Home

GLI  EDITORIALI  DI ADA FERRARI

Inizia oggi i suoi lavori il centododicesimo Conclave della storia, rigorosamente ‘sotto chiave’ fino al momento in cui l’attesa fumata bianca darà al mondo il nuovo pontefice.  Buon lavoro allo Spirito Santo. E, più laicamente, buon lavoro alla Storia che avrà via via modo di maturare, con l’illuminante concorso del tempo che passa, meditata valutazione della complessa era di papa Francesco. Era non priva di paradossi. A cominciare da quello di più immediata evidenza: l’uomo in bianco venuto a noi dall’emisfero australe ha registrato proprio fra non praticanti e addirittura non credenti le adesioni più clamorosamente dichiarate. Indimenticabile l’autentico innamoramento papista del sulfureo Eugenio Scalfari. Più cauta invece la postura di molti cattolici fra i quali è andato crescendo il bisogno di qualche più fermo paletto dottrinale e la conseguente nostalgia di una Chiesa meno profetica e più istituzionale, specie riguardo alla custodia di organismi che, dopo averne a lungo presidiato il magistero nel vivo del tessuto sociale e civile, sono stati investiti da irrevocabile giudizio di anacronismo e vecchiaia.  Nessun dubbio invece che il Papa sia apparso autentico uomo della Provvidenza agli occhi   dei tanti che fino all’altro ieri proprio nella Chiesa vedevano il più ostico e longevo  baluardo della conservazione. 

Se a Bergoglio non è mancato l’apprezzamento talvolta entusiastico di atei e massoni, è pur vero che la corrispondenza di amorosi sensi è scattata principalmente col variegato pianeta di una sinistra anti sistemica dalle molte anime -radicalismo ambientalista, no global,  Ong –  comunque cementate dall’odio verso il capitalismo liberale,  tossico frutto di quella civiltà occidentale da cui la Chiesa deve al più presto completare la dissociazione. E nei dodici anni del pontificato da poco archiviato è in effetti apparso plasticamente evidente che il futuro della Chiesa è ormai in Africa e non nello stanco e smaliziato Occidente.  Abbiamo dunque assistito a inediti fenomeni di ‘papismo ateo’ o, quantomeno, di papismo dei non praticanti. Faccenda delicata, sintomo fra i più eloquenti di quel che cova nelle viscere del nostro tempo inquieto.

Ma qualche ulteriore considerazione va riservata ai cinque giorni di autentico parossismo che hanno preceduto la cerimonia funebre e dimostrato quanto un circo mediatico ormai padrone e pifferaio magico della platea mondiale e dei suoi umori, possa trasformare una solenne cerimonia di commiato in spettacolare psicodramma collettivo. Una copertura mediatica implacabilmente pervasiva ha impedito il più appropriato raccoglimento della riflessione individuale. Un impietoso stalkeraggio informativo ci ha dato conto, minuto per minuto, di quanti, numeri alla mano, stavano rendendo estremo omaggio al Pontefice scomparso. La logica ossessivamente quantitativa dello share estende ormai  i suoi artigli a tutto quel che incontra, si tratti del successo di un programma televisivo o della personale popolarità di un Pontefice. 

L’impressione è che in molti casi un grossolano sensazionalismo nell’intento di esaltare papa Francesco gli abbia fatto torto riducendone la reale complessità. E’ stato infatti quasi sistematicamente eluso ogni elemento in grado di ‘complicare’ ma anche arricchire di spessore e intimo travaglio la personalità di un Pontefice che ha sì audacemente spalancato porte e finestre  ai diversi e ai lontani  ma al tempo stesso non ha mai fatto mistero di prediligere fra i predecessori  proprio  san Pio X, custode del rigoroso tradizionalismo che nel 1907 mise capo alla sofferta sconfessione del modernismo cattolico. Inevitabile dunque un certo disagio di fronte a semplicistici schemi e conseguenti slogan da rotocalco di buona bocca e grandi numeri. Schemi che, per esempio, stanno consegnando alla storia  papa Francesco con l’etichetta di ‘papa buono’ a lungo riservata a Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli.  Quell’insistito aggettivo, nell’apparente ovvietà di un giudizio di fatto, sottintende che la bontà sia una caratteristica che fa la differenza: Francesco era buono.  Gli altri erano forse cattivi?  

Ad analoghe considerazioni si presta l’altra etichetta cara ai vaticanisti ‘fai da te’:  il papa della pace. Forse i predecessori erano militaristi e fautori della guerra? Il grande Benedetto XV, la cui esistenza storica ricordo ai distratti, si batté per esempio con ogni pacifica arma contro l’immane carneficina della prima guerra mondiale, realisticamente e  temerariamente definendola “inutile strage”. E peggio mi sento quando per immediata  beatificazione a furor di piazza il successore di Pietro diventa  “il papa della gente”. Cosa diavolo vuol dire? La definizione nel suo generico populismo sociologico si presta in fondo a qualunque personaggio mondanamente popolare, tant’è che il picco del suo utilizzo riguardò proprio la celebre lady Diana, ‘principessa del popolo e della gente’ sulla cui vita e morte tuttora ricama una narrativa popolare di fantasiose risorse e costanti profitti. La scelta di una parola non è mai casuale, sottintende quasi sempre un’intenzione interpretativa.

Per fortuna non ci è  mancato in questi giorni il ristoro di fior di commentatori e vaticanisti. Ma la maggior potenza di fuoco mediatico si è concentrata su ben diversa scelta: separare e isolare il ‘pontefice della gente’ dal contesto spirituale e dottrinale della Chiesa cattolica facendone quasi un caso di divismo personale, entusiasmante meteora che ha attraversato la storia umana appartenendole senza residui. Tutti a domandarsi quanto è stato pacifista o ambientalista o femminista o protettore degli immigrati o aperturista su gay e trans.  Domande legittime ma tutt’altro che esaustive visto che non si tratta di giudicare il capo di un’organizzazione  umanitaria o ambientalista ma un papa. E un papa, per quanto impegnato a correggere storture e ingiustizie del mondo, resta il vicario di un particolare regno “che non è di questo mondo”.  Per quanto si tenti di aggirarlo il macigno teologico dunque resta. Decisivo snodo fra generica gente e comunità dei fedeli – che insieme al papa forma il famoso corpo mistico della ‘Chiesa visibile’- è il gigantesco mistero della Resurrezione che sfida la ragione, ci annuncia un destino ultraterreno  ed esige un atto di fede.

Ed ecco perché, anche se lo Spirito soffia dove vuole o forse appunto per questo, non vedremo mai una Greta Thunberg o un Luca Casarini guidare la Congregazione per la della Dottrina della Fede che fu di Joseph Ratzinger. Ciò non toglie che il tentativo in atto a livello mondiale di fare del cristianesimo un’ideologia puramente terrena e sociale spendibile sui tanti tavoli dei rapporti di forza politica e geopolitica abbia fatto negli ultimi anni parecchia strada. Basti guardare, passando all’infinitamente piccolo, il bellicoso puntiglio con cui Elly Schlein  ha rivendicato alla Sinistra il diritto di privatizzare il lutto per la perdita del Pontefice: il papa è nostro, solo noi possiamo piangerlo e guai agli infedeli che osano associarsi al lutto.  Modo assai poco inclusivo di celebrare il papa più inclusivo  della storia.  Mai così in basso. Mai tanto fuori strada.

 

Ada Ferrari

L'Editoriale

In Breve

Ospite

Torneo di burraco il 14 febbraio alla Baldesio

Il Club Burraco Baldesio organizza per il 14 febbraio  il Torneo di Burraco nella Sala Polivalente della Canottieri, con premi e un ricco buffet per tutti i partecipanti! L’evento è aperto a tutti. Per prenotare il

Leggi Tutto »

Lo zingarello

Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde… (Dante: Inf. XV, 121-122) Quando i sessant’anni si profilano all’orizzonte può

Leggi Tutto »

L’auto e la filosofia

L’automobile, a volte, costituisce il perno su cui ruotano episodi che restano scolpiti per sempre nella memoria. Un professore di filosofia del Liceo Classico “Daniele

Leggi Tutto »

La luna nel caffè

Al bar Colomba il caffè era buonissimo e le leccornie un’infinità. Poco distante dall’università, era frequentato dalla gente più disparata: impiegati e studenti, pensionati e

Leggi Tutto »

Contatti

Per contattarci puoi scrivere una email all’indirizzo qui sopra riportato. Oppure compila il modulo qui a fianco.