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Chissà perché l’avranno chiamata “zucca matta”, scientificamente Sicyos angulatus L, di origine  nordamericana.  Forse perché non si pone limiti all’invadenza devastante, come se fosse andata fuori di testa, e in  effetti zucca è sinonimo di testa; come se fosse completamente fuori controllo. Forse perché attacca in maniera indiscriminata ogni vegetale che le capita a tiro, e come un serial  killer spietato, senza scrupoli, lo porta a morte. 

Da anni la conoscevo anche per gli esiti spettrali delle sue aggressioni assassine, in particolare lungo  le sponde del Po.  Non l’avevo mai vista però dilagare così esuberante sul marciapiede del Largo Marinai d’Italia a  Cremona, vicino alla sede della Forestale, sopra l’alta sponda del fiume, il 14 ottobre scorso (foto 1 centrale).  Una vera e propria selva di liane e di foglie che sfugge a una ben definita fisionomia, peculiarità  delle rampicanti, coi suoi piccoli fiori tipicamente tardo estivi autunnali, e i primi frutti. 

Pochi giorni dopo, tuttavia, constatai che quel marciapiede era stato liberato dalla sua presenza. (foto  2). Finalmente un’opera di pulizia come si deve, direbbero gli ingenui. In effetti era stata tagliata fino al  limite della recinzione metallica, perché dava fastidio al passeggio, si suppone. Ma questo era il male  minore! Si ignorava invece il dramma che si stava consumando sulla sponda fluviale sottostante: un male ben  più grande!! 

Ma noi umani siamo fatti così: spesso non vediamo al di là della punta del naso, non ci accorgiamo  di ciò che non ci turba direttamente, come il vero danno che la zucca matta stava combinando in  maniera silente. Altra proprietà, questa, tipica delle piante e delle rampicanti in particolare, quella di muoversi senza  che nessuno se ne accorga, benchè il Sicyos possa crescere anche di due metri in tre settimane, ma è  tanto il groviglio informe a cui dà origine, al di là della posizione che scompare alla vista per ampi  tratti, che il suo sviluppo può sfuggire. 

Comunque questo movimento silenzioso e veloce è una vera e propria tattica di guerra acquisita  anche dal regno animale, uomo compreso, perché rivelatosi estremamente efficace; esso rimanda a una sorta di intelligenza ancestrale universale che questa tattica l’ha messa a punto, collaudata e  confermata nel corso dell’evoluzione nei diversi regni, ma in particolare in quello vegetale. 

Ebbene la zucca stava letteralmente strangolando le piante di sponda, dal pioppo nero Populus nigra  L e derivati, le cui foglie verdi scure e consunte si vedono avvinghiate dagli steli della rampicante al  centro della prima foto, all’Acer negundo L. (foto 3) riconoscibile dalle foglie allungate dispari e le  samare doppie, le tipiche infruttescenze pendule rossicce, preso d’assalto nel progredire verticale  del Sicyos. 

Persino un possente pioppo bianco Populus alba L. (foto 4) non veniva risparmiato dalla sua  fenomenale progressione.

Ma ciò che determina il vero soffocamento è l’enorme, tappezzante copertura fogliare (foto 5) che  impedisce alla luce di filtrare per cui le piante soverchiate muoiono precocemente per mancata  fotosintesi. 

Vediamo allora come son fatte queste foglie. (foto 6)  

La forma è vagamente cuoriforme o poligonale, un poco pelosa sulla pagina inferiore e con una fine  dentellatura sul bordo i cui apici sono appuntiti e angolosi, donde il nome di specie angulatus. La  pagina superiore, verde chiaro, risulta solcata da un fitto intreccio di nervature bianche più fini quasi  impercettibili le più piccole. 

I piccoli fiori a cinque petali a stella, (foto 7) raccolti in piccoli glomeruli o racemi, dal punto di vista  cromatico sono l’esatto contrario delle foglie, e cioè bianchi perifericamente e verdi al centro con  venature dello stesso colore su tutta la superficie interna; disordinatamente pubescenti su quella  esterna e obliquamente inclinati in tutte le direzioni. Infine di entrambi i sessi sulla stessa pianta che  perciò è chiamata monoica. La fecondazione è chiaramente entomofila, come si capisce dalla vespa  che li sovrasta. 

Uno splendido dono della natura, questi fiori, se non fosse per i grossi danni che la pianta combina.  

I frutti (foto 8), infine, raccolti in piccoli gruppi, sono ovoidali e verdastri inizialmente, imbrunenti  alla maturazione e circondati da fitte e rigide spinule bianche. Frutti che tante cose ricordano ma non  certo una zucca. 

E allora perché l’hanno chiamata così? Perché appartiene alla stessa famiglia della zucca, quella delle  Cucurbitacee che tuttavia deriva il nome dal latino “cucurbita” che significa proprio zucca. Dunque  un rompicapo, il gatto che si morde la coda, e tuttavia una caratteristica di questa famiglia è proprio  quella di avere frutti estremamente variabili nelle dimensioni e nel peso, che vanno dai pochi grammi  nel Sicyos agli oltre 100 chilogrammi nella zucca p.d. 

Ma su questo aspetto non mi soffermo per arrivare rapidamente a quello che è il meccanismo della  sua azione malefica. 

Come fa la pianta a essere così aggressiva? Di che cosa si serve? Che cosa spinge le foglie così in alto da  coprire intere piante? 

Ebbene ciò avviene grazie ai cirri ramosi, estensioni nude dei rami villosi che si allungano e poi  cominciano a piegarsi (foto 9) e quindi ad attorcigliarsi ad uncino all’estremità (foto 10). Questo  consente loro di aggrapparsi alle “prede”, ovvero qualunque superficie anche metallica (foto 11) che faccia loro da supporto affinché la pianta possa espandersi il più possibile, con quel caratteristico  avvolgersi a spirale, che conferisce resistenza ed elasticità, a formare delle reti intricatissime (foto  12) da cui la pianta aggredita non riesce più a divincolarsi. 

Tanto apparentemente fragili queste strutture, essendo erbacee, quanto insidiosamente potenti. Eppoi  un vero e proprio labirinto di steli foglie fiori cirri e frutti spinosi, questa pianta, un vero terreno  insidioso, una trappola sospesa su cui anche le vespe, lì arrivate per fecondare, devono fare delle belle  acrobazie per spostarsi (foto 13). 

Se ne deduce che il Sycios rappresenta un grosso danno al patrimonio arboreo, e quindi alla  biodiversità. 

Esercitando la sua azione distruttiva in particolare lungo le sponde del Po, essendo l’habitat umido e  ricco quello ideale per la sua crescita, la Pianura Padana attorno al grande fiume rappresenta in  assoluto l’area più infestata d’Italia dalla zucca matta. 

Venendo meno le piante di sponda, il suolo diventa più fragile. Paradossalmente anche la morte  invernale del Sicyos, in quanto pianta annuale che poi rinasce in primavera, favorisce questo processo,  e alla grande! Fosse perenne, e con dei bei fusti conficcati nel terreno, tutt’al più il danno sarebbe  limitato al patrimonio arboreo che verrebbe semplicemente sostituito, come è successo per la  Robinia

Ma essendo annuale, dopo la fruttificazione d’inverno muore anch’esso ed avendo ampiamente  colonizzato le sponde, lascia ampi tratti nudi che aumentano il rischio erosivo. Immaginiamo se  questo fenomeno avvenisse in tempi rapidi dove l’ho fotografato, presso il Lungo Po Europa, vicino  alle Canottieri.. Il danno sarebbe ingente sulla sponda. Le premesse ci sono tutte. Bisogna prevenirlo! 

Non solo, è segnalata una sua espansione in pianura, ed amando i terreni ben irrigati e fertili, si è  attaccata anche alle colture, con i danni conseguenti a livello economico. 

Se pertanto si dice che le piante vanno tutelate, questo non vale per il Sicyos che va eradicato quanto  prima essendo risaputo che, una volta ben insediato, la sua eradicazione diventa più difficile anche  perché i semi liberati dai frutti possono germinare nel terreno fino ad altri tre anni!! 

 

Stefano Araldi 

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