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“La Corte Costituzionale ha stabilito che i bambini nati in Italia da due donne, che hanno condiviso un progetto genitoriale tramite procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero, devono essere riconosciuti fin dalla nascita come figli di entrambe le madri.”

Le sentenze si rispettano, ma è pienamente legittimo dissentire nel contenuto. L’assenza di una legge dello Stato in materia di famiglie omogenitoriali, vuoto normativo al momento colmato da una sentenza della Corte, non è una “colpa” esclusiva del governo in carica, ma è un vuoto che nessun ha finora riempito nel senso indicato dalla Corte perché, verosimilmente, molti, tanti (probabilmente una reale maggioranza), sono consapevoli che riflessi e conseguenze di una tale decisione impattino non solo e non tanto su adulti consapevoli, ma soprattutto su bambini rispetto ai quali abbiamo l’obbligo di interrogarci davvero e nel profondo se stiamo agendo nel loro supremo interesse, che va posto al di sopra di ogni ragionevole dubbio e presunta certezza. 

E il dubbio che su questo tema ci sia tanta propaganda, relegando in subordine la questione dei veri diritti dei bambini, a destra ce lo poniamo con grande ponderazione. Perché non è vero che la destra non è pronta ad affrontare il tema dei diritti civili, ma lo facciamo con la serietà e la determinazione di chi intende mantenere saldi alcuni valori e principi per noi non negoziabili e che, giusto precisarlo, sono visti in maniera laica senza alcuna confusione con la matrice religiosa. 

I bambini nascono dall’unione di un uomo e una donna, che sia reale o artificiale, non cambia la sostanza; non esiste un azzeramento della differenza di genere tanto auspicata da una dilagante e pericolosissima esasperazione della cultura woke; non si può annullare questo dato che è insito nella natura. Ogni bambino ha il diritto di sapere da chi nasce, perché ciò fa e farà sempre parte della sua identità; ha diritto di sapere chi è la madre e chi è il padre, perché quando lo chiederà, avrà il diritto di conoscere la verità. Altro valore per noi non negoziabile è che i bambini non si comprano e le donne non vanno pagate per procreare; rendere normale che una donna si faccia pagare per partorire, obbligandola a firmare un foglio di carta che le faccia dichiarare di non esistere mai più per la creatura che ha cresciuto nel proprio corpo per 9 mesi non è civiltà, non è progresso, è involuzione, è tornare alla cultura che le donne possono essere oggetti: oggetti loro e oggetti i figli che partoriscono. Perché è questo ciò che è necessario fare per far sì che una coppia omossessuale possa avere un figlio: non solo pagare la fecondazione, ma per una coppia di uomini affittare anche un utero e un corpo affinché procrei, e poi “addio e grazie”. Questi sono temi che dovrebbero toccare le coscienze di tutti, utilizzando magari più cautela quando si decide di definire il 22 maggio – data della sentenza della Corte – come data fondamentale per i diritti delle famiglie omogenitoriali. 

Siamo perfettamente d’accordo con il principio della Corte che “non è il legame biologico a fondare la genitorialità, ma il consenso consapevole, la responsabilità e la cura”: è un principio sacrosanto alla base di tutte quelle famiglie adottive che, accettato (con sofferenza e difficoltà) quanto natura ha stabilito per loro, danno “consapevolezza, responsabilità e cura” a bambini e bambine, ragazzi e ragazze che hanno storie drammatiche e che possono trovare occasioni di amore e riscatto nella vita. 

Un ultimo appunto, sebbene questo sia un argomento che andrebbe dibattuto molto più a lungo e molto più profondamente: non illudiamoci che a fronte di tanta imperfezione e inadeguatezza delle famiglie tradizionali, le famiglie omogenitoriali sapranno essere necessariamente migliori: parliamo sempre di esseri umani, etero o no, tanto imperfetti come tutti. 

Ecco, noi qualche dubbio su quel che comporta l’applicazione di quella sentenza ce lo poniamo: il problema non è, come dichiarato dal Sindaco, che in assenza di indicazione del Governo ci sono i moduli dell’anagrafe che prevedono la dicitura di un padre e una madre. I nostri sono dubbi alla radice più profonda dell’argomento, non un problema di modulistica. 

Chiara Capelletti

Luca Fedeli

consiglieri comunali Fratelli d’Italia

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