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Chi vince ha quasi sempre ragione. Su chi perde si scaricano tutte le responsabilità. La lapidazione politica e mediatica scatenata sul coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia conferma la prassi consolidata dello scaricabarile. Si cerca il capro espiatorio, in questo caso ben individuato, e si procede all’esecuzione. Se ne sacrifica uno, il più esposto, per salvare tutti gli altri perché le vittorie hanno molti padri mentre le sconfitte sono orfane. A ballottaggio in corso, mentre affluivano dai seggi i dati che profilavano il successo del centrosinistra, Marcello Ventura era già suo malgrado sul banco degli imputati nel processo sommario intentato contro di lui per la sconfitta del candidato sindaco del centrodestra Alessandro Portesani, battuto da Andrea Virgilio per soli 191 voti  dopo avere vinto al primo turno.

Terminato da poco lo spoglio, il primo a intervenire lavando i panni sporchi in piazza è stato Renato Ancorotti, il Senatore, come lo chiamano  con deferenza i ‘fratellini’. E’ rimasto defilato durante l’intera campagna elettorale, non lo si è visto al fianco dei pezzi da novanta giunti da Roma e Milano, che hanno fatto passerella accanto a Portesani ed è riapparso con un’intervista nella quale ha metaforicamente messo il cappio al collo di Ventura.  Che tra i due non corresse buon sangue non è una novità, prova ne è il fatto che all’elezione del coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia, risultato poi Ventura, il parlamentare cremasco non ha votato: collegato da remoto, si è assentato al momento del voto ”a causa di un impegno precedentemente assunto”.  Disciplina di partito impone che il regolamento di conti si consumi nelle segrete stanze, come insegnano Dc e Pci. Il Pd, figlio dei due partiti storici della Prima Repubblica, ha messo il bavaglio all’ex sindaco Gianluca Galimberti durante la recente campagna elettorale per segnare la svolta tra un passato imbarazzante  e un futuro targato Virgilio all’insegna della discontinuità, operazione tutt’altro che facile ma risultata vincente. Fratelli d’Italia, partito di maggioranza relativa nel Paese e a Cremona, arriva lacerato dalle tensioni interne al più importante appunamento politico locale.  E’ riduttivo e fuorviante incolpare il solo coordinatore provinciale e non il Senatore. Ma anche altri hanno quote di responsabilità.

Il candidato sindaco del centrodestra ha pagato lo scotto di essere perlopiù sconosciuto. E in una città piccola non avere una faccia nota è  un pesante svantaggio.  Il suo nome è stato fatto nel parlamentino cittadino  per primo da Stefano Foggetti, allora coordinatore provinciale di FdI, e da Paolo Italia, dipendente di una cooperativa di Portesani che ha dichiarato in un’intervista rilasciata il 4 giugno scorso di avere incontrato Carlo Malvezzi poco dopo l’annuncio della sua lista ‘Novità a Cremona’. Dunque ‘padrini’ di Portesani sono Malvezzi e Foggetti, notoriamente avversario acerrimo di Ventura. Fatta eccezione per Beppe Arena, passato in tempi non sospetti dal gruppo consiliare comunale della Lega a quello di Fratelli d’Italia, gli altri transfughi leghisti, Pietro Burgazzi, Roberto Chiodelli e Alessandro Zagni, sono approdati al partito di Giorgia Meloni grazie a Foggetti che ha gestito il passaggio tenendo all’oscuro il coordinamento provinciale guidato dall’allora consigliere comunale Luca Grignani. La manovra ha inevitabilmente indebolito Ventura, allora capogruppo in consiglio comunale.

Dopo il congresso provinciale di Fratelli d’Italia, vinto da Ventura, ai primi tavoli per le trattative sul candidato sindaco di Cremona emerge con forza un accordo saldo tra Lega e Forza Italia che ha portato alla bocciatura del nome di Zagni e a una fuga di notizie, probabilmente pilotata, che ha di fatto bruciato il nome di Chiara Capelletti nonostante l’accordo preso tra i segretari fosse quello di proporre ai referenti regionali due nomi: Portesani e Capelletti.

A seguito di questa fuga di notizie, si riunisce il coordinamento di FdI. Ventura propone di puntare su due nomi, Portesani e Capelletti, proposta che trova però il muro della corrente di Foggetti, scettica sul nome di Capelletti, giudicata ”troppo di destra” e dunque, dopo un acceso dibattito, il partito decide di proporre al tavolo regionale Alessandro
Portesani, con tanto di verbali che documentano la cronistoria.

Si è appreso poi che Lega e Forza Italia hanno portato ai rispettivi vertici regionali solo il nome di Portesani. La sua incoronazione da parte dei segretari lombardi dei due partiti porta poi alla fuoriuscita dal centrodestra di Ferruccio Giovetti nonché al disimpegno dei consiglieri di Fratelli d’Italia ex Lega: Arena e Zagni  escono di scena mentre Burgazzi si candida nella lista di Giovetti. Discorso a parte spetta a Chiodelli che si presenta a Gerre de’ Caprioli nella civica di Michel Marchi.

Il colpo di grazia a Portesani lo danno gli elettori del centrodestra che al ballottaggio fanno mancare un migliaio di voti. Ma nel loro caso sarebbe scorretto considerarli correi. Dubbiosi, sfiduciati, demotivati, scettici o hanno disertato i seggi o hanno infilato nelle urne schede bianche e nulle. Si può dar loro torto?

 

Vittoriano Zanolli

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