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«Noi possiamo contare, ottenere dei risultati come territorio se siamo uniti» (Cremonaoggi, 12 giugno). La dichiarazione di Maurizio Ferraroni, neopresidente dell’Associazione Industriali di Cremona e successore di Stefano Allegri, è ineccepibile (entrambi nella foto centrale). Non fa una grinza. Da sottoscrivere.  Ma indirettamente pone un problema tendente all’infinito. Endemico. Come realizzare questa unità? La questione si presenta ogni volta che si discute del territorio. 

L’unità è un mantra, al pari della carenza dei posti letto nelle Rsa quando si parla di anziani. Oppure della mancanza di assistenti sociali, se l’argomento sono le emergenze dei Comuni. Poi, finita la riunione, passato il giorno, passato il santo. È la fatica di Sisifo delle buone intenzioni. Il rosario del già sentito. Il déjà vu. È la coazione a ripetere gli stessi messaggi, i soliti cahiers de doléance con le medesime frasi e la consueta stanchezza. È la sora Camilla che tutti vogliono e nessuno la piglia. È, in cremasco, il Töc i la ol, ma nüsü l’ha tol. È il peana all’inazione. Allo stallo. Al rinvio. 

Restano le parole, i propositi, le dichiarazioni d’intenti. Restano i progetti sulla carta. Resta il territorio con i propri guai: già, con il divano da far passare nel corridoio ad angolo retto.

Ferraroni ha ragione, ma non basta che industriali, artigiani e le altre associazioni di categoria siano compatte e disciplinate al pari di una falange politica. È necessario, obbligatorio, che l’intera provincia sia coesa e determinata. Sfida immensa, più complessa dell’organizzazione di un coro di stonati. Affermare che è una questione politica non è qualunquismo da bar. 

Per esempio Michele Bellini, segretario provinciale del Pd, attento e preciso alle sorti del Vecchio Continente, potrebbe dedicarsi con altrettanto zelo a lavorare per il futuro del nostro territorio. Se già lo fa, lo evidenzi.  Produca analisi e formuli proposte. 

Il suo saggio Rendiamoci conto – senza difesa non c’è più l’Europa è illuminante su quello che attende l’Europa «sola e impreparata davanti al cambio di direzione degli Stati Uniti e all’aggressività di Putin» (www.vittorianozanolli.it, 9 giugno), merita attenzione e un plauso. Fa seguito a due articoli pubblicati su un bollettino delle parrocchie anch’essi con l’Europa protagonista. Bellini è un primo della classe. Tanto di cappello. Il suo curriculum comprende anche un tirocinio alla J.P. Morgan, una tra le più grandi e influenti banche del mondo. Bussola della finanza internazionale, è garanzia per un partito di sinistra.  Ma sia chiaro, un passaggio in questo humus non costituisce una discriminante per ricoprire la carica di segretario Pd. Al contrario, con il Pd cittadino attratto dalla destra e abbagliato dagli stakeholder potrebbe essere un vantaggio. 

Ferraroni ha ragione: alla nostra provincia serve unità.  Ma per ottenerla è indispensabile che partiti e amministratori pubblici superino l’egoismo e il blocco mentale della realpolitik degli interessi di bottega e degli incubatori di consenso e di voti. L’utopia diventa realtà se si abbandona la logica del proprio orticello, senza cadere nella farsa della lista unica, lanciata lo scorso anno in occasione delle elezioni provinciali, ma poi abortita.  Armata Brancaleone, la lista unica sarebbe risultata più funzionale alla spartizione del pane e dei pesci che all’unità territoriale. Maelstrom che avrebbe risucchiato le minoranze e ridotto la politica a melma indifferenziata. Blob destinato a soffocare dialettica e confronto, senza approdare all’unità territoriale.  

È una supposizione, ma giustificata dalla sintonia tra Pd e Fratelli d’Italia nella recente guerra per la conquista di alcuni consigli di amministrazione di società ed enti pubblici. Il braccio di ferro sulla scelta o tangenziale di Dovera o tangenziale di Casalmaggiore racconta molto più di mille convegni e saggi sull’unità provinciale. Rivela in modo feroce, crudele e scevro da ipocrisie l’insussistenza di una visione unitaria del territorio. È la pistola fumante che prova e assevera l’incomunicabilità cronica e stratificata tra Cremonese, Cremasco e Casalasco. 

Entità tricefala, la provincia è storicamente incline al dissenso, allo scazzo e ai localismi che attraversano le aree che la compongono.

Non mancano momenti di condivisione e di dialogo, ma accade quando s’incrocia l’unicorno. Sarebbe un’esagerazione, ma non un’eresia, considerare le tre zone delle monadi autonome. Distinte dalla geografia, ma anche da interessi, priorità, visioni di sviluppo, trovano con difficoltà un punto di aggregazione comune.E non aiuta a costruire una squadra provinciale vincente il distacco del capoluogo dalle realtà periferiche. 

Supponente, Cremona dialoga con il contagocce e predilige l’imposizione, maestra ad impiegare crema emolliente per attenuare il dolore agli interlocutori. Riconosciuta da tutti e senza esitazioni, Comune leader della provincia, esercita la funzione con scarsa empatia, pazienza ridotta e capacità di ascolto limitata. Guarda il proprio ombelico piuttosto che l’orizzonte. Per dirla con una espressione inflazionata e spesso utilizzata a sproposito, fare rete non è nelle sue corde.  Preferisce tirarla, attività da lei, delegata a pochi sgaggi abili a sfruttare la lentezza e l’ignavia  altrui. 

Ferraroni ha ragione nel sostenere che «siamo poco rappresentati a Roma in termini numerici e quindi solo restando uniti come territorio e come associazioni potremo ottenere delle considerazioni a livello istituzionale» (Cremonaoggi, 12 giugno). Ma sbaglia nell’indicare l’esigua presenza provinciale in parlamento una delle cause del modesto peso politico della nostra provincia, non solo nella capitale, ma anche a Milano e nelle sedi che contano. 

Quando i numeri scarseggiano si dice: pochi ma buoni. Ora l’onorevole Silvana Comaroli (Lega) e il senatore Renato Ancorotti (Fratelli d’Italia) non sono degli sprovveduti. Sicuramente non dei pisquani. 

Ferraroni scorda che un nostro rappresentante sta a Bruxelles. Dimenticanza comprensibile: Massimiliano Salini è un fiume carsico. Come Gesù Cristo: ancora un poco e non mi vedrete e un po’ ancora e mi vedrete.  Ricordarlo rientra tra gli esercizi di fede. 

E poi ci sono tre i consiglieri regionali. Matteo Piloni (Pd), Riccardo Vitari (Lega), Marcello Ventura (Fratelli d’Italia). I primi due – cremaschi – si agitano molto. Il terzo – cremonese –  è più defilato e viene il sospetto che sia allergico alla Repubblica del Tortello. Nelle ultime riunioni dell’Area omogenea, alle quali erano stati invitati i tre moschettieri, lui era l’unico assente.  

Due parlamentari nazionali, un europarlamentare, tre consiglieri regionali, non sono un plotone, ma neppure poca cosa.  Non sono una squadra di Navy Seal, ma neppure dei simpatici goonies. E neanche degli escursionisti della domenica. Assai più banalmente si muovono e agiscono nelle rispettive sedi istituzionali con il supporto e i mezzi che il territorio fornisce loro. MAB38 contro gli M60 dei concorrenti. 

Se la nostra provincia è in gara, con notevoli possibilità di vittoria, per il trofeo di Calimero regionale, significa che la dotazione fornita dal territorio ai propri rappresentati è misera.  Ne consegue che il problema è strutturale. È lo sfilacciamento della provincia. La mancanza di unità. Il nodo gordiano che ingessa la provincia. L’anello debole che impedisce di «contare, ottenere dei risultati come territorio» come auspica Ferraroni.

Con una leggera modifica a una famosa frase di Brecht, si può affermare che se siamo seduti nella parte sbagliata non è perché gli altri posti erano occupati, ma perché autolesionisti e incapaci di guardare oltre il cortile di casa. Ferraroni ha ragione. Politica e pubblici amministratori, hanno torto. Così è.

 

Antonio Grassi

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