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Cinquemila euro di pensione al mese, più ottomila da eurodeputato, e un vitalizio europeo in arrivo tra qualche anno. Il generale Roberto Vannacci, neo-eletto al Parlamento europeo tra le fila della Lega, ha lasciato l’Esercito lo scorso febbraio, a soli 56 anni, beneficiando della pensione militare anticipata. Una mossa formalmente legittima ma che ha immediatamente sollevato un vespaio di polemiche, alimentate da una sua replica che ha il tono dell’insofferenza e del sarcasmo: “È tutto alla luce del sole. Ho pagato 44 anni di contributi. Perché vi fate i fatti miei? Ora mi aspetto uno scoop sulla vivacità del mio tratto intestinale”.

Il caso è stato sollevato dal quotidiano Il Fatto Quotidiano che ha ricostruito la tempistica dell’uscita di scena del generale, oggi in politica a tempo pieno. Dopo otto mesi dall’elezione a eurodeputato, Vannacci ha ufficializzato il pensionamento. In tasca, da febbraio, riceve un assegno da circa 5mila euro mensili, a cui si sommano gli 8mila euro netti dell’indennità da parlamentare europeo. E, come previsto dal regolamento UE, a 63 anni maturerà anche il diritto al vitalizio di Bruxelles, un ulteriore beneficio che, secondo i calcoli, potrebbe aggiungere altri 2.500-3.000 euro mensili al già cospicuo assegno.

Il diretto interessato rivendica la piena legittimità delle cifre: “Sono entrato all’Accademia a 16 anni, ho prestato servizio in missioni all’estero, ho versato contributi per decenni. È un mio diritto e non ho nulla da nascondere”. La sua linea è chiara: rispetto delle regole, nessun privilegio indebito, e fastidio per quella che definisce una “campagna denigratoria a sfondo ideologico”.

Ma la vicenda solleva comunque interrogativi più ampi sul rapporto tra sistema pensionistico, casta politica e consenso popolare. Il caso Vannacci si inserisce in un contesto in cui milioni di cittadini italiani devono fare i conti con una riforma pensionistica sempre più restrittiva, che prevede soglie d’età più alte, contributi più lunghi e assegni sempre più magri. Il contrasto tra chi va in pensione a 56 anni con 5mila euro e chi dovrà lavorare fino a 67 per riceverne mille o meno, non può che far discutere.

La posizione politica del generale, noto per le sue posizioni conservatrici, sovraniste e spesso provocatorie, contribuisce a rendere la questione ancora più divisiva. Per molti elettori della Lega – specie quelli in pensione o in prossimità – Vannacci incarna un modello di forza, disciplina e orgoglio nazionale. Ma anche tra i simpatizzanti di destra non mancano perplessità, soprattutto tra coloro che vedono nella sommatoria di privilegi il vero cancro della politica italiana.

Inoltre, il tono usato per rispondere alla stampa ha contribuito a infiammare ulteriormente il dibattito. Il passaggio sul “tratto intestinale” rivolto ai giornalisti del Fatto ha scatenato reazioni trasversali, tra chi lo accusa di volgarità e chi, invece, applaude alla sua verve “anti-sistema”.

Al netto delle polemiche, il caso Vannacci riaccende una questione mai davvero risolta: quella della disparità tra cittadini comuni e rappresentanti pubblici quando si tratta di pensioni, vitalizi, doppi (o tripli) incarichi e cumulo di redditi. Un tema su cui ogni governo promette riforme, ma dove nulla cambia davvero.

E se Vannacci ha scelto la provocazione per difendersi, il Paese continua a interrogarsi: è giusto che chi entra in politica possa capitalizzare al massimo ogni singolo passaggio della sua carriera, mentre ai cittadini si chiede di tirare la cinghia sempre di più?

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