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Nel precedente articolo ho parlato dei motivi per i quali alcune persone si erano salvate dallo tsunami del 2004. Ne ho trovato un altro. Frederic, poliziotto svedese, fu trascinato dall’acqua fuori dall’albergo al primo piano in cui si trovava a Phuket, e finì aggrappato a un albero a un centinaio di metri di distanza. “Per me poteva finire molto peggio – disse – ma sono sempre rimasto molto calmo, e avevo una sola idea in mente: sopravvivere.” Certo che rimanere calmi in una situazione del genere è già un’impresa, ma Frederic voleva insegnarci che “bisogna sempre lottare senza arrendersi”, anche contro l’impossibile.

“Resistere sperando che passi – disse Katie – e l’onda passò prima del “previsto”, nonostante il suo transito terrificante, apparentemente irresistibile, che sembrava por fine al tempo. Katie, quando fu catturata dall’onda, vi rotolò dentro come in una lavatrice. Era anche
claustrofobica, poi il buio totale, finchè sorprendentemente fu spinta fuori. Un respiro profondo. Era salva! A suo fratello Philippe andò diversamente. Stavano scappando assieme, a Ko Phi Phi, quando a un certo punto si fermarono voltandosi a guardare l’onda. Non sapeva perché lo fecero, disse Katie, come paralizzati e poco dopo l’onda li travolse. Rimasero abbracciati per poco, finchè la forza della corrente li divise. Il corpo di lui fu ritrovato dopo mesi.

Viene in mente ancora Medusa che pietrificava col suo sguardo, lo sguardo dell’onda in questo caso, ma anche Genesi 19,26 quando a Lot e famiglia fu ordinato da due angeli di fuggire per non essere coinvolti nella distruzione di Sodoma ad opera della vendetta divina. Unico avvertimento, non voltarsi. Ma Edith, sua moglie, non resistette alla tentazione e si voltò. Perciò fu trasformata in una statua di sale.

Un filo rosso collega i tre episodi: un’attrazione fatale scenografica o terrifica che si rivelò punitiva, paralizzandone la vita fino alla morte.
Anche la voce del marito di Katie, Gerard Toubelle, si paralizzò quando nello scappare una donna che usciva da un bungalow gli chiese cosa stava succedendo. L’aveva in mente ben chiaro cosa dire e cioè “grande onda”, ma la voce gli si strozzò in gola, non riuscì a proferir parola. “Poco sarebbe cambiato”, commentò poi con aria sconsolata, “ma forse si era salvata pure lei”, come Katie e Frederic. Paralizzato non solo dalla vista dell’onda e della catastrofe che cagionò, ma anche dal suo rumore. “Sembrava un ruggito”, il verso spaventoso dell’animale più feroce prima di ingoiarti. “Un rumore indescrivibile ma che non si dimentica“ dissero altri. “Era il suono dell’orrore, della morte”.
Anche la morte ha i suoi suoni, non è banale pensarci.

“Tutto successe molto rapidamente” disse Kalè. “Dal momento in cui eravamo in spiaggia a quello in cui siamo corsi in albergo forse era passato un minuto”. “Un altro minuto per salire al terzo piano e in meno di due minuti l’isola era coperta da 4 metri di acqua”. “Era molto strano perché non c’era nessuna guerra, nessuna bomba, ma solo acqua”. Era l’acqua, l’elemento più importante per la vita, foriera di questo immenso disastro mortale.

Quindi, a un certo punto, “tutto questo caos si fermò” . “Non c’era più rumore e dopo 10 minuti l’acqua si ritirò”. All’Hotel Sofitel di Kao Lak , Patrice notò la stessa cosa: “ C’era un grande contrasto perché quando arrivò l’onda c’era un rumore enorme, ma quando l’acqua si ritirò, ore dopo, non era rimasto più nulla” “Erano arrivati degli uccelli ma dopo qualche minuto se ne erano andati pure loro e non si era sentito più niente.” La quiete dopo la tempesta: il silenzio della morte. Ad un certo punto alcuni sopravvissuti cominciarono a scendere dalla collina per rendersi conto dell’accaduto e possibilmente prestare i primi soccorsi. Tra costoro Gerard. “C’erano più detriti che acqua” disse, mentre un thai passandogli accanto disperato gridava: “Perché?” Non c’era risposta. Benché Gerard sia medico, quindi abituato a convivere con la morte, non riesce a dimenticare le vittime di Ko Phi Phi.” “Penso siano state le urla terrificanti, soprattutto quando ne diventiamo consapevoli. Vedere gente semi annegata che fa fatica a respirare, persone morte che galleggiano sull’acqua, ma le morti più scioccanti erano quelle in costume, per lo più giovani, in spiaggia, perché questo non ci sta con la morte”.

Le lamiere avevano causato profonde ferite, tagliando braccia, gambe, teste. Quando Eric scese dalla collina, vide una mano uscire dai detriti, la tirò su, sotto niente. “Devi avere un cuore forte” aggiunse.

Katie non capiva ancora come s’era salvata. Aveva diverse ferite in corpo, irriconoscibile, a detta della figlia, che perciò non riusciva nemmeno a guardarla. Le pareva “un uomo preistorico”. Si riteneva fortunata, Katie, perché non era stata colpita da tetti o lamiere, che potevano tagliarle la testa.

“Quanto è rischiosa la vita – disse Patrice commentando i numerosi morti del suo Hotel. – . Non avrei mai pensato che dovesse diventare così, mi dico ancora che è pazzesco. Volevamo una camera al piano di sotto, dunque siamo stati miracolati”.

Per la notte, i sopravvissuti salirono sulla collina. Allestirono dei campi ma i pericoli non erano finiti. Quei monti erano popolati da rettili velenosi tra cui i cobra che quella notte fecero due morti. Quanto è assurda la vita. Scappare su in collina (rifugio sicuro) per proteggersi dallo tsunami, e poi morirvi per il morso di un cobra. E anche per questo molti stavano andando fuori di testa, cercare di dormire col terrore di essere mortalmente morsi nel sonno. Un’altra impresa!!

Ma Kalè quella giornata straordinariamente nefasta voleva chiuderla con qualcosa di positivo. Chiese a Sara di sposarlo, e così successivamente fecero. Il mattino dopo scesero per essere evacuati e cessato l’orrore del rumore, a quello della vista dei cadaveri trovati per strada, si aggiunse quello dell’odore. Finalmente salirono su una barca che li portò via: una liberazione, la fine di un incubo. Eppure su quel mare che tanti danni cagionò solo il giorno prima. C’era da fidarsi? Non c’era altra scelta.

Ancora oggi i sopravvissuti si chiedono per quale miracolo siano ancora vivi. “Il problema! – disse Veronique – è che non c’è risposta a questa domanda. Ecco, siamo vivi per caso”. Fatid replicò che “non c’era nessuna coincidenza, che semplicemente non era il loro momento per morire.”

“Perché allora – continuò Veronique – doveva essere il momento di un bambino?”.

Certamente molta fortuna ebbero quelle famiglie che, separate dallo tsunami, poi si ritrovarono anche dopo diversi giorni di ricerca. Ma per tante famiglie non è stato così. “Ancora oggi sono centinaia le vittime non identificate e per le famiglie dei dispersi il lutto è ancora più crudele”.

Katie si chiese: “Di una persona deceduta che differenza fa averne il corpo? Non immaginavo fosse così importante quando lo sperimentai personalmente” “Dopo che ci dissero che il corpo di Philippe (suo fratello) era stato identificato, quando tornammo in Thailandia per riprenderlo, il ritrovarlo fu sì uno shock, ma anche un grande sollievo.”

E concludo con Eric. Niente come questa immane tragedia gli aveva fatto comprendere che la vita è un bene molto bello e prezioso, benchè estremamente fragile e che pertanto, mentre provava a rimettersi in cammino, doveva far fruttare la fortuna che aveva avuto, e cioè quella di essere un sopravvissuto, per fare cose che trasmettessero al mondo il valore della bellezza di questa vita che ci è stata donata.

Sulla stessa lunghezza d’onda, parlando dell’”elisir di lunga vita “, troviamo Silvio Garattini, famoso scienziato 95enne fondatore e direttore dell’Istituto Mario Negri, secondo cui “bisogna raggiungere un equilibrio in cui sai che domani potresti non esserci, ma se ci sei, devi fare qualcosa”.

Nonostante tutto.

 

Stefano Araldi

parte seconda – fine

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