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Può sembrare bizzarra l’idea di cercar funghi in una società canottieri. E poi d’estate, col caldo.  Di solito i funghi si cercano d’autunno, stagione piovosa, salvo eccezioni come il marzuolo in  primavera. E soprattutto nei boschi di montagna. Da noi lungo le rive boscate, nei pochi prati  rimasti, sui ceppi, principalmente. 

In realtà i funghi crescono tutto l’anno, ovunque, a seconda della specie, e le ultime perturbazioni  hanno trasformato la fine dell’estate in un autunno anticipato. 

Una società come la Baldesio presenta aree verdi, alberi, aiuole che possono costituire ottimi  ambienti di crescita. 

Il lavoro sui funghi estivi rappresenta quindi lo sviluppo di un’altra idea, quella della presentazione  dei funghi in generale della società. Grazie alle piogge, tuttavia, sono bastate poche uscite sul  campo (tre) per raccogliere una più che sufficiente documentazione da proporre, oltre le aspettative,  per cui di fatto si tratta di funghi settembrino estivi. 

Per entrare alla Baldesio e fare le foto, però, non essendo socio, ho dovuto chiedere  l’autorizzazione al Presidente, che è rapidamente arrivata e per la quale ringrazio vivamente, ed  essendo talmente vasto l’argomento, mi sono limitato fondamentalmente alla funzione cromatica

Presso una delle due piscine, tra i pochi esemplari sparsi nell’erba, mi si presentò la splendida Saproamanita  vittadinii (foto 1 centrale) senza ombra di dubbio una delle più belle amanite, per quel bianco candore  di tutte le sue parti, amplificato dalle ornamentazioni, in forma di verruche piramidali sul cappello,  e di cercini o squame sul gambo. Splendide statuine destinate però a non vivere a lungo, vuoi per la posizione infelice in quanto  facilmente esposte agli sfalci periodici, inevitabili; vuoi anche in virtù della loro visibilità, per la  facilità ad essere scalciate da quell’impulso ancestrale che può prendere chi non è avvezzo a  questo fantastico mondo. 

Con quei colori caldi illuminati dal sole, dall’ocra al bruno dattero, facilmente schiarentim quel  bordo plissettato e striato per trasparenza e l’ampio e basso umbone dal colore più carico, la  Psathyrella spadiceogrisea (foto 2) riempie parte di un prato, ravvivandolo e tendendo a  crescere in numerosi esemplari, più o meno distanziati tra loro. 

Anche i prataioli han fatto la loro comparsa. Noti per il colore bianco del cappello, con quel tipico  margine appendicolato, anche l’Agaricus campestre  (foto 3) non fa eccezione. Il colore si  mantiene sul gambo, poco virante al giallo, e questa è una caratteristica di alcuni prataioli  commestibili. Ma c’è un altro aspetto cromatico di rilievo, fortemente cangiante: iI colore delle  lamelle, di un salmone scuro quindi violaceo, a dimostrare l’evoluzione del fungo attraverso la  maturazione sporale responsabile appunto del colore delle lamelle. 

L’ Agaricus bresadolanus  (foto 4) presenta al contrario un viraggio rapido al giallo cromo alla  base del gambo, e questo è indice di velenosità. E’ incredibile come la natura sappia avvertire in  tanti casi della sua pericolosità, attraverso la metamorfosi del colore.

Ma dal punto di vista cromatico ciò che colpisce di più è il cappello: non bianco, come tanti  prataioli, bensì grigio brunastro e dissociato in numerose squamule fibrillose, più compatte al  centro e più distanziate ai margini, ove lasciano trasparire la carne bianca sottocuticolare. 

Una vera e propria opera d’arte! 

Come palline sparse più o meno piriformi o globose, le piccole vesce della Bovista aestivalis  (foto  5) riempiono il terreno dei pini. Bianco/grigie all’esordio, ingialliscono intensamente alla  maturazione delle spore. Dal colore possiamo dunque dedurre anche l’età del fungo, che è  inversamente proporzionale alla sua commestibilità. Tanto più vecchio è il fungo, tanto più e da  evitarne il consumo. 

La cuticola liscia non squamulosa del cappello, evenienza rara nel genere, orienta verso la Lepiota  oreadiformis  (foto 6) di cui colpisce la vivacità dei colori, dall’arancione al rosso soprattutto verso  il centro del cappello, col bordo invece tendente a sbiancare. Tanto belle e numerose, queste  lepiote, come piccole fiammelle, quanto assolutamente da evitare al consumo. Bellezza del fungo  infatti non va di pari passo con la sua commestibilità, anzi!  

La Lepiota lilacea  (foto 7) presenta una cuticola grigio bruna modestamente squamata, ma ciò  che la caratterizza cromaticamente è l’anello sul gambo. Con la maturazione delle spore ti  aspetteresti che la parte superiore dell’anello, dove le spore appunto cadono, sia più scura di  quella inferiore. Qua avviene invece il contrario: l’anello bicolore, per di più obliquo, è bianco sopra  e nero sotto. 

Il fungo seguente, il Leucoagaricus sericifer  (foto 8) nel nome del genere ci indica già  l’importanza del colore per la determinazione e in particolare il bianco, che si riferisce alla  sporata che colora di bianco le lamelle. Ma di un bianco latte appare anche il resto del fungo, salvo  l’umbone che può apparire debolmente giallastro. 

Con questo fungo, il Marasmium oreades  (foto 9) ci troviamo di fronte a un vero e proprio  camaleonte cromatico. Motivo per cui, pur essendo commestibile, se ne sconsiglia la ricerca ai non  esperti perché essendo piccolo come tante specie velenose, il rischio di confonderlo può sembrare  alto. I colori del cappello vanno dal rosso al bianco frequentemente cangianti grazie alla sua  elevata igrofaneità, che consente rapidi viraggi assorbendo l’acqua e addirittura reviviscenti, in  grado cioè di recuperare i caratteri originali. 

Il leucoagaricus barssii  (foto 10) ha un tipico colore grigio bruno del cappello, dunque spento ma  talmente suggestivo per il rilievo cromatico, con quelle numerose squamule feltrate, da essere  chiamato fungo fumoso o parasole grigio.  

Peccato che l’immagine non renda l’arlecchinata di colori che l’Hortiboletus rubellus  (foto 11) sa esibire. Il cappello muta dal rosso, negli esemplari piccoli, al marrone chiaro/ocra con la  maturazione, ma straordinario è il viraggio delle parti contuse, qua non visibile, in particolare  bordo del cappello pori e gambo che diventano rapidamente blu. Colore che, a differenza del  giallo cromo dei prataioli, non è sinonimo di velenosità. L’importanza del colore la si riscontra  anche nel nome di specie appunto rubellus, il colore del cappello degli esemplari piccoli, anche se  la peculiarità distintiva, sorpresa delle sorprese, è un’altra ma sempre cromatica e cioè una sorta di  punteggiatura rossa che si riscontra all’interno della base del gambo.

In questi esemplari di pioppino, Cyclocybe cylindracea  (foto 12) fortunatamente trovati tutti  assieme nelle loro diverse fasi evolutive, si riscontra tutta la metamorfosi cromatica del cappello.  Dal rosso bruno negli esemplari più piccoli, passando al camoscio, all’ocra fino al bianco, l’esemplare più grande rivoltato. Una grande mutevolezza che dimostra non solo l’enorme differenza dal mondo animale e vegetale, molto più stabili nei colori, ma anche la tendenza diffusa  a schiarire il colore della cuticola con l’avanzamento dell’età per dispersione del colore. 

E tuttavia ci sono delle grandi eccezioni, una delle quali trovata proprio lì, e che si caratterizza  per un’inversione cromatica dell’evoluzione del cappello rispetto al pioppino. Il fungo,  abbastanza raro, si chiama Leucoagaricus bresadolae  (foto 13) e presenta un cappello che nasce  bianco e che via via imbrunisce riempiendosi di squame a partire dal margine. 

Si noti infine il viraggio intenso e rapido al giallo cromo e quindi al rosso della base del gambo, che  anche in questo caso è indicatore di velenosità al consumo. 

In definitiva, non rimane che guardare i funghi per rendersi conto della fantasmagoria della natura.

 

Stefano Araldi

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