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GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Non parlerò di un autentico pugno nell’occhio. Mi limito a osservare che la sgargiante vernice giallo canarino del nuovo parcheggio multipiano al cavalcavia del cimitero sarebbe più consona alle pareti di un asilo nido o, ancor meglio, di uno stabilimento balneare, visto che è di Ischia la ditta a suo tempo vincitrice dell’appalto. Da che ci siamo, perché non estendere lo stesso ruspante colore ai grigi parapetti in ferro battuto del cavalcavia, regalando all’insieme una simpatica botta di vita? A Cremona questo è il ‘nuovo che avanza’. E avanza in assoluta indifferenza a ogni scrupolo di coerenza estetica rispetto al contesto che, nel caso specifico, avrebbe magari gradito un più discreto ed elegante verde scuro, se non altro in doverosa memoria di tutto il verde abbattuto da un’Amministrazione da anni impegnata in serrata guerra all’innocente regno vegetale.

Ma  eccoci alla madre di tutte le domande:  qual è, posto che ce ne sia una, la ‘ratio’ che orienta le scelte riguardanti  assetto e decoro della città e del centro storico. Oppure è tutto un procedere alla ‘come viene, viene’ senza alcuna visione d’insieme e orizzonte programmatico?

L’assessorato ai Lavori pubblici, a cantieri rimossi e interventi eseguiti, si fa scrupolo di verificarne sul posto esito e qualità? Esco dal generico con un banalissimo esempio: tempo fa in zona porta Milano, fra viale Trento Trieste e l’innesto in corso Garibaldi all’altezza di San Luca, si lavorò per la posa di nuovi cavi. Dopo di che si riposizionarono griglie e tombini nelle precedenti sedi. Ma la risultante di un lavoro incompleto o semplicemente malfatto è che qualunque mezzo passi sulle griglie, ormai instabili per il manto stradale infossato e ammalorato dai lavori, produce un micidiale urlo metallico. Il che, vista la costante congestione del traffico  e il considerevole numero dei tombini, determina una situazione intollerabile. Roba da denuncia per danno biologico. Tuttavia, non una verifica dei tecnici, non una segnalazione dei Vigili. Forse la spiegazione è un’altra: il fracasso metallico, che per modesta preparazione musicale non sono all’altezza di apprezzare, è una delle sonorità che compongono la sinfonia complessiva che giorno e notte si alza della nostra celebratissima ‘smart city’.

Il punto è che Cremona si misura con la destrutturazione della precedente visione municipale senza che le Amministrazioni che si susseguono, concentrate su tutt’altri affari,  abbiano capacità e voglia di elaborare un’adeguata nuova prospettiva. Cremona è in questo momento una città politicamente paralizzata. Da un lato l’incapacità di fare squadra di un centro destra che, sfiorata la vittoria, non ha saputo afferrarla per una serie di madornali errori, anche se un Marcello Ventura, pare aver accolto la sconfitta col ridente fair play di un vincitore. D’altro canto al timone della città resta un centro sinistra concentrato sulle tre o quattro grandi opere fermissimamente volute là dove  “si puote ciò che si vuole’.

Nel frattempo cresce la selva spontanea di una città segnata da irreversibili trasformazioni che meriterebbero ben più attente valutazioni complessive: alla progressiva scomparsa dei negozi di vicinato, preziosi alle mille esigenze della vita quotidiana, si sostituisce la moltiplicazione  di un ‘ibrido’ commerciale ad elevato impatto sulla qualità di vita dei residenti. Alludo alle paninerie ‘discoteca’ che ormai stabilmente occupano i marciapiedi cittadini godendo dell’assurdo privilegio di imporre i propri repertori musicali sparando decibel a livelli di assoluta inciviltà.

Attenzione, cari Amministratori, perché sarebbe molto facile imparare da Ilaria Salis qualche trasgressiva pratica e cominciare a chiedersi perché ripagare con la disciplina fiscale chi non ci protegge nei più elementari diritti di residenti.  E’ troppo nostalgico ricordare che la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella degli altri? E che un’Amministrazione non può, per malintesa tolleranza, chiamarsi fuori dal problema? Per i distributori h24 di bevande, notturno ricettacolo di balordi, tossici e ubriachi, poche città sono tolleranti e liberali quanto Cremona.

L’impressione è di un completo lasciar fare che contribuisce al quadro complessivo di un centro storico ingovernato, a parte ovviamente qualche decina di metri quadri intorno a piazza Duomo. Erbacce che crescono dovunque in felice anarchia a dimostrazione che l’unico verde che il Comune protegge è quello degli infestanti: originale criterio selettivo. Ovunque lattine, plastiche, cartoni di pizza, come per i postumi di ininterrotti rave party di cui tocca ai residenti raccogliere i resti. E’ dura accettare l’idea che  questo sia il prezzo dell’accoglienza turistica ‘mordi e fuggi’ e della necessità di ringiovanire la fauna umana di una Cremona ormai consacrata al destino di città universitaria. Turismo e goliardia non possono essere sinonimo di degrado.

Attenzione all’ormai lontana esperienza di Urbino, fra le prime, splendide  città di provincia a sperimentare i contraccolpi di un impatto di popolazione universitaria non adeguatamente gestito e controllato. Il problema della crisi commerciale del centro storico si situa dunque all’interno di un fenomeno di natura sociale e antropologica ancor più complessa: sotto la pressione congiunta di arabizzazione e crescenti iniezioni di temporanea popolazione universitaria, si assotiglia il tessuto connettivo di quella borghesia delle professioni e dei mestieri che, stabilmente insediata da secoli, è stata garante di decoro e ha impresso alla città quella coerente fisionomia che, nel bilancio complessivo delle attrattive locali, resta voce di primaria importanza anche economica oltre che storico culturale. Ovvio che la trasformazione dei nuclei urbani non s’è mai interrotta ed è  fenomeno storicamente fisiologico e persino desiderabile. Ma tocca alle istituzioni mantenere vigile termometro del processo. La loro latitanza riguardo ad alcune dinamiche in atto potrebbe presentare salatissimi costi futuri.  

 

Ada Ferrari

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