Dieci nuovi agenti e due nuovi ufficiali di polizia locale assunti, un nuovo presidio fisso di polizia locale con bodycam e spray al peperoncino in dotazione, il daspo urbano introdotto individuando in città le ‘zone rosse’ in cui i controlli saranno più martellanti, una ventina di telecamere in arrivo, limitazioni al consumo di alcolici al di fuori di bar e plateatici, oltre a misure e regole aggiuntive per i locali notturni. Da parte del governo, rappresentato dal Prefetto, stesso stile e modalità: nuove assunzioni in polizia di stato, estensione delle ‘zone rosse’ nei paesi della provincia, pompose operazioni interforze. E infine l’ultimo, per ora, capolavoro di progressismo, cioè la richiesta dell’intervento dell’esercito a presidiare il piazzale della stazione.
Non si può dire che l’investimento economico dell’Amministrazione per garantire la sicurezza non sia ingente, con grande elargizione di fondi pubblici all’industria del controllo e fiumi di inchiostro sui media locali.
Peccato sia del tutto inefficace.
Un disagio sociale montante, fatto di precarietà di vita e prospettive che si imbruttiscono, unito alla mancanza di reti efficaci e di ambienti capaci di ascoltare e coinvolgere davvero i protagonisti di quel ‘disagio giovanile’ e una cultura della violenza propagandata confusamente a mezzo social producono, a livello generazionale, una proliferazione di comportamenti arroganti, scontrosi, violenti.
Come risponde a tutto questo una città che si suppone di sinistra?
L’opposizione di centrodestra, coerentemente con il proprio posizionamento ideologico, spinge sull’acceleratore sempre pronta a chiedere più controllo.
La maggioranza dal canto suo (ma si potrebbe dire per schiettezza il presidente del Consiglio comunale Luciano Pizzetti e l’assessore Santo Canale) segue a ruota, terrorizzata al pensiero che esprimere qualche riserva sulle proposte securitarie possa costargli preziosi consensi.
E questo si traduce in un’assunzione della narrazione e del messaggio politico della destra. Perché se al ‘disagio giovanile’ si risponde mettendo l’esercito lì dove ogni giorno passano migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze delle scuole cremonesi il messaggio è chiaro: mostrare i muscoli, meglio se sotto una divisa e dietro un fucile, spaventare, militarizzare. E che sentimenti potrà mai generare un approccio del genere in quei ragazzi? Che attitudine verso le istituzioni e lo spazio pubblico?
In questa narrazione per cui la sicurezza ‘non è né di destra né di sinistra’ é abolita qualunque lettura dei fenomeni sociali. E non senza una certa dose di ipocrisia: mostrarsi più securitari dei securitari, salvo poi garantire alla propria base – magari legittimamente critica – che si tratta solo di annunci e che la vivibilità della città non cambierà.
Capolavoro di realpolitik.
Certo, a patto che per ‘realpolitik’ si intenda l’arte di difendere i consensi (sarà poi vero?) e non quella di garantire davvero la sicurezza in città.
Perché su quel fronte le scelte dell’Aministrazione sono un disastro…
La verità é che la sequela di divieti e insensate limitazioni introdotte non ha impedito a quegli stessi fenomeni che si voleva contenere di ripetersi imprevedibili.
In questi giorni il tema sembra, infatti, cancellato dal dibattito cittadino pronto a rispuntare tra squilli di tromba e polemiche, alla prossima aggressione.
Conosciamo la natura del problema e sappiamo che non è sopito soltanto perché non se ne parla e che il tema non si esaurisce tra i giardini di Piazza Roma, via Dante e la zona della stazione.
Ci sono quartieri ed interi paesi sul territorio dove la convivenza generazionale è un miraggio, dove l’uso incontrollato di sostanze prospera al di là della repressione, dove la sicurezza appare per quello che è: un tema sociale. Un tema valido e caro alle cronache quando tocca gli abbienti abitanti del Centro, ma normalizzato nell’abbandono istituzionale lì dove vivono inquilini delle case popolari, immigrati e – in generale – cittadini di serie B.
E su questo piano a noi caro, quello che intende la sicurezza come un tema sociale, non si muove un dito. Non si immagina un vero ed efficace piano d’azione. Non si immaginano strumenti nuovi. E invece è proprio qui che bisognerebbe puntare lo sguardo e i finanziamenti: servono operatori, progetti e presidi sociali per conoscere e accompagnare intere generazioni ad ora abbandonate in un mondo che le scarica come scarti lungo la strada.
Il tutto richiede soldi e un impegno concreto che non si vede. E se anche c’è, non si racconta! Non se ne parla mai.
Siamo stanchi di leggere che ‘la repressione deve andare a braccetto con l’educazione’ nell’ennesimo articolo in cui si annunciano solo le nuove misure di controllo.
Servono interventi concreti per intercettare e orientare il disagio giovanile là dove si presenta. E perché no, magari per riorientare anche intere generazioni di adulti, sempre più violente e livorose.
Un lavoro difficile e lungo e pertanto politicamente non remunerativo. Un lavoro che va fatto bene, non con progetti altisonanti che di ‘inclusione sociale’ rischiano di avere solo il nome. Ma un lavoro necessario, almeno per noi.
Serve spostare il focus del dibattito e dell’azione istituzionale dall’ordine pubblico alle politiche sociali. Ora o mai più, come si suol dire.
Arci, con la propria base associativa e quei pezzi di società civile che rendono viva Cremona, è qui per ribadirlo. E ribadire che non ci sentiamo affatto rassicurati negli ultimi mesi: chiediamo che si torni quindi a parlare di sicurezza prima di tutto sociale, si torni a voler risolvere davvero il problema e non soffiare opportunisticamente sul fuoco della paura.
Quando si vorrà parlare di questo, noi ci saremo. Ma non da soli, non solo con il ‘terzo settore’. Ci serve sapere che gli amministratori sono con noi su questo, e ci serve che lo dimostrino.
Aurora Diotti
presidente Comitato provinciale Arci di Cremona