bene picchiare i bambini, sparare sulla Croce Rossa. Prendersela con chi sta sul water con il mal di pancia perché non gli riesce la quadratura del cerchio.  Chiaro?

La scansione temporale è un feuilleton, prevede sempre un flashback. Eccolo. 

Nelle settimane scorse centrodestra e centrosinistra hanno tritato i maroni a sindaci e ai pochi che ancora s’interessano della cosa pubblica con la favola della lista unica.  Con stile più adatto a imbonitori da fiera, al mago Otelma, a Wanna Marchi, che alla politica, gli ufficiali dei due schieramenti avevano pompato il minestrone, migliore dei marubini, dei tortelli e dell’insalata di pomodori. 

 Il 2 settembre questa possibilità è caduta.  Indispettite   le associazioni di categoria sono intervenute (3 settembre) e con un comunicato l’hanno rilanciata senza successo.  Ma probabilmente lo scopo non era questo, bensì mandare un avviso ai futuri naviganti di entrambi i vascelli. Ricordatevi che noi ci siamo e contiamo.

Per chiudere il cerchio è arrivato, buon ultimo, ma non è una novità, anche il quotidiano storico. Appiattito sulle associazioni – anche questa non è una novità – La Provincia ha pubblicato oggi un editoriale con il quale il direttore critica il mancato matrimonio fluido tra centro, centrosinistra e centrodestra. 

Piangere sull’acqua versata è tempo perso. È  conforto all’atleta sconfitto. Ti hanno fottuto, ma resti il migliore.  È la pacca sulla spalla al genio incompreso.  Hai ragione, gli altri non capiscono un cazzo. Tutto vero, ma intanto non è andata come volevano le associazioni di categoria. Probabilmente l’intento non era consolatorio. Non è da escludere una captatio benevolentiae verso le associazioni. Ci sta. E nessuna meraviglia.  Non è uno scandalo. Rientra nelle regole del gioco.

E qui finisce la scansione temporale. E adesso alcune riflessioni.

A chi conveniva il minestrone?  Non alla democrazia. Non alla dialettica. Non al territorio. L’accordo, inutile negarlo, presupponeva una spartizione di poltrone e di prebende tra i partiti. Mirava, come ribadito più volte da Vittore Soldo, segretario Pd, al «ritorno della Provincia ad essere un luogo di strategia territoriale e lavori per tutti i portatori d’interesse».   Già, per sostenere gli inflazionati  stakeholder che, se non eterodirigono la politica del territorio, quantomeno la influenzano in modo significativo.

La favola di un’Amministrazione provinciale trasformata in casa dei Comuni, con tutti i condomini in armonia si è rivelata un bluff quando il Pd ha rivendicato, senza tanti complimenti, il diritto di essere il capo del palazzo.  

 Nell’operazione vogliamoci tutti bene, i partiti non hanno filato neppure di striscio la truppa dei peones, dei 1315 elettori.  E i brainstorming del Gotha della politica locale si sono rivelati tempo perso e superflua dimostrazione di impotenza.  Riunioni con poco brain e molto storming. Tanto fumo poco arrosto.

La scansione degli eventi fotografa la cronaca del harakiri della politica provinciale. Certifica l’incompatibilità dei proclami di tromboni stonati con la realtà.  Attesta la vacuità di coloro che pontificano il cambiamento, ma sono i primi a snobbarlo. Poco accorti, non fingono nemmeno di attuarlo: «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». 

Siamo una provincia lenta.  Ferma. Popolata da politici bradipi, sempre in ritardo, che in continuazione auspicano il rinnovamento, ma mai lo attuano.  E sarebbe improprio parlare di restaurazione perché qui la rivoluzione non è mai arrivata.  Manco sbiadita o in brutta copia. Neanche un surrogato. Forse tarocca.

Ultimo, ma non ultimo, nessuno ha illustrato i programmi della futura amministrazione.  Dichiarazioni generiche su infrastrutture, trasporti, scuola, ambiente non sono un programma. Sono la favoletta di Cappuccetto Rosso e di Hansel e Gretel.

 Auspicare una stretta collaborazione con le altre forze politiche è una presa per il culo, dopo il fallimento della lista arlecchino. 

Un programma degno di questo nome indica le scelte previste per contrastare l’inquinamento record dell’aria. Quale la posizione sulla discarica di Grumello, sull’autostrada Cremona-Mantova, su eventuali insediamenti di poli logistici, di impianti di biometano.  Un programma è l’elenco delle priorità. Semplice. E a tutt’oggi questo non è avvenuto. Zitti e mosca. 

Elezioni provinciali ancora loro.  E se le premesse sono queste, il 29 settembre non ci sarà una Rossella O’Hara che potrà dire «Dopotutto domani è un altro giorno». 

 

Antonio Grassi  

L'Editoriale

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