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Mi rattrista la decisione di Marco Degli Angeli, che ha recentemente lasciato il ruolo di coordinatore provinciale del Movimento 5 Stelle. Mi rattrista ma non mi stupisce. Conoscendolo e seguendo i suoi interventi, avevo intuito da tempo come sarebbe andata a finire.

Ma il punto, per quanto l’uscita di scena di Degli Angeli sia una sconfitta per tutti, considerata la sua esperienza e la sua onestà intellettuale, è che siamo di fronte a una spia. L’ennesima spia della spossatezza che pervade il mondo politico. Un altro segnale dello scollamento tra la politica e il mondo reale.

Perché se un giovane (Marco lo è) con capacità e determinazione arriva a stancarsi della situazione al punto da volersi prendere una pausa (anche al netto di questioni meramente partitiche), significa che qualcosa non va.

Ora, non c’era bisogno di questo abbandono per capirlo. Realtà e politica viaggiano su binari paralleli da anni ormai. Per carità, l’astensione è sempre esistita, ma quanto è cresciuta in questi ultimi anni?

Astensione è disaffezione. Non scelgo. Non ho nemmeno la forza di turarmi il naso. Giocatevela tra di voi.

Si potrebbe obiettare, tornare a tirare in ballo l’adagio secondo il quale votare è un diritto e un dovere; che se non esercitiamo questo diritto cediamo un pezzo della nostra personale “sovranità”.

Dire persino che i padri dei nostri padri hanno combattuto invano. Ma ci siamo mai domandati cosa direbbero i padri dei nostri padri se vedessero in quale stato è ridotta la politica di questi tempi? Sicuri che non sarebbero loro stessi i primi a mettersi le mani nei capelli, domandandosi chi glielo ha fatto fare, in definitiva?

Politica uguale selfie. Politica uguale annunci puntualmente disattesi. Politica uguale immagine. Politica uguale inciucio.

Esagero? Forse. Perché qualcosa di buono c’è. C’è ancora gente che ci crede, che si batte. Che fa politica tenendo a mente che il termine deriva dal termine greco pólis, che significa città, comunità.

Già, ma quando anche quel “qualcosa di buono” si stanca e si “astiene”, le domande crescono. La disaffezione si è propagata come un virus anche tra le maglie di chi nella politica – quella vera – ha sempre creduto. E prendersi una pausa, in questo caso, equivale a un’astensione degli ideali. La ricerca di una pausa dell’anima.

In fondo, volendo essere banali, chi le ha vinte le elezioni a Cremona?

Togli gli astenuti, aggiungi i franchi tiratori del centrodestra, considera lo scarto di 192 voti e domandati: quanti elettori hanno effettivamente voluto scegliere un sindaco? Quanti sono i cremonesi che hanno voluto Andrea Virgilio? A occhio e croce, sul complesso degli aventi diritto, pochi.

E avrà un bel compito, il nuovo sindaco, nel tentare di riavvicinare i cremonesi alla res publica. Perché la fiacchezza del cittadino, la sua freddezza nei confronti della politica è un elefante nella stanza che non puoi ignorare.

Dunque, se anche i “puliti”, i senza compromessi” mollano, le domande si fanno impellenti. E cercare di infondere nuovamente senso alla parola “politica” diventa necessario. Diversamente, come conseguenza, ne uscirà svuotato anche il concetto di democrazia, che verrà gradualmente sostituito da quello di oligarchia.

Ma a Cremona, per dirne una, di oligarchi ne abbiamo anche piene le tasche. Ammettiamolo, una buona volta!

 

Federico Centenari

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