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Campagna elettorale di serie B. Poco originale.  Noiosa. Scontata. Asado di luoghi comuni.  Candidati sindaco brave persone. Educati anche quando tirano un calcio nelle palle all’avversario.  Niente che esondi dai canoni di una propaganda normale e normalizzata. Film visto troppe volte, non meritevole di un remake. Priva di trasgressioni, incasellata in schemi tradizionali e collaudati, la competizione non infiamma gli animi. Non suscita entusiasmi.  Non accende le emozioni. Non stimola coinvolgimento e partecipazione. Non attizza il fuoco degli ideali.

Chitarra scordata e batteria moscia, la singolar tenzone non è un concerto di Bob Marley, ma il piano bar di Fred Buongusto.  Non è No Woman, No Cry, ma Una rotonda sul mare. È melassa. Panna montata. Dente di leone: un soffio e si squaglia.

Di romantico è rimasta la lista degli incrollabili utopisti del 3 per cento di Cremona Cambia Musica.  Poca cosa per caratterizzare il duello elettorale, monopolizzato dagli altri competitor, giganti anche se spesso nani. Ma sognare non è un peccato. E la fortuna aiuta gli audaci.

Non ci sarà un ok corral della Repubblica del Marubino. E neppure una disfida di Barletta in salsa cremonese.  Sotto il Torrazzo scarseggiano gli Ettore Fieramosca e i Guy de La Motte. O loro emuli.  In riva al Po germogliano e abbondano i politici-travet. I burocrati del mantenimento dello status quo. I colletti bianchi dell’establishment. Proliferano gli affezionati a schemi stantii e logori. Gli allergici a un’inversione di rotta. Gli oppositori alla revisione di un sistema consolidato e ingessato. Statico.  Abbondano i difensori di un apparato senza domani. E l’informazione tiene loro bordone.

Per Cremona è tempo di uscire dall’onanismo autocelebrativo.  Di ripudiare il ruolo di comfort zone per anodini attendisti. Di essere posto ideale per traccheggiare senza problemi e complicazioni.  Terra promessa per i fancazzisti dell’impegno politico. 

È il tempo delle pulizie primaverili.  Dello stop al laissez faire. Della rigidità nell’ urbanistica contrattata ancorchè giuridicamente legittima. È tempo di elezioni. Del coraggio.

Non moriremo democristiani, titolava il manifesto nel giugno 1983. 

Sbagliava.  A Cremona moriremo democristiani. Le dichiarazioni e l’atteggiamento di Andrea Virgilio, front runner del centrosinistra, sembrano partorite da un riservista dell’ancien regime, cresciuto in un vivaio scudocrociato, piuttosto che alle Frattocchie. Allevato nell’enclave doroteo di Mariano Rumor, invece che in quello della sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin.

La condivisione del biometano a San Rocco, lo slurp al nuovo ospedale, l’okay alla costruzione dell’autostrada Cremona-Mantova, il silenzio sull’elevato numero di alcuni tipi di tumore in città, l’indifferenza sul record di polveri sottili nell’aria e la pretesa di essere il rinnovatore, dopo avere retto il moccolo per anni alle precedenti amministrazioni, rafforzano la tesi di un’eccessiva contaminazione democristiana del caposquadra del centrosinistra.

Se così è, nella gara per l’attribuzione del titolo di candidato sindaco più moderato, più centrista, più funambolo, Virgilio è in netto vantaggio sul resto dei suoi antagonisti, compreso Alessandro Portesani, portabandiera del centrodestra.

Gli elettori ascoltano e seguono distratti e distaccati. Indifferenti e scoglionati. 

L’ambaradan elettorale di casa nostra è una macchina da guerra superata. Un fai da te abborracciato. Un bricolage da dopolavoristi. Fa rimpiangere gli anni andati, più genuini e appassionanti. Sollecita ricordi di comizi in piazza. Di auto con gli altoparlanti sul tetto, che battono le vie cittadine per diffondere gracchianti messaggi elettorali.  Di militanti che si dannano l’anima al ciclostile per tirare volantini da distribuire in piazza, nei parcheggi e in qualsiasi altro luogo frequentato dai cittadini.  

La campagna elettorale di Cremona è un vorrei ma non posso. Un po’ Tu vuo fa l’americano di Renato Carosone e un po’ Nando Mericoni di Alberto Sordi.

Poi c’è il pezzo pregiato. Il cameo che si distingue. Che si nota e si fa notare, anche per mancanza di concorrenti. Che ci tiene a farsi notare. Che punta a essere diverso.  Non per spocchia o vanità. Ma perché è il cavallo di razza della politica locale.  Perché  è il mazziere che dà  le carte. Perché è una spanna sopra gli altri. Perché è convinto di esserlo ed è consapevole di essere ritenuto tale. Politico intelligente, premiato a Roma con incarichi di prestigio, Luciano Maverik Pizzetti, piddino, ex parlamentare ed ex molto altro, è il top gun, la variabile incontrollabile della campagna elettorale. Il valore aggiunto di Virgilio, suo allievo prediletto e coccolato.  Ma di Virgilio, Pizzetti è anche il limite. Il termine di paragone. La fonte di malevoli supposizioni. È il peccato originale che marchia l’apprendista stregone. Colpa onerosa e incancellabile.

Niente e nessuno potrà azzerare sospetti, dicerie, fake sull’influenza determinante del padre putativo sul figlioccio. Niente e nessuno potrà fermare le voci di Pizzetti ventriloquo che eterodirige Virgilio. Che, si diceva una volta, gli detta la linea. Che la impone.  

Niente e nessuno potrà separare Pizzetti da Virgilio. Fratelli politici siamesi appaiono. Fratelli siamesi rimangono. Fratelli siamesi resteranno.  Questo pensano i cremonesi.  Vero o falso che sia, vox populi, vox dei e questa convinzione rimarrà.  

È il prezzo che il migliore, da non confondere con Palmiro Togliatti, deve pagare alla decisione di non essersi candidato sindaco. Scelta difficile da comprendere dopo la sua discesa in campo con una propria lista a sostegno di Virgilio. Un aiuto non formale, ma concreto, in prima linea. In trincea. Sulle barricate. Sui media di regime.

L’interrogativo viene naturale: perché Pizzetti non si è candidato sindaco?

Bella domanda. Mille risposte. Una certezza: un cavallo di razza della politica non agisce d’impulso. 

Il top gun è dotato di una notevole, giustificata e comprensibile dose di autostima, ma qualche volta eccede.  Deborda.  Lo sconfinamento non gli giova e non aiuta la campagna elettorale del suo protetto. Penalizza entrambi.

Non se la tira, ma nelle dichiarazioni, nelle interviste e negli interventi si coglie il piglio del maestro e l’enfasi del grande saggio. Resta un retrogusto di fastidio causato dai primi della classe quando fanno i primi della classe. Pizzetti è il Massimo D’Alema di casa nostra. Il suo cuore però ha battuto forte per Matteo Renzi e batte ancora per lui. L’accordo siglato con Italia viva a sostegno di Virgilio lo prova.  Pizzetti come Unieuro: Batte. Forte. Sempre.

È un compagno, ma coltiva solide amicizie tra chi compagno non è. Tiene rapporti stretti con imprenditori, potenti e pseudo tali, frequentazioni non disdicevoli. Plus valore.  Ne ha risentito il suo stile che ha acquisito impercettibili sfumature padronali. 

Possiede il pregio di non autoincensarsi, ma fa capire che si reputa bravo. Che è il numero uno.

In questo periodo la sua presenza sui media è intensa. Lo intervistano e lo fotografano da solo e insieme a Virgilio. La gente nota il secondo accanto a lui e non viceversa. È lui la superstar, l’altro la spalla. Il comprimario. 

Raramente è impreciso e superficiale, ma è umano. Allora gli capita di sparare minchiate, l’ultima sull’etica politica e sul buon senso da utilizzare per il rinnovo del consiglio di amministrazione di Padania Acque. Un pippone per nobilitare una spartizione di poltrone. (Vittorianozanolli.it, 21 aprile) Ha ricordato che i cittadini contrari al biometano possono ricorre al Tar  se la Via non  ferma l’insediamento. (Cremonasera,24 marzo).  Ma  allora a cosa serve la politica?

Ha spiegato che la città deve guardare oltre il proprio ombelico. «Penso a Brescia, Bergamo e Mantova. Una collaborazione aperta e sinergica che punti alla valorizzazione delle nostre comunità e delle eccellenze per stare ai tavoli che contano» (La Provincia, 3 maggio). 

Si è scordato la priorità: la ricostruzione dei rapporti di Cremona con il resto del territorio provinciale. Con Cremasco e Casalasco. Rapporti sfilacciati e ai minimi termini. Non un accenno all’area Omogenea.

«Sarà forse il vento che non l’accarezza più. Sarà il suo cappello che da un po’ non gli sta su. Sarà quella ruga di ridente nostalgia. O la confusione tra la vita e la poesia», ma anche il Mazzarino della politica locale, come El Bandolero stanco di Roberto Vecchioni, può succedere di perdere dei colpi. Nulla di grave.  Le campagne elettorali stressano e i top gun non sono esenti dal rischio.  Logorano anche se di serie B. E non basta un Cynar per risolvere il problema.

 

Antonio Grassi 

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