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È una storia di provincia. Una storia sbagliata. Una storia complicata. Una storia da dimenticare. È la storia recente di Fratelli d’Italia. Di un partito, che sulla carta è lo squadrone che tremare il mondo fa. In teoria è un marcantonio del wrestling. Nella realtà, un gigante di cartapesta. Colosso di Rodi con i piedi d’argilla, si sbriciola alla prima scossa. 

Fratelli d’Italia fa ridere. Oppure piangere.  Ma fa anche incazzare. Dipende da chi giudica. 

Fa ridere di gioia il centrosinistra, che si ritrova un compagno di viaggio insperato, un portaborracce ripagato con qualche strapuntino in enti pubblici — meglio se in un consiglio di amministrazione di una partecipata — senza poteri decisionali, ma con una prebenda a fine mese. Un dettaglio sempre gradito, ma insufficiente per chi ha promosso a stella polare del proprio agire il motto «è meglio comandare che fottere».

Fa piangere gli illusi, gli ultimi mohicani della politica.  Quei militanti – per certuni militonti – che credono ancora nei partiti, nei corpi intermedi, negli ideali.  Che si sacrificano per il bene comune, a differenza dei rampanti, freschi di tessera del partito, saliti sul treno in corsa del vincitore, smaniosi di prendere l’ascensore della carriera. 

Fa incazzare gli alleati naturali del centrodestra. Traditi da Fratelli d’Italia – top player della coalizione, decisivo per sconfiggere il centrosinistra – Forza Italia, Lega, UDC, hanno aperto le ostilità contro il socio fedifrago.  Hanno accusato Marcello Ventura, coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia, di flirtare con il Pd, piuttosto che con il centrodestra.  Lui, lo schiaffeggiato, non ha porto l’altra guancia, né  si è cosparso il capo con la cenere. Ha risposto con bombe al napalm e causato un incendio devastante nel centrodestra (Vittorianozanolli.it, 27 aprile).

Ma per capire la giungla politica in cui si muove Fratelli d’Italia è utile raccontare la storia del partito in terra cremasca, il Vietnam di Fratelli d’Italia durante questi mesi. Ma è arduo distinguere i buoni dai cattivi, gli americani dai vietcong, il generale Westmoreland dal rivoluzionario Ho Ci Minh.  È un busillis. Un cubo di Rubik. 

Un dato è assodato e insindacabile.  La scintilla che ha innescato il pandemonio è stata l’elezione del coordinatore del circolo di Crema avvenuta il 15 febbraio scorso.  Il circolo, quel giorno, contava 397 iscritti aventi diritto al voto. All’assemblea congressuale hanno partecipato una ventina di militanti. Viene eletto Alberto Bonetti. Uomo mite, si immola – agnello sacrificale – sull’altare di Fratelli d’Italia. Cerca di limitare i danni dello scontro intestino che lacera il partito. Ma non è Toni Montana. «Due cose hanno importanza nella vita, le palle e la mia parola, e le ho sempre onorate entrambe». Non possiede le prime, tarate per affrontare il compito assunto. E in politica, talvolta, troppa educazione e pazienza non aiutano.

Passa circa un mese e mezzo dalla sua elezione e il neo coordinatore stupisce tutti. Toglie dal direttivo tre membri da lui stesso imposti e nomina i sostituti. Ma il repentino esonero-rimpiazzo è contestato da un gruppo di iscritti.  Oggi, a due mesi e mezzo dall’elezione del nuovo segretario, definire kafkiana la situazione di Fratelli d’Italia è poco distante dalla verità. Per i bonettiani, il direttivo resettato ha il potere e il diritto di operare.  Per gli oppositori è in stand-by, surgelato come spigola e merluzzo che si comprano al supermercato. Realisticamente, il partito si trova in stallo. Per i pessimisti sta nell’anticamera del commissariamento.  

La causa dello sconquasso è un documento di una cartella e mezza, datato 7 febbraio, otto giorni prima del congresso. Un patto tra le componenti Nuovi Tesserati e Rinnovo Tesserati. Scritto in stile notarile, stabilisce che Bonetti sarà il coordinatore del circolo e i Nuovi Tesserati avranno il vice e 9 membri su 15 del direttivo, la maggioranza.  La prima nomina, successiva all’elezione del nuovo coordinamento cittadino, «sarà di esclusiva disponibilità del Nuovi Tesserati».  Qualora non fosse ritenuta soddisfacente la prima nomina proposta, i Nuovi tesserati avranno diritto di passare alla scelta successiva.

Il coordinatore dovrà condividere ogni uscita pubblica col vice.

Dal capestro è escluso l’obbligo per il coordinatore d’indossare biancheria intima indicata dai Nuovi Tesserati, ma la razionalità non appartiene alle logiche dei partiti. Il documento è firmato dai rappresentanti delle parti contraenti, dall’allora candidato coordinatore Bonetti e da due garanti. E qui c’è la sorpresa, film di fantascienza con effetti speciali e suono Dolby Atmos.  

Stefano Foggetti garantisce per Rinnovo Tesserati. Fabio Bertusi per Nuovi Tesserati. Il primo, è l’ex coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia ed è tuttora iscritto al partito.  Il secondo è il pokerista e kingmaker della politica locale.

In soldoni, non iscritto al partito, Bertusi impone le regole a Fratelli d’Italia di Crema. Controlla la maggioranza del direttivo del circolo e, indirettamente, tira le fila del partito nel Cremasco e ci mette lo zampino anche in quello cremonese. 

Resta inevaso un interrogativo già posto in precedenza: è un fuoriclasse Bertusi o sono ciula gli altri?  Di certo c’è che è lui a tenere il banco e a distribuire le carte.

Intanto Bonetti, buono e generoso, ma non burattino, ha sospeso, con poche spiegazioni, la nomina del vicecoordinatore e disatteso i patti sottoscritti e in questo modo si rifiuta di diventare ostaggio di un accordo per lui suicida.   Si dice: chi vivrà vedrà. Non resta che attendere per capire se Fratelli d’Italia precipiterà nel burrone o si fermerà sull’orlo. 

Intanto giovedì prossimo per il partito provinciale ci sarà un altro banco di prova.

È convocata l’assemblea degli azionisti di Padania Acque che – a dispetto del nome – non spegne il fuoco, ma lo alimenta, soprattutto se all’ordine del giorno ci sono nomine. Parola che infiamma i cuori e stimola l’istinto guerriero di politici, politicanti e quaquaraquà del territorio. I soci sono stati chiamati per discutere e approvare il bilancio, ma anche per votare il rinnovo del collegio sindacale, tre sedie in cerca di un sedere da ospitare per il prossimo triennio.

La Confraternita della Poltrona è già in movimento per spartirsi i posti, ma la maggior parte dei sindaci azionisti è all’oscuro delle trattive in corso. Verranno informati cinque minuti prima della votazione. 

Padania Acque è una società per azioni. I soci contano per le azioni detenute. La Provincia è il maggior azionista con l’11,21 per cento del capitale. Un anno fa, per l’elezione del consiglio di amministrazione in carica, il presidente dell’ente, Mirko Signoroni, si era adeguato alla decisione della maggioranza dei sindaci. Oggi il presidente è Roberto Mariani. In quella occasione aveva abbandonato l’assemblea «per non rovinare l’unanimità». (Cremonasera, 10 maggio 2024). Si adeguerà anche lui? O no? Qui sta il punto.

Cremona detiene il 4, 5 per cento del capitale. Crema lo 0,042.  Piazzata al terz’ultimo posto tra gli azionisti, la capitale della Repubblica del Tortello, conta una cicca. Il suo voto vale al pari di quello dei piccoli Comuni. In questo modo anche un accordo Cremona-Crema non è determinante per il risultato. I piccoli Comuni possono contare. Se uniti possono fare sentire la loro voce. Se vogliono possono disattendere le indicazioni di voto dell’ultimo minuto. 

Con quattro calcoli e sulla base della collocazione politica dei singoli Comuni; dell’appartenenza alla scuderia di Bertusi e della quota societaria detenuta, è impossibile che centrodestra e centrosinistra possano vincere senza aiuti esterni. Decisive saranno le alleanze con i bertusiani e la Provincia.  Due, quelle più semplici da ipotizzare. Una formata dai Comuni di centrosinistra insieme a bertusiani e Provincia.  L’altra costituita dagli azionisti di centrodestra con quelli bertusiani. 

Se queste supposizioni sono credibili, è evidente che la scuderia del pokerista è decisiva in entrambe le alleanze. Mentre la Provincia è indispensabile esclusivamente per la vittoria del centrosinistra. 

Per il centrodestra risulterà cruciale la scelta degli azionisti di Fratelli d’Italia. E con l’instabilità metereologica che caratterizza il partito in questo periodo è un azzardo sbilanciarsi con previsioni.

È una storia di provincia. Una storia sbagliata. Una storia complicata. Una storia da dimenticare. Non ha nulla da spartire con la canzone di Fabrizio De André e la morte di Pasolini. Ha tanto, troppo in comune, con l’agonia della politica e dei partiti nella nostra provincia.  Con il triste e malinconico spettacolo offerto da Fratelli d’Italia. Con Bertusi, l’uomo che sussurra alle poltrone. E comanda. Mala tempora currunt.

 

Antonio Grassi

 

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