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L’8 Marzo oggi è un rito stanco che fatica a trovare l’appoggio di un emblema o slogan che resista all’usura e veicoli le istanze che si intesta. Il giallo della mimosa come il rosso delle panchine sono già passato, come pure il tragico “non una di più”. Non so se manchi più il coraggio dell’analisi e della denuncia o la fiducia che questo coraggio produca risultato. Un dato certo è il ciclone mediatico che ha colonizzato il nostro quotidiano con una potenza di fuoco che spaventa se il solo Musk spara nell’etere 650 milioni di messaggi al giorno, un profluvio che annacqua e stempera ogni comunicazione in un limbo indistinto in cui il banale, il gossip, la fake ha lo stesso peso della denuncia. Tutto è ridotto all’attimo, anche i simboli, e elaborarne di nuovi richiede applicazione e tempo che manca, perché rubato e insieme ceduto. Una festa che perda per strada i suoi simboli o non riesca a produrne di nuovi non solo è più povera ma rivela che si sta perdendo o sfuma il senso stesso della festa. L’8 Marzo nasce per rivendicare alle donne pieni diritti, dignità, effettive pari opportunità. Ma tutto questo continua ad essere negato.

Il lavoro femminile penalizzato nelle retribuzioni lascia le donne più povere rispetto agli uomini, dato confermato dal fatto che se sono le donne a chiedere più facilmente la separazione sono gli uomini a volere il divorzio.

Il lavoro domestico è saldo appannaggio femminile come pure, e con oneri incomparabilmente superiori, il lavoro di cura di minori, anziani, fragili. Bruciata l’opportunità legata ai fondi Pnrr destinati ad implementare il numero di asili nido ed è un dato che il secondo figlio comporti l’uscita delle donne dal mondo del lavoro o il loro demansionamento.       

Nel circo mediatico-mercantile continua ad imperare lo sfruttamento del corpo della donna, con una deriva che sconcerta se si pensa alla piega che ha preso il battage pubblicitario degli assorbenti femminili. Non c’è donna in tv, nella pubblicità, sui cartelloni che sia vestita nel senso di coperta tanto quanto un uomo e queste immagini fanno scuola, così che poi per strada ritrovi gli stessi standard e finisci per chiamare libertà il condizionamento che ti fa vittima del furto di dignità.

Non ha fatto un passo avanti la Chiesa che dal tempo di Eva guarda alle donne solo come a corpi tentatori, non degne di rappresentare il sacro nel mondo e quindi escluse dal sacerdozio in ragione di quelle che un imbarazzato monsignor Ravasi chiama“complesse ragioni teologiche” che vorrei fossero declinate e pubblicate ‘a lettere di fuoco su tavole di pietra nel foro’. La Chiesa, quella che alza con forza la voce in difesa del diritto alla vita dei non nati ma non denuncia le politiche dissennate di aggressione all’ambiente che condannano ad esempio 50.000 italiani all’anno a morte precoce.

E c’è il forte vento della destra vincente nel mondo che ribadisce, se mai qualcuna si fosse illusa, quale sia il posto e il destino della donna nella famiglia e quindi nella società, nel mondo. L’onda di risacca che spariglia e travolge le precedenti conquiste, il no all’aborto made in Usa come in Italia, il giro di vite sulla 194, la rarefazione dei consultori, l’ospedalizzazione imposta per la Ru486 rappresentano la riaffermazione del diritto di prelazione del pubblico sui corpi, sulle vite, sui desideri delle donne, cittadine di serie B, sub condicione. Cittadinanza di serie B che arriva a mettere a rischio la vita dell’umanità femminile lasciandola farmacologicamente scoperta o vittima designata di un sistema che testa da sempre i farmaci solo su campioni maschili, cosa che rende tutte le donne ‘cavie a perdere’ nemmeno degne ex post di studio e valutazione a titolo di correzione dei prodotti di laboratorio. 

Se questo è il trend, il risultato di decenni di lotte, impegno, militanza, i simboli e gli slogan si portano dietro il freddo delle parole vuote e retrocedono a stanco rito un 8 Marzo che ha perso lo smalto dei colori e delle sfide che si era intestato e oggi resta il luogo dei bilanci in negativo in ragione delle pari opportunità negate, dei diritti traditi, della dignità insidiata, un bilancio questo che, a titolo di resistenza e impegno civico, le donne ancora non arrese e omologate al sistema insistono a denunciare ogni giorno dell’anno.

 

Rosella Vacchelli

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