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L’uccisione a Marsa Alam (Egitto) nel mar Rosso del romano Gianluca Di Gioia e il ferimento del  cremonese Peppino Fappani, il 29 dicembre scorso ad opera di uno squalo tigre, una specie sotto sorveglianza e tracciamento satellitare (meno male!!), hanno sconvolto anche per la presunta  imprevedibilità degli eventi.  Eppure ben si sapeva che quelle acque sono infestate dagli squali, basti ricordare i precedenti e  recenti attacchi mortali a Hurghada, Sharm el Sheikh, Port Ghalib, Habili Gafar, Sahl Hasheesh, Marsa Shagra, St.John Reef…; il grave ferimento di un’egiziana a Dahab… 

Si sa anche che gli attacchi sono aumentati negli ultimi anni e che questi predatori si avvicinano  sempre più alle coste. 

E’ parsa pertanto futile, salvo che per fini legali, la questione se i due si trovassero oltre oppure no il limite della acque balneabili, benché un video dimostri chiaramente il salvataggio del cremonese al di qua delle boe. 

Futile perchè gli squali non stanno a badare ai limiti di balneabilità; pertanto vanno dove l’istinto  famelico li spinge, anche a riva se necessario, come successo il 4 luglio scorso in Texas , all’isola di  South Padre, ove due squali hanno a più riprese attaccato i bagnanti, provocando quattro feriti, di cui una donna grave, a rischio amputazione di una gamba. 

A dimostrare che, piaccia o no sentirselo dire, anche l’uomo rientra tra le loro prede. 

Certo c’è squalo e squalo. Se ne annoverano circa 500 specie al mondo, e si dice che quelle  veramente pericolose per l’uomo siano poche. Tuttavia nessuna specie, soprattutto se munita di denti lunghi e ben affilati, può ritenersi innocua a priori, perciò è consigliabile non dar loro confidenza, di qualunque specie si tratti. 

“Ah, ma l’uomo non è una preda abituale degli squali” si è obiettato. E poi, altro colpo di genio, “gli attacchi sono rari, ed è molto più facile morire per incidente stradale o per azzannamento di un  cane”. 

L’ingenuità o la malafede squalofilica che sottende queste affermazioni, è lampante e grossolana. Se gli attacchi degli squali all’uomo sono “rari”, ammesso che ciò sia vero, è semplicemente per il  fatto che l’uomo non è un animale acquatico, ma terrestre, e questo lo espone ovviamente ad un  maggior rischio da cani o da incidenti stradali. 

Se fosse un animale acquatico, il rapporto pericolo/rischio sarebbe ben diverso, visto che gli squali si  trovano al vertice della piramide alimentare marina, il che significa che possono mangiare tutto  quanto sta sotto. E quando sono presi, come spesso capita, dalla loro frenesia alimentare, possono  ingoiare anche pneumatici, pietre, indumenti e oggetti vari. 

Il peggio però a veicolare false sicurezze ce lo dà la scienza, o presunta tale, in particolare la  statistica perché essa è tra le cosiddette scienze quella più facilmente manipolabile, quella che più si piega agli interessi di parte. 

A produrre alcune di queste statistiche non si parla più di esseri umani, ma di aggregatori non  identificati. Chi saranno mai? Il pensiero corre agli algoritmi, all’intelligenza artificiale. Siamo a posto!! Li riempi dei dati che vuoi ed ottieni le risposte che vuoi.

Così è emerso che lo squalo bianco, uno dei più grandi e terribili, a partire dal 1900 fin quasi ai  giorni nostri, in tutto il mondo avrebbe cagionato 22 attacchi non provocati di cui 10 mortali. 

Così pochi? 

Il relatore che presentò la ricerca, con astuzia di volpe poi confrontò questo dato con quello delle  aggressioni da cani e ovviamente concluse che queste erano state ben superiori. 

Al di là del fatto, come già dicevo, che non ha senso paragonare un animale acquatico con uno  terrestre nell’interazione con l’uomo, per correttezza si sarebbero dovute confrontare tutte le specie  di cani con tutte quelle di squali, e non uno solo, il bianco appunto, che tra l’altro non è neppure il  più letale, e quindi non è certo al livello del longimano pinna bianca che da solo avrebbe fatto più  morti tra gli umani di tutte le altre specie di squalo messe assieme.  A partire dai naufraghi di due navi affondate durante la grande guerra, l’americana Indianapolis e  l’inglese Nova Scotia. La prima in particolare merita menzione perché era una nave speciale, il cui  affondamento, se fosse avvenuto qualche tempo prima, avrebbe potuto cambiare il corso della storia.. 

Essa infatti fu nientemeno che la nave che trasportò nelle Filippine la bomba atomica destinata ad Hiroshima. Perciò quando fu affondata sulla via del ritorno da un sommergibile giapponese, i 900  militari finiti in mare si impiegò fino a 4 giorni per recuperarli, trattandosi di un’operazione segreta  che ne ritardò la localizzazione, per cui per tutto quel tempo rimasero in balìa delle onde e degli  squali longimano. Alla fine se ne salvarono poco più di 300. Gli altri in gran numero furono divorati dagli squali. 

Analoga sorte toccò ai naufraghi della Nova Scotia, affondata in Sudafrica da un sottomarino  tedesco, in particolare agli italiani fatti prigionieri dagli inglesi, che furono abbandonati al loro  destino, in pasto ai longimani. 

Ma pure riguardo agli squali bianchi quella ricerca dice il falso. Squali che da milioni di anni abitano il Mediterraneo, anche se la notizia è ai più sconosciuta, forse perché susciterebbe allarmismo. 

Il 2 febbraio 1989 nel Golfo di Baratti presso Piombino, il sub Luciano Costanzo fu divorato da  uno squalo bianco sotto gli occhi del figlio e di un ingegnere dell’Enel che stavano sulla barca ad  aspettarlo.  

Gli squali bianchi sono soprattutto localizzati tra la Sicilia, la Libia e la Tunisia. Vi fanno venire in  mente niente questi tre territori? Un’ipotesi raccapricciante fa capolino: le rotte dei migranti. Vuoi vedere allora che gli squali bianchi sono localizzati soprattutto lì anche perché quello è uno dei tratti di mare a più alto rischio di naufragi al mondo? E quindi di facili prede a disposizione? 

In effetti a decine di migliaia si contano i morti e i dispersi in quell’area, dall’inizio delle  migrazioni.  All’ipotesi seguono le macabre conferme, a partire dal naufragio in Libia nel novembre 2017 di due  barconi. Oltre 30 morti, 40 i dispersi molti dei quali, disse la Marina libica, divorati dagli squali. 

E chissà quanti altri, allora, che non conosciamo!! 

Ci sarebbe da approfondire le ragioni dei più frequenti avvicinamenti alle coste, ma concludo  citando una nota clamorosa, paradossale, riferita da quella fantomatica ricerca, secondo cui un  attacco viene considerato mortale solo se viene ritrovato il corpo della vittima. 

Questa è bella: un predatore famelico ti attacca per divorarti e qualcuno pensa che dopo averti  ucciso possa accontentarsi delle tue unghie o delle sopracciglia, di modo che il resto del cadavere  ritrovato possa essere attribuito a un attacco mortale. 

E in effetti,  qualche tempo dopo la tragica scomparsa di Costanzo, si diffuse l’ipotesi che l’uomo avesse  inscenato un finto attacco da squalo, per fuggirse in Americam, chissà poi perché, facendo fessi  tutti. Lui che in Toscana teneva una famiglia felice. 

Che mirabili faville la cosiddetta scienza applicata allo squalofilia sa generare, e che s’associano all’amara  considerazione che siamo stati finora in cattive mani, per quanto riguarda l’ informazione in questo  ambito e la relativa prevenzione. 

La morte del nostro connazionale in Egitto ahimé ne é la triste conferma! 

 

Stefano Araldi

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