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Cremona 1426, la flotta veneziana lancia l’attacco nella primavera. L’attacco parte da Venezia e il comandante è Francesco Bembo. Giunti a Cremona, per prima cosa incendiano il grande ponte che occupa tutti i punti strategici del fiume, prendendo in scacco il duca di Milano Filippo Maria Visconti. Ivi, il capitano generale dell’armata Francesco Bembo ordina di rafforzare con altre 16 navi la testa di ponte posizionata nei pressi di Cremona e verso la fine di giugno con la sua flotta, superando gli sbarramenti difensivi eretti presso la città, attraversa la foce del fiume Adda risalendo sino a Pavia, dando una prova di forza al duca di Milano. 

Primavera 1427, dal Ducato di Milano, Filippo Maria Visconti fa scivolare sulle acque i suoi galeoni e li posiziona presso Casalmaggiore, spingendosi sino a Brescello. L’ammiraglio veneto Stefano Contarini accetta lo scontro che avviene il 7 agosto nelle acque intorno a Cremona. La battaglia fluviale dura 10 ore e i viscontei sono sconfitti: vengono affondati sei galeoni. 

Le truppe superstiti del duca di Milano riescono a riparare in quel di Pavia. Filippo Maria Visconti mastica amaro e si prepara a lanciare contro il doge di Venezia la più grande battaglia fluviale di quel tempo.

Il 20 giugno 1430 è tutto pronto nelle profonde acque larghe a un chilometro da Cremona. Vengono costruiti tre fortilizi in legno: un castello posto sulla riva sinistra, opposto ad un altro castello speculare sulla riva destra. Un terzo castello in legno viene alzato nel bel mezzo del Po. Il Torrazzo di Cremona, la torre più alta d’Europa in quel tempo, viene utilizzata come osservatorio che permette di scorgere chicchessia sino a 50 chilometri di distanza.

Migliaia di navaroli, guastatori e fanti vengono mobilitati il 20 giugno 1431. La flotta veneziana comandata da Nicolò Trevisan è composta da 32 galeoni, 48 barche falcate e vario altro naviglio; giunge presso Zibello nel Parmense verso sera. La flotta milanese è composta da 28 galeoni da guerra, di cui uno grandissimo e altri 28 galeoni da carico con a bordo milizie terrestri al comando dei capitani Piccinino e Sforza assoldati da Filippo Maria Visconti. 

La flotta viscontea deve arretrare sino a Cremona, dove è in agguato il conte di Carmagnola, capitano dei veneti, con il suo esercito. La battaglia è durissima. Il sistema difensivo allestito dai cremonesi funziona con una manovra combinata terra-fiume. La flotta del doge viene sconfitta e il grande stendardo di San Marco incendiato. Colano a picco 30 galeoni e 70 navi da carico con munizioni e viveri. Vengono fatti prigionieri 8.000 militi con una rovinosa fuga a rotta di collo dei superstiti.

Il 25 ottobre 1441 in Cremona, Bianca Maria Visconti sposa Francesco Sforza. Bianca Maria ha 16 anni, Francesco Sforza 40. Si uniscono in matrimonio nella antichissima cappella monastica di San Sigismondo alle porte della città, diventando di fatto i signori di Cremona. 

Cremona, 2 ottobre 1447, la signora di Cremona Bianca Maria Visconti scrive al marito Francesco Sforza (occupato militarmente nell’assedio di Piacenza) che le milizie della Serenissima Repubblica stanno invadendo il territorio e che l’intenzione è di assediare Cremona. Hanno già bruciato cascinali e mulini, saccheggiando e lasciando rovine e distruzione al loro passaggio. 

Dopo aver preso e saccheggiato Piacenza, Francesco Sforza torna fulmineo all’ombra del Torrazzo, accanto alla sua adorata sposa. Passano il Natale nel loro nido d’amore, il castello di Santa Croce, eretto dal suo antenato Bernabò Visconti nel 1370 presso l’antichissima chiesa di Santa Croce. In quei tempi, le operazioni militari venivano interrotte d’inverno e tutti gli eserciti ubbidivano ai loro signori e capitani. La flotta veneziana, giunta fra il 1447 e il 1448 nel Cremonese, viene posizionata strategicamente presso Casalmaggiore. 

Il Doge schiera in arme la Serenissima nelle acque cremonesi in seguito alla decisione di Francesco Sforza di candidarsi a duca di Milano, essendo spirato l’ultimo della stirpe dei Visconti, Filippo Maria il 13 agosto 1447, padre della sua sposa Bianca Maria Visconti, erede legittima. Il Doge cerca così di togliere la roccaforte di Francesco Sforza, punto di forza strategicamente posizionato sullo scacchiere alpino- padano- appenninico.

Francesco Sforza era fuori Cremona affaccendato nel lavoro di capitano delle sue milizie, perciò giocoforza a Bianca Maria tocca il comando delle operazioni militari per difendersi dall’imminente attacco veneziano. È lei a impartire ordini, decidere strategie e posizionamenti. Scrive una missiva al distretto parmigiano ordinando di riunire tutti gli uomini che militano sotto le insegne sforzesche, di raggiungere Cremona al più presto e di portare al seguito biada, militi da piede e da cavallo: li avrebbe collocati sui bastioni merlati che punteggiavano le mura a difesa del ponte di Cremona.

Il “cotto cremonese”, opera d’arte che si alza verso il cielo sopra Cremona, svetta con le possenti mura, le 62 torri, i 77 campanili e le 62 torrette, staccate dalla rassicurante merlatura; in tutto, oltre 200 torri.

Passa il duro inverno e giunge la primavera del 1448. Tutto è pronto. Gli assalitori veneti sono allertati e a disposizione del proprio comandante; gli assaliti, i lombardi, guidati dalla duchessa viscontea non da meno.

La flotta sotto le insegne di San Marco sferra per prima l’attacco e giunge davanti a una Cremona ancora sbigottita e atterrita. Getta le ancore aprendo il fuoco con le bombarde e martellando le mura dentro e fuori la città e con maggiore violenza viene colpito il ponte di Cremona. Andrea Quaini, ammiraglio della Serenissima flotta, riesce a fare sbarcare le milizie nonostante la strenua difesa dispiegata lungo le rive del Po. 

Urlanti e frementi, i cremonesi dardeggiarono con gli archi e le saettanti frecce i legni delle imbarcazioni venete, ben protette, L’effetto sui galeoni, usi alle battaglie navali e fluviali, è scarso. L’esito della battaglia è incerto. Il popolo cremonese in arme dentro e fuori la città e in acqua è conscio del terribile momento. Teme la sconfitta, la resa e il saccheggio, l’incendio e la rovina di Cremona.

Ebbene, Bianca Maria Visconti furente e ardimentosa, ma fredda e lucida, essendo fin da piccola abituata a trattare questioni di Stato, frivole, artistiche, diplomatiche e militari, rompe gli indugi ed entra nella sala del suo maniero ove erano custodite le armi e le corazze. Toglie dalla custodia la propria armatura damascata che indossa nelle parate militari, fa inquadrare i soldati in arme e montando a cavallo esce dal suo castello alla testa dei suoi fedeli armigeri, armi in pugno sul ponte di Cremona, ove con grande destrezza scaglia una lancia che colpisce un soldato veneto.

 I soldati cremonesi si lanciano sul ponte riuscendo a gettare nelle acque la compagnia nemica. Completano l’opera il capo presidio Giacomazzo Guarna Salerno e l’ingegnere militare Bartolomeo Gadio, posizionando un ponte fatto di graticci che permette ai cremonesi di raggiungere un’isola sul Po e di saettare con dardi acuminati le serenissime navi. Vengono calate le poderose macchine da guerra con arte millimetrica, e si lanciano saette dai bastoni.

A questo punto, il comandante ammiraglio veneziano capisce che la battaglia è persa e fa levare le ancore verso Casalmaggiore. Francesco Sforza, informato dell’accaduto e occupato nei pressi di Milano in scaramucce, rimanda l’assedio di Lodi. Porta il suo esercito contro i veneti facendo partire la sua flotta da Pavia. Trova il ponte di barche a Cremona sguarnito e prosegue per Casalmaggiore. Colto di sorpresa, l’ammiraglio veneto Querini lotta invano e dopo una difesa disperata non trova di meglio che incendiare la superba flotta veneziana.

Luigi Dossena

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