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La politica del territorio chiude il 2025 nel peggiore dei modi possibili.  L’assemblea di Padania Acque del 18 dicembre con all’ordine del giorno la modifica dello statuto della società si è rivelata una picconata alla credibilità dei partiti. Uno schiaffo ai consigli comunali della provincia. Un assist ai qualunquisti. Uno spot per la diserzione elettorale. Un incentivo alla divisione del territorio. Una conferma dell’abbraccio contro natura della componente cremonese di Pd e Fratelli d’Italia. Una valle di disincanto e di amarezza.

I messaggi su WhatsApp di un esponente di spicco di Fratelli d’Italia a un sindaco presente in assemblea, ma non del suo partito, hanno evidenziato un’ossessiva e poco lucida interferenza esterna. La richiesta e l’ottenimento della sospensione del dibattito per una decina di minuti, finalizzata a convincere i recalcitranti a disattendere le delibere comunali favorevoli al cambio dello statuto, hanno reso macroscopico l’assillante pressing esercitato.

Motivo dichiarato, la mancanza nello statuto di un limite di mandato.  Obiettivo vero, ma taciuto, lo stop alla rielezione di un componente del collegio sindacale della società.  Un membro che ha messo le radici e poco gradito a Pd e Fratelli d’Italia.

La sceneggiata imbastita per indurre i soci a rinviare la decisione e a non rispettare la delibera approvata dai rispettivi consigli comunali, tutti favorevoli alla modifica dello statuto, non è stata estemporanea, ma preparata. Però da hobbisti o principianti. Abborracciata e tanto evidente da risultare imbarazzante. Pensata e realizzata da dilettanti allo sbaraglio. Il tentativo di moral suasion per l’inadeguatezza dei persuasori si è trasformato in uno stalking di Pd e Fratelli d’Italia nei confronti dei sindaci della propria area d’influenza. Operazione solo in parte riuscita, ma sufficiente per cambiare le carte in tavola. Per avvilire e svilire 113 Consigli comunali e quello provinciale.

Si sono espressi a favore del nuovo statuto i sindaci detentori del 53,57 per cento delle quote azionarie.  Astenuti 46,43 per cento. Per l’approvazione serviva la maggioranza qualificata del 66 per cento.  In sintesi, la maggioranza degli azionisti è stata favorevole al nuovo statuto, ma insufficiente per adottarlo. La votazione palese e con chiamata nominale non lascia spazi a dubbi su chi abbia ignorato le indicazioni ricevute dai Consigli comunali.

Il risultato certifica un territorio politicamente spaccato. Amministrazione provinciale, Comune di Cremona e Cremonese compatti sulla linea decisa dai burattinai politici. Cremaschi, hombre vertical, autonomi, insensibili ai diktat dei partiti e rigorosi nel rispettare le delibere comunali, favorevoli all’approvazione. Tra costoro anche i sindaci di Pd e Forza Italia dell’Area Omogena cremasca e indifferenti al pensiero cremonese. Con due sole defezioni: Fabio Bergamaschi e Mauro Giroletti, sindaci rispettivamente di Crema e Sergnano.

La divisione territoriale e quella all’interno degli stessi partiti non sono mai state tanto evidenti. Negarlo non aiuta a risolvere il grave problema. Dal sito ufficiale di Padania Acque, aggiornato all’8 maggio 2025,  si evince che la Provincia, azionista di maggioranza, detiene l’11,211 per cento delle quote.  Il Comune di Cremona il 4,6451. Insieme controllano il 15,8561 per cento del capitale sociale. Entrambi si sono astenuti. Irrilevante l’astensione di Crema e Sergnano che detengono quote lillipuziane. Se la matematica non è un’opinione, la loro scelta è risultata determinante per la bocciatura del nuovo statuto e costringere i sindaci a ritornare in consiglio comunale. Fare e disfare è sempre  lavorare. Ma non è così che si costruisce il futuro del territorio.

Si è assistito a una recita di una compagnia teatrale inadeguata per un palcoscenico prestigioso. Raffazzonata, sarebbe risultata scarsa anche per un teatro d’oratorio di paese. Beffa, senza se e senza ma, è sigillo della scarsa considerazione dei partiti per i consigli comunali.

La storia si ripete. Non è la prima volta che la politica cremonese si rende protagonista di inversioni di rotta a centottanta gradi.  Trentun anni fa, il 28 giugno 1994, in consiglio comunale a Cremona, lo stravolgimento più clamoroso.  Casus belli, il referendum popolare sull’ubicazione dell’inceneritore in località San Rocco, località scelta dall’Amministrazione comunale e contestata da ambientalisti e partiti. In quella occasione regista del tradimento fu il Pds, antenato del Pd, suo clone, ritoccato per essere meno rosso e più rosa pallido. Più di centro, più democristiano. Mutazione genetica per dimenticare le origini.  Per passare da posizioni radicali a quelle inclusive, concetto che si presta a molteplici interpretazioni e non sempre condivisibili. Ultimo, il citato feeling tra Pd cremonese e Fratelli d’Italia.

Nel voltafaccia sul referendum, oltre alla Democrazia Cristiana, alleata con il Pds nel governo della città, a tenere bordone, un contributo lo ha fornito anche l’assessore dei Verdi.

Luciano Pizzetti era segretario provinciale Pds, nonché consigliere provinciale. È lo stesso politico, inossidabile, altero e in alcune circostanze supponente, che oggi, con la casacca del Pd, presiede il Consiglio comunale di Cremona. Lo stesso, che allora come ora, viene considerato il cavallo di razza della politica provinciale. Lo stesso che, poche ore dopo avere patito la batosta referendaria, con un gioco di prestigio, ha trasformato la sconfitta del Pds e dell’Amministrazione comunale in un risultato positivo.

«È una grande vittoria per il buon senso e la razionalità – aveva spiegato -. Solo un terzo dei cittadini cremonesi si oppone alla realizzazione del termocombustore nel sito indicato dagli studi. Da questo referendum viene un incoraggiamento all’Amministrazione a procedere nella realizzazione dei suoi programmi» (Forte Apache e dintorni, pagina 139.  Edizioni Grafica Gm, 1998). Un capolavoro. In termini popolari si dice girare la frittata in padella. 

Andarono alle urne il 55,76 per cento degli aventi diritto al voto. Di costoro, i contrari a San Rocco furono il 58,01 per cento. I favorevoli il 41,99 per cento. Per Pizzetti, vinsero i secondi. Già, secondo la sua tesi, chi aveva bigiato la consultazione stava dalla sua parte.  Minchia, geniale. Nelle ultime elezioni comunali di Cremona del 2024, al primo turno si recarono alle urne il 58,74 per cento degli aventi diritto al voto, scesi al 46,55 per cento al ballottaggio. Lo vinse e divenne sindaco Andrea Virgilio con il 50,37 per cento del 46,55 per cento. Complicato?  Non tanto, ma per semplificare, Virgilio è sindaco con 13.013 voti.  Il no a San Rocco raccolse il consenso di 23 mila 338 cittadini.  Pleonastico aggiungere altro.

È lo stesso Pizzetti che l’11 dicembre scorso, durante la riunione dell’Ufficio di presidenza con funzione di commissione, tenutasi nella sala dei gruppi consiliari, ha precisato il valore vincolante della delibera consiliare. «Il voto dei consigli comunali – aveva risposto a una precisa domanda di Alessandro Portesani – non può essere disatteso dai sindaci o dai loro rappresentanti» (www. vittorianozanolli.it 22 dicembre).

Sette giorni dopo questa riunione dell’Ufficio di presidenza, Pizzetti è stato smentito dai suoi stessi compagni di partito. Durante l’assemblea di Padania Acque, i delegati cremonesi del Pd e di Fratelli d’Italia si sono astenuti e hanno rinnegato la scelta dei propri Consigli comunali.  L’inferno è stato scatenato dall’assessora di Cremona Simona Pasquali.  Ha preso la parola all’inizio dell’assemblea della società.  Ha annunciato che il Consiglio comunale del capoluogo, poche ore prima aveva dato il via libera al nuovo statuto di Padania Acque. Contemporaneamente, ha informato i presenti di un problema: nel testo del nuovo statuto manca il limite di mandato.  Bene, brava, bis.  Ma allora perché poche ore prima il Consiglio comunale di Cremona l’aveva approvato?  

 E da qui sono iniziate le danze per delegittimare le delibere dei Consigli comunali. E, di fatto, anche per smentire la rassicurazione di Pizzetti a Portesani. Quel che poi è accaduto durante l’assemblea è stato ricordato sopra e nei giorni scorsi su questo giornale.

Oltre a un senso di disagio e di sconforto, resta il rammarico per il decadimento della politica locale. Per il vacuo braccio di ferro per dimostrare la consistenza dei propri attributi virili. 

L’inserimento del limite di mandato nello statuto non impedisce all’habitué del collegio sindacale di ricandidarsi. Vale infatti la regola napoletana «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, scurdámmoce ‘o ppassato». Principio validato dalla massima latina  ex nunc e non ex tunc. Valeva la pena l’infima e stucchevole sceneggiata in assemblea?

 È vero che «quando il gioco si fa duro, i duri incominciano a giocare» (John Belushi, in Animal house), ma in questa vicenda non si sono visti dei duri, piuttosto dei  bambini viziati.  Quelli che minacciano di portare via il pallone se non si gioca secondo le loro regole.

Disattendere la decisione dei Consigli comunali pone un quesito serio ai sindaci. Perché riportare in discussione una nuova versione dello statuto, approvarla e ritornare in assemblea per ratificarla? I consiglieri comunali non sono gioppini, direbbero i bergamaschi. Ma anche qualche sindaco cremasco ne è convinto. Giovedì, 18 dicembre 2025, data da ricordare. Per non ripeterla. Per non arrossire. 

 

Antonio Grassi

 

L'Editoriale

Edoardo Raspelli

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