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Il diritto alla salute è garantito dall’articolo 32 della Costituzione italiana. 

È garantito dalla legge 833 del 1978, quella del Servizio sanitario nazionale.

È garantito dai Livelli essenziali di assistenza (LEA).

È garantito dall’ammontare del proprio conto corrente in banca, unica certezza tra le garanzie citate.

Il diritto alla salute, forte nelle enunciazioni di principio, fragile nella pratica quotidiana, non è per tutti. È un privilegio.

Chi ha quattrini più del necessario lo può acquistare senza battere ciglio. Chi non ne ha molti, ma non è alla canna del gas può ricorrere ai risparmi.

Il diritto alla salute è una chimera. Un miraggio nel deserto che avvalora il concetto di diritto tarocco. Riservato a coloro che possono concederselo, antitesi di un diritto universale.  Il diritto alla salute è un Rolex.

Sostenere che il mantenimento della salute è più agevole per i ricchi è la via maestra per finire nel girone infernale dei dogmatici, dei veteromarxisti, dei terzomondisti, dei fossili della teologia della liberazione. Ma la verità merita questo sacrificio.   I quattrini fanno la differenza. Il censo discrimina tra i fortunati nella sfiga (malattia) e gli sfigati tout court (malattia più ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalenteda servizi sociali).  

Tra chi può accedere a visite, esami diagnostici, degenze in strutture private in tempi celeri e chi è costretto ad aspettare quelli biblici del pubblico e nell’attesa confidare nell’occhio benevolo e nella storica magnanimità del Padre eterno. 

Tra chi con il suo nome può accelerare pratiche ed evitare attese e chi, più anonimo, è ridotto a mendicare una raccomandazione altrui per usufruire di un diritto che, sulla carta, gli è riconosciuto. 

Tra chi non deve chiedere mai e chi è obbligato a chiedere con insistenza. E in alcune circostanze incazzarsi.

Tra chi si avvale del telepass fornito dal privato e sfreccia veloce davanti a tutti e chi nel pubblico aspetta in coda il proprio turno, con l’auspicio che non sia l’attesa di Godot.  

Tra chi non conosce il numero verde per le prenotazioni e chi lo utilizza con il rischio di essere invitato a richiamare.

La storia del signor Michele pubblicata da Vittorianozanolli.it il 20 agosto è illuminante.

Il protagonista abita in un Comune cremasco.  Necessita di una visita dermatologica. Sulla piattaforma online della sanità pubblica regionale cerca lo specialista in una struttura ubicata nella Repubblica del Tortello.  Non trova dermatologi disponibili. Peggio, apprende che «dal 28 giugno 2024 tale impedimento è esteso all’intera provincia di Cremona». Verifica che anche oltre il confine la situazione non cambia.

Michele non demorde. Entra nel sito di un centro diagnostico privato di Crema, accreditato in convenzione con il Sistema Socio Sanitario della Regione Lombardia. Basito, scopre che il centro accetta prenotazioni online solo a pagamento. Si sente preso per il culo.

Pagare moneta vedere cammello. Come nei suk.

Sulle cause della costante espansione della sanità privata e della contemporanea flessione di quella pubblica sono stati scritti centinaia di articoli e organizzati altrettanti convegni. I cahiers de doléances su questo argomento abbondano. Così come si sprecano le critiche sul ruolo decisivo della politica nel processo di svilimento in atto del diritto alla salute.  È lei che delibera i finanziamenti, impone gli obiettivi e le priorità. È lei che suddivide e destina le risorse. È lei che, indirettamente, attraverso l’accreditamento, indirizza anche la sanità privata. E la sostiene.

Sul tema è facile scivolare nella demagogia e scadere nel populismo tanto al pezzo: piove governo ladro. Ma è innegabile che alcune scelte di Stato e Regione inducano più alla critica che all’applauso.    Gli ospedali pubblici oggi si chiamano aziende sanitarie.  Implicita dichiarazione d’intenti, la denominazione è un’indicazione programmatica.

Funzionale ai tempi e alle esigenze della società d’oggi, la scelta – pragmatica – ha il tallone di Achille nella aggressiva concorrenza dei privati che, in tempi di neoliberismo imperante, si trasforma in un confronto improponibile. Una partita impari con il privato nelle vesti del Real Madrid e il pubblico in quello della Cremonese.  E la differenza non sta nella qualità dei servizi erogati e nella professionalità degli operatori, ma in una serie di altri vantaggi offerti, non ultimo la rapidità nell’accedere alle prestazioni richieste dai cittadini.

L’azienda sanitaria non è il diavolo per postulato o per pregiudizi ideologici. Ma non è una forzatura sostenere che essa non garantisce il diritto alla salute e non ferma la concorrenza del privato. Concorrenza – questo è il vulnus – che Stato e Regione agevolano, anche se lo negano.  

Nel nostro territorio, il trend negativo che penalizza il diritto alla salute non si inverte con la costruzione di un nuovo ospedale e la rottamazione del vecchio. 

Non si contrasta la privatizzazione della sanità pubblica con una politica locale prona al progetto, ammaliata dalle centinaia di milioni in arrivo per realizzarlo.  

Non si eliminano i disagi dei pazienti con politici miopi, mansueti, anestetizzati, che raggiungono l’orgasmo all’idea di portare in città un’astronave attrezzata per un viaggio nella medicina del futuro, avveniristica. Glamour.  Impettiti per il progettista archistar e abbagliati dal rendering affascinante del progetto. Sedotti dallo storytelling dell’ufficio pubbliche relazioni dell’azienda sanitaria e pompato dall’informazione di regime.  Soddisfatti per il consenso degli stakeholder intesi per imprenditori e professionisti coinvolti nella costruzione dell’opera.  Fieri per un incontro dell’archistar con gli studenti di una scuola media cittadina.  Falsamente interessati e realmente infastiditi dal Movimento per la riqualificazione dell’ospedale di Cremona e dalla raccolta di migliaia di firme di cittadini contrari alla costruzione del nuovo ospedale e all’abbattimento del vecchio, non così tanto vecchio. E se alle prossime elezioni provinciali centrodestra e Pd si uniranno in una lista unica, anche questo interesse peloso per il manipolo di contestatori verrà meno. 

Il diritto alla salute non è solamente un ospedale nuovo. È anche sanità sul territorio, medici di famiglia adeguatamente retribuiti e considerati, prevenzione, indagini epidemiologiche.

Il diritto alla salute è la sanità che compare poco su televisioni e giornali, che non garantisce consistenti profitti ed è snobbata dai privati. È la sanità che non prevede suk in cui si è imbattuto Michele.  È la sanita del quotidiano che si esercita anche senza luminari della medicina.

È la sanità che conserva un pizzico dell’idealismo del dottor Manson, il medico de La Cittadella di CroninÈ bello sognare.

Il diritto alla salute non è un privilegio.

 

Antonio Grassi

 

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