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Syd Barrett, chi era costui?

La risposta, per quanto possibile, ce la offre la tenace determinazione di Luca Chino Ferrari, nel volume “Syd Barrett – “Scritto sui rovi” (edito da Zona Music Books; pagine 292, 24 euro). Un Ferrari mai pago, potremmo dire (affettuosamente) “fissato”, caparbiamente votato al tentativo (a mio parere riuscito) di suffragare una tesi difficile da digerire, tanto banale quanto destabilizzante, tanto semplice quanto rivoluzionaria, in grado di restituire dignità ad una scelta di vita che trasgredisce al format, o forse dovrei definirlo cliché, secondo il quale un talento, un artista, un mito del rock, insomma una vita che sboccia in un universo straordinario e desiderabile, non può rifugiarsi di colpo in una ristretta dimensione ordinaria, banale e… domestica. 

Eppure potrebbe essere andata così per Syd Barrett, classe 1946, chitarrista e compositore che si è ritirato a vita privata, dopo aver dato vita nel 1965 alla band dei Pink Floyd, di cui è stato frontman e deus ex machina almeno fino al 1968; dopo aver scritto brani memorabili; dopo aver regalato nuovi effetti alla chitarra elettrica; dopo aver ispirato leggende quali David Bowie e sublimi artisti di nicchia come Robin Hitchcock, dopo due album da solista, nel 1970 e 1971, controversi e di scarso richiamo. 

Tornato alla sua identità anagrafica di Roger Keith, in seguito all’abbandono dei palchi e delle sale di registrazione, Syd rinuncia al suo Olimpo, abiura l’essere divenuto un’icona – su cui l’industria discografica aveva già puntato i suoi occhi famelici – trasgredendo le regole consolidate che impongono agli artisti baciati dalla popolarità di morire prematuramente per abusi di alcol e/o droghe (Morrison, Hendrix, Joplin, Sid Vicious…), di essere assassinati (Lennon, Pastorius), di porre fine alla propria esistenza suicidandosi (Curtis dei Joy Division, Cobain), di lasciare questo mondo per malattie o tragiche fatalità… 

Perché questa scelta? Se di scelta si tratta, come sostiene l’autore.

Che “maledetto” sei se alle urla adoranti della folla preferisci il rito quotidiano della spesa al market?! Se, ormai adulto, scegli di vivere con la mamma, dedito a innaffiare l’orto e a salutare i bambini che ti abitano accanto?

Certo la fuga di Syd dal music business per i più ha un’altra spiegazione, meno scomoda, più in linea con i precedenti storici che consegnano al mito geni ribelli la cui parabola esistenziale ha sempre un finale tragico. È infatti inconcepibile che, dopo aver lasciato un segno indelebile nel pop/rock della seconda metà del ‘900, Syd abbia scelto l’anonimato: deve essere impazzito, l’abuso di sostanze lisergiche lo ha fatto “sbarellare”. Il suo cervello, compromesso dalle sostanze stupefacenti, è partito per un viaggio senza ritorno. 

Ecco il motivo per cui sarebbe scomparso dai riflettori. Ecco la tesi sostenuta da subito, poi reiteratamente, dalla stampa specializzata anglosassone e non solo. Coltivando una leggenda costruita attorno ad un uomo che – sostiene Ferrari – desiderava solo non suonare più la sua chitarra se non per il proprio diletto, dipingere, tornando ad una vocazione mai abbandonata, seguendo una sua vena creativa senza ambizione di piacere a chicchessia. Disprezzando o, forse, fregandosene del dio denaro. Insomma vivendo, magari senza consapevolezza, da artista vero, che crea per il gusto di creare senza il piacere edonistico della condivisione.

Ferrari, che ha incontrato Syd nel 1985, semplicemente suonando al campanello della sua casa di Cambridge, mancando l’occasione di intervistarlo e di avere con lui una parvenza di conversazione, coltiva una sua tesi, lontana da quella cavalcata dai media, consapevole di violare con il proprio “accanimento” l’intimità e la riservatezza di Roger Keith, conscio di contribuire suo malgrado a nutrire il germe del mito, eppure convinto della necessità di una biografia la più completa possibile, onesta, che renda giustizia all’uomo Barrett, non solo all’artista Syd che ha lasciato questo mondo nel 2006 stroncato da un tumore al pancreas e che non era pazzo. Era stato un drogato, certo. Aveva avuto crolli nervosi. Ma non era un folle. Lontano da una ribalta che gli aveva generato inquietudine e sofferenza, Roger Keith Barrett ha camaleonticamente mutato di aspetto e difeso il diritto alla sua riservatezza, aiutato dalla madre prima e dalla sorella poi. Non voleva più (né doveva) cercare di essere Syd, colui che non poteva essere…

Il volume di Luca Chino Ferrari – gia autore nel 1986 della biografia di Barrett “Tatuato sul Muro”, Gammalibri – giunge a questa tesi tessendo la trama della vita di Syd/Roger attraverso interviste a persone che con Barrett hanno condiviso esperienze e spezzoni di vita, attraverso l’interpretazione dei suoi testi/versi; attraverso l’analisi di articoli di stampa, documenti, pubblicazioni, immagini… 

Le pagine di Ferrari restituiscono umanità, al di là della leggenda, al di là delle supposizioni più appetibili per il gossip, all’uomo Barrett e lo fanno con una “pedanteria” accorata e minuziosa, da avvocato difensore, rivelando una sorta di “affectio” (mi si consenta questo termine) per Barrett, l’estremo rispetto per l’uomo/artista, per la sua integrità dai tratti infantili, per la sua sofferenza, per il suo legittimo anelito alla felicità. Last but not least: per la sua opera.  

 

Gigliola Reboani

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Il volume “Syd Barrett – “Scritto sui rovi” (edito da Zona Music Books; pagind 292, 24 euro) è già stato presentato nei mesi scorsi in sedi autorevoli, suscitando l’interesse della stampa non solo specializzata. Prossimamente toccherà a Cremona, città natale di Ferrari, ospitare una conversazione tra l’autore e la giornalista Gigliola Reboani del quale è amica oltre che estimatrice.

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Luca Chino Ferrari (Cremona, 1963) è uno scrittore musicale e paroliere italiano. Autore della prima biografia mondiale dell’artista ‒ Tatuato sul Muro. L’enigma di Syd Barrett (Gammalibri, 1986) ‒ lo ha incontrato nel 1986 e contribuito alla riunione della Third Ear Band negli anni ’80. Ha gestito le fanzine italiane su Pink Floyd e Syd Barrett dal 1979. Ha scritto libri anche su Third Ear Band, Pink Floyd, Robyn Hitchcock, Captain Beefheart, Tim Buckley, Mike Taylor, oltre ad articoli e recensioni per riviste come Ciao 2001, Vinile, Buscadero e Rockerilla. Numerose le sue traduzioni e curatele di libri, booklet e cataloghi. Ha dato vita, con Francesco Paolo Paladino, alla band His Majesty The Baby e, con Dorothy Moskowitz, alla band Dorothy Moskowitz & The United States Of Alchemy, per le quali ha scritto i testi di due album.

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