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Un tempo c’erano la Democrazia cristiana e il Partito comunista.  C’erano le piazze di sinistra e di destra, regola che valeva anche per i bar. C’erano l’America e la Russia, la cortina di ferro e il muro di Berlino. C’erano la guerra fredda, il Checkpoint Charlie e il ponte di Glienicke sul fiume Havel, noto come ponte delle spie. 

C’era Gianni Cervetti, l’uomo dei rubli, che incassava le flebo sovietiche destinate al Pci. C’era l’uomo dei dollari, che riceveva le mance dagli americani per la Dc, garzone di bottega con il volto definito dalle correnti del partito, dai governi e dalle previsioni degli analisti della Cia sul destino dell’Italia.  

C’erano i padroni e i sindacati. 

C’era la politica che si occupava di politica e l’economia dei propri affari e anche un po’ di politica, ma comunque subalterna alla politica.

C’erano le nonne che dicevano non c’è più religione, congiungevano le mani e scuotevano la testa, rassegnate e attonite, se la nuora non rispettava le regole della tribù acquisita. Se una coppia conviveva fuori dal matrimonio. Se una ragazza nubile restava incinta.

C’era il delitto d’onore.

C’era una sfavillante Fiera di Cremona.

Nel 1970 veniva approvata la legge sul divorzio. Nel 1974 – cinquant’anni fa – il referendum di Amintore Fanfani tentava di abolirla, ma invano.

Nel 1989 Achille Occhetto, segretario del Pci, passava alla storia con la svolta della Bolognina. Due anni dopo, nel 1991, il Partito comunista mutava pelle e nome. Nasceva il Partito democratico della sinistra, che iniziava un percorso di trasformazione-stravolgimento sfociato nell’attuale Pd.

Nel 1994 Giorgio Gaber elencava la differenza tra la sinistra e la destra. Anticipava la perdita di identità dei partiti italiani e l’avvento del populismo sempre più diffuso negli anni successivi. 

Se allora, per il Signor G «un figone resta sempre un’attrazione che va bene per sinistra e destra», oggi c’è molto di più che accomuna i due soggetti.  

Oggi, in riva al Po la politica non fa politica. L’economia legittimamente fa i propri affari e decide per la politica.  Detta l’agenda ai pubblici amministratori, i quali si adeguano e, in alcune occasioni, sacrificano l’agnello del bene comune sull’altare dell’economia stessa.

Oggi gli stakeholder sono i punti di riferimento, la stella polare. I cittadini un fardello. Rompicoglioni, se difendono i propri interessi contro decisioni politico-amministrative che li penalizzano. 

Oggi, definire le caratteristiche di sinistra e destra di Cremona è compito complesso. Fatica.  È l’evangelica e difficoltosa separazione del grano dalla zizzania. Trovare le differenze in due oggetti simili è problematico per chi non è lettore della settimana enigmistica, abituato a cercare le differenze in due immagini all’apparenza uguali. 

Oggi, su alcuni temi cogenti per il territorio, sono numerose le convergenze tra il top gun piddino Luciano Maverick Pizzetti e il capoufficio – con fisico di Steven Seagal – Marcello Ventura, coordinatore provinciale e consigliere regionale di Fratelli d’Italia.

La contrastata elezione dell’attuale consiglio di amministrazione di Padania acque è l’esempio più eclatante di questa affinità tra il top gun e il capoufficio.  Entrambi sulla stessa posizione e barricata, sono stati sconfitti, ma hanno lanciato un segnale: c’è del tenero tra Pd e Fratelli d’Italia. In futuro ci sarà un Fratelli siamesi?  

Non è chiaro se il fenomeno, l’Elon Musk di casa nostra, sia il top gun o il capoufficio.  Non è chiaro se entrambi siano dei visionari che, in largo anticipo sui colleghi, abbiano intuito il futuro della politica e dei partiti cremonesi. 

Non è chiaro se Fratelli siamesi sia una minchiata, un incidente di percorso, una congiuntura astrale  oppure una novità importante e rivoluzionaria, punto di non ritorno della politica locale.

Non è chiaro, se da questa travolgente sintonia tra il top gun piddino e il capoufficio meloniano sia partita l’idea per la lista unica alle elezioni provinciali. Un tutti insieme appassionatamente senza la necessità – con buona pace di Mary Poppins – di aggiungere un poco di zucchero per fare ingoiare la pillola ai segretari di partito e ai relativi militanti. Ai simpatizzanti. Agli elettori. Un’idea abortita, ma non abbandonata. Ancora viva sotto la cenere.

Non è chiaro dove conduca questa eccesiva ricerca di condivisione, di annullamento delle differenze. Di appiattimento. Budino che non giova alla democrazia odierna già in crisi per la rivoluzione digitale, che impone decisioni rapide. Istantanee.  Che depotenzia la mediazione.  Che ridimensiona il ruolo dei corpi intermedi: partiti, sindacati, associazioni di categoria. Che favorisce le minoranze oligarchiche sempre più potenti, già oggi capaci di condizionare le scelte della politica e della pubblica amministrazione. E su questo argomento Cremona può insegnare molto. 

Oggi i sindacati provinciali vivono e lottano con noi, ma non si capisce chi sia l’avversario. Contano quanto il fante di briscola, ma il giudizio è un atto di generosità e di rispetto per la loro storia e un riconoscimento all’Unione sindacale di base che ancora ci prova con spirito antico.

Oggi Pci e Dc sono il passato. E la Fiera di Cremona conta più pagine sul quotidiano locale che vacche in mostra.  Le ideologie sono morte. Il business le ha sostituite. 

Oggi le nonne mettono la minigonna e alzano il dito medio e sul viso si passano la pialla.  Il politicamente corretto e la cultura woke, dogmatica, spesso intollerante, vanno forte. Scarseggiano gli ideali.

A Cremona il mitico fatti i cazzi tua di Antonio Razzi resiste inossidabile. Inaffondabile.  Stum schis, e vai col liscio. Con l’inceneritore. Con il nuovo ospedale, con i centri logistici, con l’autostrada Cremona Mantova. 

All’orizzonte i Fratelli siamesi. Ma forse è solo un miraggio. È la transizione politica.  È la stagnazione del territorio.

 

Antonio Grassi

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