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”Tra pochi giorni finisce la storia della Pro Sus con la chiusura del sito di Vescovato. Le aziende del territorio cremonese assumono le maestranze in uscita: gran parte degli ex dipendenti del macello è stata assorbita dai caseifici e  in qualche caso da altre aziende alimentari. Tutto questo é avvenuto senza clamore, attraverso alcune agenzie di somministrazione di Cremona. Dopo 2 – 3 mesi i contratti vengono trasformati in “tempo indeterminato”. Sembra strano che nessuno abbia voluto appuntarsi le medaglie sul petto, come si è sempre fatto in simili circostanze”.

E’ il breve ma significativo scritto di Stefano Bandioli che fotografa un funerale annunciato, quello della ditta di macellazione e trasformazione sorta nel 1985 sulle ceneri del Porcellino Rosa, l’azienda affondata sotto il peso di 78 miliardi di lire, che era stata creata dall’imprenditore vescovatino Mario Alquati, arrestato e poi processato e condannato nel 1987 per bancarotta fraudolenta. Da fine luglio l’azienda è ferma e il 7 novembre è terminata la cassa integrazione.

La Pro Sus, presieduta da ultimo e fino all’amministrazione controllata da Giovanni Avanzini, dal 16 settembre scorso è in liquidazione giudiziale. E’ gestita dal curatore fallimentare dopo lo sciogliomento del consiglio  d’amministrazione, nonostante un anno fa pareva che esistessero prospettive di ripresa. Fino al 20 gennaio scorso la produzione era proseguita ed erano in corso trattative con un gruppo industriale attivo nel settore dell’allevamento e della macellazione che sembrava interessato all’acquisto dell’impianto di Vescovato. La già pesante situazione finanziaria della cooperativa, aggravata dalla stagnazione del mercato è precipitata a causa del manifestarsi della peste suina africana e il negoziato per la cessione della Pro Sus è fallito.

L’epidemia da covid aveva contribuito dal 2020 in poi ad appesantire una gestione non brillante. Nel 2022, dopo il primo caso di Psa in Italia, la Cina ha bloccato le importazioni e Pro Sus si è vista costretta a svendere il prodotto per svuotare le celle stracolme. Il tracollo è stato inevitabile. I quattro stabilmenti facenti capo alla cooperativa Pro Sus – il macello di Vescovato, i due impianti di stagionatura a Langhirano e quello di lavorazione delle carni di Castel d’Ario nel Mantovano – hanno cessato l’attivià. Trecento dipendenti diretti sono stati collocati in cassa integrazione e il consistente indotto ha dovuto trovare altre commesse.  Per mesi i lavoratori interinali, messi in mobilità, hanno occupato il piazzale esterno dello stabilimento finché non è scattato lo sgombero da parte delle forze dell’ordine.

Nel momento di massimo splendore, la Pro Sus, Cooperativa Agricola di Produttori di Suini, ha contato  quasi un centinaio di soci (da ultimo ridotti a 12) tra Lombardia ed Emilia Romagna. Nel 2015 ha tagliato il traguardo dei suoi primi 30 anni di attività, centrando l’obiettivo di essere una delle più importanti realtà della macellazione di suini non solo in Lombardia, ma anche in tutto il Paese. Sino a un decennio fa, i soci hanno garantito il conferimento di oltre il 75% di materia prima e manodopera locale.

La cooperativa vescovatina conclude così, mestamente e nel silenzio generale, la sua storia quasi quarantennale sul territorio.

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