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Su richiesta, ho doverosamente scritto alcune riflessioni in merito all’ennesima “boutade” ambientalista: “la semina del prato spontaneo” al rondò della via Mantova,  annunciata con grande entusiasmo dall’Amministrazione comunale di Cremona. Tra l’altro, un luogo ottimale per la sosta e la visione delle nuove pianticelle, e in  prossimità del futuro polo logistico. Ottimo abbinamento, che fa pensare ad una sorta di insignificante compensazione ambientale. 

Parlare di “semina di un prato spontaneo” è un evidente paradosso, perché la flora  spontanea non ha bisogno di essere seminata. Cresce da sola, per definizione.  Poi qualcuno può anche provare ad introdurre piante selvatiche, ma sempre di  interventi artificiali si tratta. 

Quali siano però queste piante non è dato sapere, ma quante sì: cinque. Così poche per un prato spontaneo? Chissà quanto preziose saranno, allora!! 

Ma c’è bisogno di aggiungere piante preziose per aumentare il valore di un prato  spontaneo? Rischio vandalismi a parte, che comunque vale per tutti i giardini  pubblici, assolutamente no.  Non ce n’è bisogno perché la natura provvede da sola ad arricchire i prati, ed infatti  cinque specie sono poche rispetto a quanto quell’area di per sè sa produrre  spontaneamente di questi tempi. Almeno una trentina, occhio e croce, le specie  selvatiche che vi si potrebbero trovare. 

Ma qua non si capisce bene dalla presentazione del progetto e cioè se quelle cinque  specie saranno sostitutive di quelle preesistenti, o se semplicemente le  affiancheranno. 

Nel secondo caso che senso avrebbe, passare per esempio da 30 a 35 specie, ammesso che  quelle nuove siano diverse dalle vecchie?  Dimostrare quanto è ricca e bella la nostra biodiversità ambientale? Pura sciocchezza, anche perché in quel fazzoletto di terra più che altro avrebbero il valore di uno  stendardo. 

Nel primo caso poi sarebbe ancor peggio, perché vorrebbe dire distruggere le specie  spontanee preesistenti, per farne passare altre cinque, quelle seminate, come  precursori di un nuovo prato spontaneo. Cosa che poi, oltre lo sfalcio per la semina,  non escluderebbe l’uso dei diserbanti. 

Se fosse, sarebbe perfetto: un ecologismo molto chiaro e ben confuso.

Qualcuno però potrebbe accusarmi di fraintendimento. Gli scopi primari sono quelli  di favorire gli insetti impollinatori e lo sviluppo di specie erbacee a ciclo misto,  visibili tutto l’anno.  Probabilmente, tuttavia, chi sostiene la seconda affermazione non ha mai visto un  prato in vita sua, perché in tutti i prati possiamo vedere il ciclo delle fioriture in tutti i  mesi dell’anno e di piante erbacee anche con caratteristiche ben diverse tra loro. 

Riguardo agli insetti impollinatori, quando fecero il bosco al Cambonino, io obiettai  che il luogo prescelto non era quello adatto, perché era un prato spontaneo, e questo  avrebbe danneggiato gli insetti impollinatori. Qualcuno potrebbe controbattere che anche gli alberi fanno i fiori e le api avrebbero potuto attaccarsi a quelli, con la  differenza però che gli alberi solitamente fanno i fiori in un periodo limitato  dell’anno, mentre sui prati possiamo trovare fioriture appunto tutto l’anno. 

Per verificare la cosa, sabato mattina 12 aprile, il giorno dopo dell’annuncio del prato  seminato, sono andato di proposito a verificare lo stato del bosco del Cambonino e dei prati  spontanei circostanti ad ovest. 

L’alta erba attorno al bosco che non permette di vedere a distanza tante specie  floreali al suo interno, mi ha scoraggiato dall’entrarvi, a differenza dei prati spontanei  circostanti e relativi marciapiedi. In questi, in poco più di due ore di ricerca, ho contato ben 55 specie erbacee note più  altre dubbie. Oltre le previsioni. Ma la natura è fatta così, lasciala fare e da sola ti sa dare molto, anche in ambienti degradati e sfruttati come la nostra pianura, e  soprattutto gratis. 

Ho pensato quindi, a conclusione, di proporvi una semplicemente nominale carrellata  di alcune specie erbacee tra le oltre 55 fotografate quella mattina, a render conto della relativa ricchezza veramente spontanea della nostra flora selvatica, che annovera in provincia di Cremona oltre mille specie.  Nonostante tutto. 

Dal Taraxacum officinale (foto 1 centrale) alla Veronica arvensis (foto 2) nota per uno dei  fiori più piccoli in natura, quell’azzurro che a malapena si vede. Dal Geranium  dissectum (foto 3 ) alla Glechoma hederacea (foto 4 ), all’Erodium cicutarium (foto  5), alla stravagante Poa bulbosa (foto 6) al Sonchus oleraceus (foto 7), alla bianca Valerianella locusta con a fianco un esemplare di Nontiscordardime, Myosotis  ramosissima (foto 8). Quindi il Galium aparine (foto 9), il Geranium robertianum  (foto 10), il Rumex obtusifolius (foto 11) la Crepis setosa (foto 12), per culminare  nella foto 13 dove l’assembramento floreale sviluppatosi spontaneamente attorno ad  alcuni esemplari di Trifolium pratense, senza bisogno di spinte umane, permette di  cogliere ben 7 specie nello stesso fotogramma.  Oltre al trifoglio, le foglie della Potentilla reptans, quindi la Capsella bursa pastoris, la Veronica persica, la Bellis perennis, il Geranium molle, e lunghe foglie verdi scure di una pianta che sembra la Plantago lanceolata. 

Seminare cosa, dunque? 

Se vogliamo favorire lo sviluppo della flora selvatica, dobbiamo semplicemente darle spazio e lasciare che faccia da sola. 

 

Stefano Araldi

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