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“Un’estate pazzesca: 40 concerti da maggio a ottobre. Ne abbiamo ancora parecchi. Siamo carichi”. Michele Villa, Illo, il frontman dei Diskorario parla velocemente, sembra di essere su una giostra inarrestabile. La metafora più adatta è la corsa. I suoi concerti sono dinamici. Come lo vedete sul palco, trainante ed espressivo, così è di persona. È molto empatico, cerca condivisione. 

Come fai a conciliare tutto?

“Non dormo. Cantare è la mia passione. C’è chi, dopo il lavoro, gioca a freccette, chi sta sul divano a guardare la tv, chi va al bar con gli amici, io faccio musica. Mi ricarica, mi dà forza, energia. Ho bisogno dei concerti, della gente, di vederla felice”.

Come hai cominciato?

“All’oratorio di San Sebastiano, avevo 16 anni, 40 anni fa. Facevamo i festival. Li vincevo. Abbiamo formato i primi gruppi. Con i Diskorario è nato tutto 25 anni fa davanti a un caffè. Venivamo da esperienze diverse. L’attuale formazione: Illo, voce, Matteo Zametta, batteria, Gianluca Comincini, basso, Roberto Ramelli, chitarra, sostituito da Tommaso Compiani, quando lavora, è stabile da 10 anni. Volevamo formare una party band, che sapesse coinvolgere dal ragazzino all’adulto. Il nostro target sono gli over 40. Ma ci impieghiamo un secondo a programmare il concerto in base al pubblico che abbiamo davanti”. 

Come fate? Come nasce una scaletta?

”Abbiamo una base di canzoni, un viaggio dagli anni sessanta percorrendo tutte le decadi. Poi aggiungiamo 50 minuti di roba fresca, attuale, quella che passano in radio ogni mattina. Il nostro segreto è il medley. Io non farò mai 9 minuti di canzone dei Pink Floyd intera. Noi facciamo blocchi di canzoni che si incastrano l’una nell’altra. La musica deve correre”.

E se il pubblico non ti segue?

“Cambio blocco di canzoni. Lo vedo subito. Se mi trovo davanti dei giovani, per esempio, insisterò sulle canzoni attuali. Se invece ho davanti prevalentemente dei sessantenni so che dovrò spingere sugli anni 80. Lo valutiamo a inizio serata. Basta un giro di sguardi”. 

A proposito di canzoni attuali, deve esserci a monte un lavoro notevole, perché tutti gli anni sfornate moltissime cover nuove. Ai tuoi concerti proponete mezzo Festival di Sanremo, i tormentoni estivi, nuovi di zecca, le canzoni più fresche. Come vi organizzate? Lavorate tutti. Dove fate le prove?

“Ci incontriamo in una sala prove di Pralboino. Quando ci vediamo abbiamo già lavorato molto a casa, insieme cuciamo i pezzi, di solito funziona, perché c’è molto affiatamento e affinità. Adesso si viaggia di esperienza. E’ un lavoro maniacale, di grande precisione. Poi ci sono le pubbliche relazioni, la parte fiscale e il rapporto con le committenze che gestisco io”.

Qual è il concerto che ti ha dato più soddisfazione?

”Senz’altro alla Festa del Torrone, in piazza Duomo. Noi suoniamo anche a feste private, compleanni, matrimoni e poi locali, feste di piazza, manifestazioni. All’inizio avevamo molte date fuori. Abbiamo suonato ad esempio all’Alcatraz a Milano, poi abbiamo suonato allo Zini per la presentazione della Cremonese. Noi siamo gli esecutori dell’inno della squadra. Le situazioni emozionanti sono tante ma che davanti a me ci siano 2 mila persone o 20 l’impegno e l’impatto emotivo è identico”.

Ai tuoi concerti si balla e si canta. Tu scendi dal palco e inviti le persone a ballare e le fai cantare. A volte fermate la musica per ridere o scherzare.

“Noi siamo ‘nostrani’. Cerchiamo con semplicità la relazione con il pubblico. Io voglio che la gente vada a casa con un sorriso e un briciolo di felicità. Lavoriamo sulla spontaneità ed estemporaneità. Non è tutto preparato, è vivo, e la gente lo percepisce”.

Voi regalate spensieratezza e leggerezza, sembrano cose piccole, in realtà hanno un valore immenso. Saper creare unità non è da tutti. Dove trovi tutta l’energia? Salti per ore ad ogni concerto. C’è dietro un allenamento?

“Vado a correre nella pausa pranzo. Faccio tante rinunce e sacrifici. Ti ho detto che non dormo mai. E’ tutto un mix fra testa e cuore. Da un lato la razionalità e la meticolosità e dall’altro l’emozione. Tanto do e tanto prendo e non posso più farne senza”.

 

Francesca Codazzi

 

 

   

   

     

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