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GLI  EDITORIALI  DI ADA FERRARI

Fra i più ardui enigmi in grado di distrarre l’afflitto animo dei  cremonesi c’è una domanda. Quale logica guida le scelte amministrative riguardo al presente e al futuro prossimo di una città in più che palese affanno? A parte l’esibito trofeo del comparto turistico -ma col mordi e fuggi non si campa- il resto, a cominciare dal commercio, arranca fra faticosi galleggiamenti e bilanci negativi. Né aiuta ovviamente l’impennata di criminalità che fra rapine, accoltellamenti e risse ha ormai coinvolto anche il centro storico riducendone le residue chances di rilancio. Oltre, come è ovvio,  ad aver minato  quel confidente rapporto dei cremonesi col proprio territorio che fino all’altro ieri  ci faceva dire che, sì, il clima è pessimo, le grandi vie di comunicazione ci snobbano, parecchie criticità ci preoccupano, ma poter contare sulla sicurezza di una città tranquilla è pur sempre un accettabile risarcimento. Quelle certezze sono ormai lontano ricordo. E si allunga  la lista delle priorità e urgenze – sicurezza in testa – su cui i cremonesi attendono non parole ma fatti.

Desta pertanto  qualche stupore che il mantra amministrativo del 2025  preveda l’abbattimento dei muri di cinta di alcuni parchi cittadini  fra gli obiettivi su cui giocare la sua non eccelsa capacità seduttiva. Caso vuole che, appena imboccato viale Po, mi sia capitato giorni fa di osservare le condizioni disastrose del breve ponte sul Morbasco: davvero imbarazzante biglietto per chi accede alla città da sud. Le foto a corredo dell’articolo sono eloquenti.  Ma a quanto pare la vera urgenza che sta appassionando l’Amministrazione cittadina si trova pochi metri più in là e riguarda lo smantellamento del muro di cinta, perfettamente conservato, che fu parte integrante del comprensorio industriale della storica  fornace Frazzi.  Il che sta configurando una curiosa situazione. Non solo il Comune si sta scontrando col quartiere Po che, contrarissimo al progetto, gli oppone sensati argomenti, ma, cosa ben più singolare, entra in contraddizione con se stesso.

Va infatti dato atto degli encomiabili sforzi che negli ultimi anni hanno mobilitato le professionalità e i mezzi finanziari necessari a integrare i fondi Pnrr per il recupero e la rigenerazione urbana del dismesso distretto industriale. Il risultato è l’attrattivo polo culturale e museale che ha sottratto all’oblio il lungo tratto di storia locale che trovò nel crescente prestigio di una produzione laterizia di successo mondiale una preziosa leva per lo sviluppo economico sociale del territorio.

Ancor più fragile, alla luce di tali premesse, appare dunque l’argomento accampato a sostegno dell’abbattimento: il muro è degli anni cinquanta del ‘900, dunque abbastanza recente da poter essere smantellato senza imbarazzo e sostituito con una comunissima siepe. Siepe sul cui futuro la profezia è scontata:  qualche mese di decorose cure, poi il consueto abbandono che ne farà il solito, rinsecchito ricettacolo di rifiuti e deiezioni canine. La vicenda trascende il caso specifico e induce a una domanda di ben più rilevante portata  A quale titolo un’amministrazione, peraltro di risicata rappresentatività visti i numeri dell’ultima tornata elettorale, può decidere di amputare la fisionomia di un quartiere cittadino, cancellandone una componente che, non a caso realizzata in tipico cotto, appare coerentemente integrata nel contesto di un’archeologia industriale del laterizio. Fatto sta che quella lunga muraglia rossa, sormontata fra l’altro da una non spregevole cancellata, è saldamente piantata nella memoria collettiva di generazioni di cremonesi. E’ dunque parte  di quella ‘civiltà materiale’ che gli storici si affannano a recuperare e che un’amministrazione si sente oggi in diritto di cancellare in base a opinabili valutazioni di “opportunità estetica”.   Ma tant’è.

E pare proprio che analoga sorte toccherà al parco del Vecchio Passeggio in viale Trento e Trieste.  La suggestiva vecchiaia della sua muraglia di cinta su cui, stagione dopo stagione, il muschio ha impresso i suoi ricami e il tempo le sue rughe, subirà l’implacabile oltraggio delle ruspe. Va peraltro detto che quell’area negli ultimi anni tutto è stata fuorché  un godibile parco degno di questo nome.  Piante in desolante abbandono, erbacce secche, panchine arrugginite, malandati contenitori  traboccanti di  rifiuti rimasti a macerare sotto sole e pioggia per mesi. Uno scempio  di cui è facilmente intuibile l’unico vero utilizzo: la Piazza Affari in cui gli elementi meno raccomandabili della vicina Casa dell’Accoglienza hanno praticato indisturbato spaccio 

Quanti milioni di euro costeranno le demolizioni di cui nessun cremonese con piedi per terra e testa sulle spalle sente l’urgenza? Quante urgenti manutenzioni si potrebbero realizzare con quei fondi? Ma, vil danaro a parte, credo che la domanda decisiva sia un’altra: cosa  cerca chi si inoltra in un parco cittadino, magari con un libro, un giornale o la semplice voglia di una pausa nel verde. Cerca la quiete di uno spazio appartato e protetto dal traffico e dal suo chiasso. E i muri, prossimi all’abbattimento, cos’altro sono se non protezioni acustiche, visive e psicologiche in grado di regalare la rilassante sensazione di un ‘altrove’ più naturale e meno aggressivo della realtà lasciata alle spalle? Parchi e giardini, come ogni spazio del vissuto collettivo, sono contenitori di comportamenti ma soprattutto di sentimenti. Non a caso l’occhio del cinema e della letteratura tanto spesso ha indugiato sulle infinite suggestioni anche metaforiche dei grandi giardini e dei loro austeri e misteriosi cancelli.

Spianandone la muraglia, il parco di viale Trento e Trieste sarà semplicemente e banalmente riconsegnato alla strada, arteria notoriamente trafficatissima. Lo so, questo ragionamento cela il rischio immobilistico: fermi tutti e che nessuno tocchi l’eredità del passato. Mi guardo bene dal dirlo, ma è pur vero che decisivo ago della bilancia fra il fare e il non fare resta ancora e sempre la qualità del risultato. E dall’indimenticata  pensilina di piazza Stradivari, ai totem, alla facciata della Loggia dei Militi recentemente deturpata, le scelte ‘poco felici’ sono state parecchie. Allora? Allora l’alternativa c’è ed è più che onorevole. Essere intelligenti, accorti e solerti custodi del territorio e del suo patrimonio. Strategia estetica molto simile in fondo a quel che ragionevolmente si consiglia alle signore di non più verde età: poco, sapiente trucco limitato ai punti giusti. E, soprattutto, mai strafare.  

 

Ada Ferrari

L'Editoriale

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