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«Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere» (Aldo Moro).

«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela» (Enrico Berlinguer).

«I giovani devono anche non essere troppo choosy» (Elsa Fornero).

«Vorrei ripristinare la verità: chi ha il pisello è un uomo e chi ha la vulva è una femmina» (Daniela Santanchè).

È l’evoluzione della specie. Della politica. Dall’Homo politicus all’Homo Laqualunque

Dal diritto alla salute al «Pilu per tutti». Dal De officiis di Cicerone alla beneficenza di Chiara Ferragni. Dal bene comune a quello individuale. Dalle idee agli interessi di bottega.  Dalla res pubblica ai cazzi propri. Dall’ideologia alla fluidità, al casino totale.

Dalla chiarezza alla confusione. Dai voli cosmici ai radenti. Dalla cultura alla coltura. Dalla conoscenza all’ignoranza. Dalle dichiarazioni ponderate alle parole in libertà. Dall’oratoria alla propaganda. Da Giorgio Gaber con Qualcuno era comunista a Chadia Rodriguez con Sister.

«Avevamo il candidato migliore e il programma migliore, ma troppa gente è rimasta sul divano invece di andare a votare» (La Provincia, 25 giugno). Perentorio, con questa dichiarazione, Marcello Ventura, coordinatore provinciale e consigliere regionale di Fratelli d’Italia, ha archiviato la sconfitta elettorale del centrodestra a Cremona. 

Martellata sui propri gingilli, la dichiarazione apre una serie di interrogativi sul centrodestra. Soprattutto sul partito di Giorgia Meloni a Cremona.  Ma contento lui, contenti tutti. O Ventura è stato superficiale o è scarso nei fondamentali della politica. 

Se è centrata la prima ipotesi, il problema è grave ma rimediabile. Se è corretta la seconda, la questione è da codice rosso. Più difficile da sanare, per il partito sarebbe una sventura. In entrambi i casi sorgerebbero degli interrogativi sul ruolo dell’intera classe dirigente meloniana nella Repubblica del Marubino. Sulla coesione con gli altri partiti della coalizione centrodestra, Lega compresa.  Sul futuro ruolo dell’opposizione in consiglio comunale.

Le piante si raddrizzano da giovani. Da adulto è impresa ardua. Ventura è capitano di lungo corso. Non è un pivello della politica. Dovrebbe conoscere i meccanismi della campagna elettorale.  Masticarli. Maneggiarli con cura. Dovrebbe sapere che è compito dei politici invogliare gli elettori a recarsi alle urne.  Dovrebbe ricordare che la credibilità e l’autorevolezza degli imbonitori sono determinanti per convincere i cittadini a spostarsi dal divano al seggio.  Dovrebbe chiedersi   perché molti elettori di centrodestra non si sono mossi dalla comfort zone domestica o vacanziera.

Se Alessandro Portesani era il Kylian Mbappé della competizione e il centrodestra il Real Madrid, per quale motivo hanno perso?  Congiunzioni astrali avverse? Sfiga, classico velo pietoso per coprire il culo ammaccato?

Oppure, più realisticamente, la sconfitta sta nell’incapacità dell’allenatore di guidare la squadra?  Nell’inadeguatezza di un coach senza strategia. Arruffone. Scarso da permettere allo spogliatoio di trasformarsi in un pollaio con troppi galli e tante galline insofferenti?  

La risposta a questo interrogativo l’ha fornita il senatore Renato Ancorotti. Il massimo esponente di Fratelli d’Italia sul territorio, non usa la sordina. Non si nasconde dietro un dito. È l’ira funesta del pelide Achille. Spara ad alzo zero. Freddo come un killer. Preciso come un cecchino. Lucido come un chirurgo.  Al cuore Ramon.

«Io credo – ha commentato – che ci si debba sedere intorno a un tavolo, mettere da parte l’arroganza del dire ‘faccio tutto io’ perché poi è stato dimostrato che non è così, e bisogna che tutti facciamo un passo indietro per farne due avanti.  Ovvero smetterla di litigare sul nulla perché l’impressione che danno è di un partito che litiga e questo non va bene». (Cremonaoggi, 28 giugno).

E poi un chiarimento che è una condanna a morte. «Io non ho chiesto le dimissioni poi che sia una conseguenza di quello che ho detto, può darsi».

Non è un pollaio, ma una santabarbara. E Ventura vi entra con un cerino acceso in mano. 

«E poi – precisa – ha influito l’appello al voto di persone che si dicono del centrodestra, ma che in realtà fanno i propri interessi personali» (La Provincia, 25 giugno).

Il coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia non fa nomi. Lancia il sasso. Nasconde la mano. Non funziona così. 

La coesione di una squadra non si ottiene con messaggi in codice.  Con accuse anonime. Con metodi da informatore dei servizi segreti. Con questo sistema si sfascia l’unità del partito e della coalizione.  

Ventura non è Tony D’Amato di Ogni maledetta domenica e neppure Herman Boone di Il sapore della vittoria.  È un capoufficio. Senza dubbio bravo, se lo hanno eletto coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia.  Ma la leadership per guidare un partito, oggi al vertice della piramide, si trova su un altro pianeta. 

Ventura non possiede il karma del vincente. Neanche del perdente. Forse del funambolo.  E se si vuole completare la narrazione senza lasciare nulla nell’archivio, è necessario segnalare che in piena campagna elettorale, lui dirigente di Fratelli d’Italia ha flirtato con Luciano Maverick Pizzetti, il grande timoniere del Pd. Sulla nomina del consiglio di amministrazione di Padania Acque si è schierato con il top gun, in rotta di collisione con i suoi alleati. 

Sulla designazione dei vertici di Centro Padane, si è collocato dalla parte opposta di Forza Italia e del resto della compagnia cantante di centrodestra.

Infine stupisce che Fratelli d’Italia, attualmente la portaerei Nimtiz della politica italiana, non abbia convinto 32 cittadini ad imbarcarsi nella propria lista. Si sono fermati a 31. Commentare sarebbe impietoso. Maramaldo.

Per non fare torto ai vincitori uno sguardo al centro sinistra. Ha vinto per 1 a 0. Basta e avanza per governare. Il margine risicato con il quale ha conquistato il Comune è un dettaglio da non sottovalutare, ma non è necessario il 4 a 0 per realizzare il programma. E anche per imporlo.

Cinque anni sono lunghi. La politica è fluida. Gli stakeholder non badano al colore della casacca dei governanti.  Neppure alle percentuali dei votanti. I cittadini dimenticano in fretta. Secondo Giulio Andreotti, il potere logora chi non l’ha. E infatti il centrodestra è già in fibrillazione.  Fottuto. Così è anche se non vi pare.

Nella tristezza elettorale caratterizzata dall’astensione, merita un applauso il comportamento di Vittore Soldo. Ha annunciato le proprie dimissioni da segretario provinciale del Pd.  Lo ha fatto con classe. Senza i toni del vincitore o dell’eroe stanco al ritorno dal fronte. Con l’onestà dell’uomo dalla schiena dritta.  Nel tascapane, ancora qualche ideale.

Con franchezza e sincerità disarmanti ha precisato: «Serve un progetto che rigenera e allarga il più possibile il campo di cui facciamo parte: per questo nuovo progetto servono freschezza ed un po’ di incoscienza e io credo di averle perse entrambe» (Cremonaoggi, 26 giugno).

Ventura e Soldo, due segretari provinciali di partito.  Due leader poco leader. Due stili contrapposti. Uno perdente che sale in cattedra.  Uno vincente che toglie le tende. Uno che si atteggia a protagonista, ma raccoglie fischi. L’altro che protagonista non lo è stato, ma incassa appalusi.

Qui termina la storia.  Titoli di coda e Wishlist, la lista dei desideri dei Pearl Jam: «I wish I was the verb “to trust”, and never let you down». Perché non crederci?  La speranza non muore. Anche a Cremona.

Antonio Grassi

L'Editoriale

Edoardo Raspelli

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