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Entriamo sempre piu nel vivo delle celebrazioni per gli 80 anni della Liberazione, che di fatto aprono un biennio di ricorrenze che ci porterà fino agli 80 anni della nascita della Repubblica nel 2026.

Celebriamo a distanza di 80 anni un biennio storicamente unico per numero di eventi straordinari, che vide nell’arco di poco più di 14 mesi la fine della guerra mondiale, la liberazione dalla dittatura fascista, la fine della monarchia e la nascita della repubblica.

E già in queste poche righe occorrerebbe soffermarsi chissà quanto, e precisare, distinguere parole che hanno un peso ancora oggi che va ben oltre la semplice grammatica.

“Liberazione” è la parola che si celebra ufficialmente nel 2025. Fu essa  opera degli Alleati, senza la cui invasione e risalita dal Sud al Nord non avremmo mai liberato la Penisola dai tedeschi? Oppure agli alleati non interessava  “liberare” l’Italia dal fascismo quanto vincere la guerra, tanto che sappiamo che soprattutto gli inglesi spingevano per salvare Mussolini, già pronti ad affrontare il nuovo pericolo imminente, quello Stalin che da alleato fondamentale già stava per diventare un nemico giurato dell’Occidente? Non è oggi forse storiografia consolidata che alcuni grandi protagonisti del conflitto come il generale Patton Churchill abbiano abbozzato una ipotesi di non disfatta totale del nazi-fascismo proprio già in chiave anti-sovietica, contro quello Stalin senza i cui 26 milioni di morti gli Alleati non avrebbero mai sconfitto il furore senza precedenti della armate tedesche?

Per la storiografia prevalente la Liberazione coincide con l’intervento degli Alleati, cioè un fenomeno di natura internazionale, ben poco dipendente dagli italiani, che ne furono peraltro ben più vittime che artefici. Vittime nel senso proprio della parola, giacché se devastazione e morti civili vi furono, si dovettero più alle bombe alleate che alla furiosa ritirata dei tedeschi o al violento e oscuro canto del cigno dei fascisti di Salò…

Fu  invece allora la Resistenza la vera forza liberatrice dell’Italia, come certamente gran parte delle nostre celebrazioni tenderà a voler dimostrare? Ecco l’altra parola che risuonerà come un mantra in questo 2025. Un fenomeno questo sì tutto italiano e tutto interno al nostro Paese, e potremmo anche dire tutto nordico, e piu che mai lombardo. Un movimento spontaneo completamente al di fuori della guerra internazionale, e che fu a tutti gli effetti una guerra, tanto che molti partigiani furono poi decorati con medaglie militari al valore dalla Repubblica, proprio a voler confermare che essi furono soldati italiani e che gli atti da loro compiuti, anche i più discussi, non furono crimini ma combattimenti. 

E questa Resistenza, proprio in quanto fenomeno tutto italiano, fa di quella guerra tra fascisti e comunisti italiani una guerra civile, assurda e cattiva come solo le lotte in famiglia sanno essere, e che ancora a distanza di 80 anni non ci vede riappacificati, perché tutte le guerre civili si strascinano un po’ per generazioni dai nonni ai nipoti. E parlo di comunisti senza citare né tralasciare tutti gli altri resistenti, dai democristiani ai liberali ai repubblicani e azionisti, perché come diceva Cossiga senza il Partito Comunista noi la Resistenza non la avremmo avuta.

Eppure quella stessa Resistenza fu fenomeno militarmente ben poco rilevante, e forse quasi per nulla incidente ai fini della sconfitta dei tedeschi, impresa oggettivamente impossibile per pochi e male armati volontari. Ma fu però essa a consentirci di sedere al tavolo dei vincitori, ben più di quel poco nobile voltafaccia settembrino di una famiglia reale ormai allo sbando. Fu la Resistenza, oltre alla straordinaria dignità degasperiana, a consentire a George Bidault, allora ministro degli Esteri francese, di aprire la conferenza di Parigi del 1946 salutando il nostro Paese come benvenuto e alleato, usando quel termine meraviglioso e strategico “nous saluons aujourd’hui la nouvelle Italie” , oggi salutiamo la nuova Italia, e cioè non l’Italia fascista nemica ma l’Italia democratica e amica.

Breve riflessione questa mia, ma con l’augurio che celebrare sia anche sempre occasione di riscoprire e meglio comprendere quanto è accaduto.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

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